Ambiente

La lotta contro la CO2 e le complessità ignorate

20 Ottobre 2019

Era già un po’ di tempo che volevo scrivere qualcosa riguardo all’ondata ambientalista che sta avvolgendo la nostra società. Un’ondata salutare, anche solo per il fatto di riportare sulle prime pagine dei giornali un tema importante e troppo spesso sottovalutato come quello del riscaldamento globale e degli effetti nefasti che può avere sulla vita del nostro pianeta. Greta Thunberg ha creato un vero e proprio movimento che sta mettendo pressione al mondo politico internazionale, chiedendo di prendere decisioni da subito per cercare di fermare, o quantomeno rallentare, il riscaldamento globale. Produciamo troppo inquinamento, troppa CO2, e questo non solo a causa del nostro sistema produttivo, ma anche a causa del nostro stile di vita. Per questo oggi ognuno di noi viene martellato dalle più disparate richieste di “cambiare il proprio stile di vita”: acquistare auto ibride oppure elettriche, consumare meno plastica, produrre meno rifiuti, consumare cibo a chilometro zero, utilizzare elettrodomestici a basso consumo elettrico, usare lampadine a Led della massima efficienza, non lasciare elettrodomestici in stand-by, usare i mezzi pubblici. Ma quanto impattano queste scelte?

Sia chiaro: non è mia intenzione scarica le colpe delle singole persone e delle loro eventuali scelte ambientali, voglio solo provare a “guardare dentro” al problema per capire esattamente quanto impattano le varie scelte personali, sociali e industriali. Perché se davvero vogliamo condurre una battaglia contro la produzione di CO2 dobbiamo avere il coraggio di guardare dentro alla complessità delle cose, senza fuggire verso facili soluzioni. Lo spunto mi è venuto leggendo questo articolo di Dario Bressanini. Contiene diversi spunti interessanti per ragionare sul problema, e rimanda ad altrettanti articoli e documenti interessanti da leggere, e su cui ragionare ulteriormente. Ad esempio si può partire da questo, EDGAR’s Global Fossil CO2 Emissions from 1990 to 2016, oppure da questo articolo di Nature,The hard truths of climate change. Dal secondo, vi riporto due grafici: il primo vi mostra l’emissione globale di CO2 divisa per Stati.

Il secondo invece vi mostra le emissioni di CO2 pro capite, sempre suddivise fra le varie nazioni.

Possiamo vedere come oggi sia la Cina la nazione che emette più CO2, tanto che nel 2018 produceva il 27% delle emissioni globali. Gli Stati Uniti, secondi in classifica, hanno prodotto il 15% delle emissioni globali, mentre l’Europa il 9%. Europa che fino al 1990 era responsabile del 20% della produzione di CO2 globale, quota diminuita sia per le politiche sempre più tese a salvaguardare l’ambiente ma anche perché allora la Cina era responsabile di una quota di emissioni enormemente inferiore. Lo si può notare osservando la tabella presente nel primo link: le emissioni dell’Europa sono diminuita in valore assoluto ma non in quantità tale da giustificare il passaggio dal 20% al 9%, mentre il valore assoluto della Cina è letteralmente esploso verso l’alto. Guardando invece la produzione di CO2 pro capite i dati si rimescolano. Ciò è influenzato dal numero di abitanti, dai vari stili di vita, dalle dimensioni di eventuali aree rurali in cui i consumi sono enormemente inferiori. Proseguendo nella lettura dell’articolo di Nature troverete altri dati, tutti che riconducono a un nocciolo centrale ben preciso: il cambiamento che ci si prospetta davanti non è semplicemente di abitudini, ma più realisticamente è di concetto, di paradigma di base. Un cambiamento che riguarda l’idea stessa di società in cui siamo abituati a vivere, in cui siamo cresciuti, di cui siamo permeati. Ma cosa possiamo fare?

Soluzioni preconfezionate non ne esistono. E nemmeno soluzioni semplici. Servono sforzi collettivi per immaginare quale potrà essere il futuro. Volete un esempio sulla complessità che abbiamo di fronte? Fin dal tempo della rivoluzione industriale abbiamo visto come la produzione di energia (e quindi produzione di inquinamento) e la produzione di ricchezza abbiamo viaggiato di pari passo: aumento del PIL, aumento delle emissioni. Bene, come raccontava Jacopo Giliberto su Il Sole 24 Ore, fra il 1° aprile 2019 al 30 giugno 2019 l’istituto tecnico scientifico del Ministero dell’Ambiente (ISPRA) ha osservato che mentre il Pil è sceso dello 0,1% i gas serra sono cresciuti dello 0,8%. Siamo riusciti nell’incredibile impresa di far rallentare la nostra industria ma, al contempo, aumentare il nostro potere inquinante. Questo intacca l’idea che produrre di meno può portare a inquinare di meno: stiamo vedendo come, oggi, questo parallelismo entro certi termini rischi di non essere più valido. Ma noi cittadini cosa possiamo fare nel concreto?

