Ambiente
In fondo all’Atlantico una nave italiana e mille tonnellate di merci pericolose
Cosa c’era a bordo della Grande America, il cargo battente bandiera italiana affondato al largo di Finistère il 12 marzo 2019?
A dieci giorni dal naufragio comincia a delinearsi un quadro più preciso. La prefettura marittima dell’Atlantico ha divulgato un documento ricevuto dall’armatore, la compagnia napoletana Grimaldi Group, con una prima lista delle merci colate a picco insieme alla nave, a 4600 metri di profondità.
Il carico di sostanze pericolose
In 45 dei 365 container a bordo, risultavano stivate sulla nave 1050 tonnellate di merci classificate come pericolose secondo il codice IMDG (International Maritime Dangerous Goods Code).
Tra queste, 720 tonnellate di acido cloridrico, 85 tonnellate di idrosolfuro di sodio, 82 di acido solforico, 62 di resina liquida, 16 tonnellate di sostituto di trementina, 25 di fungicidi agricoli.
Il codice IMDG elenca quali sono i tipi di merci considerati pericolosi sia per l’incolumità delle persone in navigazione sia per l’ambiente marino. Non necessariamente però le merci pericolose per la navigazione lo sono anche per il mare in caso di naufragio.
L’acido, per esempio, non è stato considerato allarmante in questo caso, perché in acqua si diluisce. Inoltre i materiali infiammabili potrebbero essere già stati consumati dall’incendio, se non l’hanno addirittura causato.
Tra le merci classificate come «non pericolose» al momento dell’imbarco, 29 container erano carichi di parti di auto e macchinari, pezzi di ricambio e metalli vari.
Altri 24 container erano stivati di acciaio, 23 di prodotti chimici vari, 18 di fertilizzanti, cinque container di lubrificanti, quattro di materiali da riciclare, due di pneumatici. Altri trasportavano carta, cibo, legno, vetro e persino birra.
I detriti alla deriva
Lo stato francese ha chiesto a Grimaldi ulteriori informazioni sul carico e gli ha imposto il recupero (e relative spese) di tutto il materiale alla deriva.
Un rimorchiatore privato inviato da Grimaldi ha finora ritrovato una scialuppa di salvataggio e quattro container che galleggiavano. Il primo a essere individuato, e trainato per 180 miglia fino a La Rochelle, conteneva oltre sei tonnellate di patatine Pringles.
È vero, non è materiale tossico (fino a prova contraria). Ma se l’aria contenuta nelle confezioni o la natura della merce stessa mantengono a galla il container ecco che diventa un ostacolo per la navigazione, molto pericoloso soprattutto se sotto il pelo dell’acqua e perciò invisibile sia a occhio nudo sia al radar.
Bisogna poi considerare i materiali diversi e non catalogati che compongono imballi, confezioni, trattamenti delle merci.
È per questo, e non solo per l’inquinamento che contenuto e contenitori possono portare alle acque, che all’armatore è stata imposta una costosa e difficile attività di ricerca e rimorchio. E a sua volta inquinante, se si pensa quanto carburante consumeranno le navi impegnate in questa certosina raccolta.
Ci sarà poi il problema dello smaltimento dei detriti recuperati. Sempre ammesso che qualcosa ancora galleggi e non sia finito tutto in fondo al mare.
In fondo al mare
Tra i materiali che ora giacciono a 4600 metri di profondità, insieme a tutta la nave, ci sono sicuramente i 2100 veicoli trasportati. Il carico comprendeva fra l’altro 1779 autovetture, 190 camion, 22 autobus e 64 macchine per cantieri edili.
Il gruppo Grimaldi si è premurato di rassicurare che due terzi di questi veicoli erano nuovi, ma questo servirà più che altro a tacitare le voci che si trattasse di una nave-pattumiera. Dal punto di vista ambientale, i rottami con il loro carico di batterie, metallo, plastica, gomme, tessuti acrilici, vernici, componenti elettronici sono ormai tutti uguali, schiacciati dalla livella democratica della pressione dell’acqua.
A questo scopo, Grimaldi ha chiamato una nave specializzata e dotata di un veicolo sottomarino teleguidato che eseguirà un’ispezione del relitto della Grande America.
Questo sarà il vero momento in cui si potrà valutare l’entità del pericolo e del danno di questo naufragio.
Il petrolio e le ostriche
Finora, l’allarme aveva riguardato soprattutto la fuoriuscita di idrocarburi dai serbatoi della nave. Le organizzazioni ambientaliste francesi, i pescatori e i coltivatori di ostriche sono preoccupati soprattutto per la marea nera spinta verso terra da mare e vento, memori anche del gigantesco disastro ambientale provocato dal naufragio dell’Amoco Cadiz, che nel 1978 che riversò sulle coste bretoni oltre 230.000 tonnellate di petrolio greggio.
Per fortuna la Grande America non era una petroliera e gli idrocarburi inquinanti si limitano alle 2200 tonnellate di carburante dei suoi serbatoi, oltre a 190 tonnellate di diesel marino, a 70.000 litri di petrolio stivati tra le merci e al carburante nei veicoli trasportati.
Tuttavia, sul punto in cui si è inabissata la nave è ancora visibile un fiotto di idrocarburi che risale costantemente dall’abisso.
Le chiazze che si sono formate in superficie si stanno spargendo per decine di chilometri quadrati, dilatandosi e disperdendosi.
La situazione è tenuta sotto sorveglianza da aerei ed elicotteri della Marina francese e della Gendarmerie, che hanno lasciato sulle chiazze dispositivi GPS galleggianti per seguirne la posizione, ed è visibile anche da satellite.
Unità francesi inviate dalla Marine Nationale e spagnole inviate