Uno degli elementi su cui Bressanini pone l’accento nel suo articolo sono, ad esempio, i voli aerei. Già oggi sappiamo che stanno nascendo movimenti che mirano a “far sentire in colpa” chi viaggia in aereo, dato che è un mezzo di trasporto altamente inquinante. Rinunciare a un volo aereo può far risparmiare l’emissione di una quota di inquinanti compresa fra le 700 e i 2.800 kg di CO2 all’anno. Il dato lo scopriamo da questo articolo, The climate mitigation gap: education and government recommendations miss the most effective individual actions, in cui vengono elencate le azioni individuali suggerite per mitigare il nostro impatto ambientale. Possiamo leggere come vivere senza automobile (senza, non con auto ibride o elettriche) possa evitare l’emissione di un valore di CO2 compresa fra i 1.000 e i 5.300 Kg annui. Ma scopriamo anche come il non mettere al mondo un figlio contribuisca a non immettere nell’atmosfera una quantità compresa fra i 23.700 e i 117.00 Kg annui di CO2. La nostra crescita demografica ha un impatto molto evidente sulla produzione di CO2, e quindi sul surriscaldamento globale. Eccovi l’esempio più lampante di quando scrivo che non esistono soluzioni semplici a un problema così complesso: è ovvio che nessuno può chiedere né tantomeno imporre alle persone di non fare figli o di farne in un numero contingentato, ma è altrettanto vero che la continua crescita demografica unita al continuo miglioramento delle condizioni di vita delle persone contribuiscono ad aumentare le emissioni di gas serra. É un problema enormemente complesso, che coinvolge non solo questioni ambientali e sociali ma anche e soprattutto questioni etiche. Ecco perché nessuno ne vuole mai parlare. Solo che non possiamo fare finta di nulla. Ne aveva parlato Science nel 2017 in un articolo provocatorio dal titolo The best way to reduce your carbon footprint is one the government isn’t telling you about, che come racconta sempre Bressanini provocò molte discussioni. Che però, aggiungo, non hanno contribuito in nessun modo ad affrontare anche solo dialetticamente la questione: data la sua delicatezza e la sua complessità si è probabilmente preferito non tirarla più in ballo. Le complessità sono sempre difficili da affrontare.

Per evitare queste delicate complessità si preferisce concentrarsi su altro, come sui voli aerei, come avevo iniziato a scrivere prima. C’è da dire però che le compagnie aeree stanno provando a fare qualcosa: non potendo mettere in linea aerei a energia solare o che funzionino a batterie (esistono dei prototipi ma sono ancora aerei molto molto piccoli e come prestazioni tutte da verificare) hanno creato la Carbon Offset, ovvero programmi di compensazione della CO2 prodotta dal proprio volo. Ogni volta che acquistate un biglietto aereo potete aggiungere qualche euro che andrà a finanziare progetti per la lotta al cambiamento climatico: investimenti in energie rinnovabili, programmi di riforestazione, sviluppo di idee a basso impatto ambientale. Compagnie low cost come Ryanair e Easyjet offrono questa opportunità, invece le nostrane Alitalia, Air Italy e Blue Panorama no. In questo articolo del Guardian potete vedere quanti chilogrammi di CO2 producono alcuni viaggi aerei e vederli rapportati a quanta CO2 producono alcuni abitanti del mondo, e potete anche calcolare quanti chilogrammi di CO2 produrrete col vostro prossimo volo aereo. Più completo è il calcolatore della ICAO, che trovate qui. Col prossimo volo che dovrò prendere, ad esempio, produrrò quasi 296 Kg di CO2 per tratta, in totale quasi 592 Kg di CO2. Questo, magari, potrebbe aiutare le persone a scegliere compagnie aeree che offrano una Carbon Offset, anche se torniamo al punto di partenza: la scelta del singolo ha un grosso valore etico ma rischia di avere un basso impatto concreto sull’ambiente. E allora perché, ad esempio, non chiedere che la Carbon Offset diventi una parte obbligatoria del biglietto aereo, istituendo dei fondi sovranazionali non solo per la ricerca tecnologica a basso impatto ambientale, ma anche per renderla fruibile da tutti? Chiudendo il capitolo aerei, vi faccio leggere anche questo infografica presa da un articolo della della sezione Info Data de Il Sole 24 Ore. Si vede un confronto con altri mezzi di trasporto su dati presi dall’Agenzia Europea dell’ambiente: il treno è il meno inquinante, poi le auto (anche quelle grosse), poi i furgoncini, che stanno riempiendo sempre di più le nostre città anche per via dei sempre maggiori servizi di consegne a domicilio. Ma più inquinante di tutte loro, anche se ovviamente meno degli aerei, ci sono i motorini. Vi ricordate quando dicevano “usate un motorino, inquinerete meno che con l’auto”? Forse così automatico non è.

Ma nell’analisi di quali siano le cause della produzione di gas serra nel settore dei trasporti non possiamo dimenticare le navi. In particolare le navi da crociera. Probabilmente negli articoli precedenti non erano state considerate perché il numero di persone che le utilizzano è inferiore rispetto a chi usa automobili o aerei o treni, ma ci sono anche loro. Secondo questo articolo di Transoprt & Environment, le navi da crociera che circolano in Europa inquinano venti volte di più di tutte le automobili circolanti nell’intera Unione Europea. Questo anche perché nelle navi i motori non si spengono mai, restano accessi anche quando sono attraccate in porto per garantire il funzionamento di tutti i servizi offerti sulla nave.

E la cosa non esclude i traghetti. Guardate questa immagine:

Trovate tutti i dettagli sul sito di Cittadini per l’aria. Ad oggi solo 4 navi su 174 hanno sistemi per ridurre le emissioni inquinanti, mentre sono in costruzione solo altri 4 traghetti a basso impatto inquinante. E qui parliamo non soltanto di CO2 ma anche di zolfo e polveri sottili, ad esempio, emesse in quantità massicce. Quelle polveri sottili su cui si è imbastita una feroce campagna contro le automobili diesel, tanto da aver deciso di metterle al bando dalle maggiori città europee. “Il futuro è elettrico” si sente ripetere da qualche anno, con le grandi Case che stanno investendo in maniera massicce sulla mobilità elettrica. Ad ora però, l’unico risultato è quello di aver fatto crollare le immatricolazioni di nuove auto diesel a favore… Delle auto a benzina. Provocando un aumento della CO2 prodotta dal parco auto circolante. Perché? perché le auto elettriche hanno ancora costi inavvicinabili per la stragrande maggioranza delle persone, e quelle ibride producono tanta CO2 quanto le piccole auto di segmento A, quelle che ad esempio in Italia valgono quasi il 60% del mercato. Ma torniamo alle navi. Anche qui ci sono Compagnie che attuano programmi di compensazione della CO2: ne è un esempio la Corsica Ferries che, cito, “Con 1 Euro potrete finanziare il vivaio, il trasporto e la piantagione di un albero, curata da piccoli produttori, in Corsica e in Amazzonia. La Compagnia, dal canto suo, si impegna a ridurre al massimo il consumo di carburante e l’utilizzo di fluidi refrigeranti a bordo dei suoi traghetti”. Anche qui siamo sempre nell’ambito delle scelte personali che, globalmente, possono avere un impatto risibile, ma sono idee su cui andrebbe fatta pressione politica affinché diventino pratiche comuni. Anche perché il comparto dei trasporti marittimi riceve ogni anno un totale di oltre 250 milioni di euro sotto forma di contributi pubblici per i servizi di trasporto passeggeri: perché non legare questi finanziamenti anche al grado di inquinamento prodotto dalla flotta di ogni armatore? Ecco che fa capolino il secondo convitato di pietra: la questione economica.

Ma visto che le ho introdotte prima, fatemi prima scrivere anche due parole sulle auto. Come dicevo, questa estate l’Agenzia Europea per l’Ambiente ha stabilito che c’è stato un aumento delle emissioni di anidride carbonica prodotta dalle vetture di nuova immatricolazione nel 2018: le emissioni di CO2 sono risultate in aumento per il secondo anno consecutivo, con una crescita dell’1,6% nel 2018 rispetto al 2017. Questo perché sono sensibilmente calate le immatricolazioni di nuove auto diesel, che producono meno CO2, mentre sono cresciute quelle di auto a benzina, che producono più CO2. E pensate che i tedeschi, quelli che si sono dimostrati più duri sullo scandalo Dieselgate (e non solo perché è partito da una Casa tedesca, la Volkswagen), hanno commissionato un rapporto in cui si è evinto che le autovetture diesel di ultima generazione inquinano globalmente meno di un’equivalente auto a benzina. Lo potete leggere in questo articolo sempre de Il Sole 24 Ore, i cui risultati sono stati riconosciuti validi anche da molte associazioni dei consumatori, di solito molto attente alle questioni ambientali. Certo, mi si potrà dire che il problema delle auto diesel è anche e soprattutto la produzione di particolato e di NOx. Vero. Ma mentre per la seconda questione posso fare riferimento all’articolo linkato prima dove si spiega bene come i livelli inquinanti dei diesel Euro 6D siano ormai spesso più bassi delle omologhe vetture a benzina, per la questione polveri sottili vi vorrei mostrare due grafici estrapolati da uno studio condotto da ARPA Lombardia un paio di anni fa. Questa sulla quantità di particolato emessa:

E questa sulla provenienza delle polveri sottili nelle automobili:

Lo sapevate che in un’automobile di ultima generazione la quantità maggiore di particolato viene emessa non dallo scarico, ma dall’usura degli pneumatici e dal consumo dei freni? E, in relazione proprio ai freni, sapete che il particolato viene prodotto anche dai mezzi pubblici elettrici, come metropolitane e tram? Ovviamente per quanto riguarda tram e metropolitane parliamo di percentuali di emissioni inferiori alle auto, ma in zone chiuse come le banchine della metropolitana anche produzioni piccole possono creare concentrazioni di polveri sottili molto alte. E la cosa delle polveri sottili prodotte da freni e pneumatici riguarda anche le auto elettriche: pur immaginando di sostituire tutte le auto a propulsione termica con auto elettriche, cancelleremmo la produzione di CO2 ma non quella delle polveri sottili. Ritorna sempre il solito mantra: non esistono soluzioni semplici a problemi molto complessi. E la questione ambientale è un problema maledettamente complesso, che come visto comporta risvolti sociali ed etici di difficile valutazione. E, aggiungo, comporta anche un risolvo economico che non possiamo far finta di non vedere: come detto il lato economico è, insieme a quello della crescita della popolazione mondiale, uno dei convitati di pietra che tutti cercano costantemente di evitare.

Ogni soluzione che immaginiamo o che vorremmo attuare comporta un grande investimento di denaro, per tralasciare il discorso del tempo. Denaro che spesso, oggi, non abbiamo neanche per far funzionare correttamente tutti i servizi dello Stato e renderli accessibili a tutti. E qui si torna al problema del rivedere dalle fondamenta il nostro sistema sociale, la necessità non solo e non semplicemente di aggiornarlo, ma di crearne uno radicalmente diverso. Far evolvere il sistema capitalistico di cui ormai tutto il mondo è parte rischia di essere limitante rispetto agli obiettivi che ci stiamo ponendo per quanto riguarda la salvaguardia del pianeta. Questo è un problema così grande e difficile che nessuno può singolarmente fornire delle risposte adeguate, ma su cui serve che globalmente e collettivamente ci si metta tutti a pensare e a riflettere su quali potranno essere le soluzioni senza tralasciare quelle che potranno essere le ricadute e gli impatti sociali ed economici di queste scelte. È proprio sulle questioni ambientali che dovremmo sviluppare quella capacità di pensare come specie, e non più soltanto come singole nazioni o come singoli gruppi di interesse. La tecnologia probabilmente ci potrà dare una grande mano nel pensare a ipotetici piani futuri, ma serve anche la capacità di guardare lontano e ipotizzare un futuro che non pensi soltanto allo sviluppo dei prossimi anni: qui ci viene chiesto di guardare allo sviluppo che dovremmo avere non solo nei prossimi decenni, ma più realisticamente nel prossimo centennio. In questa mia lunga riflessione non ho volutamente fornito soluzioni, non per cattiveria, ma per le motivazioni sopra esposte. Mi sono limitato giusto a un paio di input riguardo a comportamenti personali, che avrebbero più impatto se diventassero sistemici. Chiudo con un altro piccolo spunto, riguardo proprio alla tecnologia che potrebbe, e dovrebbe, darci una mano nel futuro: parlo delle intelligenze artificiali. Ecco, leggete questo breve articolo del MIT Technology Review: allenare una singola intelligenza artificiale inquina come l’intera vita di cinque automobili.

La complessità delle cose. Certamente questo valore è dato anche dal tipo di fonte energetica utilizzata per alimentare gli allenamenti delle intelligenze artificiali, ma resta il fatto che oggi la situazione è questa. È una delle tante complessità su cui, prima o poi, si dovrà ragionare. Ma quando smetteremo di avere paura della complessità delle cose? Anche da questo dipende il futuro nostro e del pianeta.

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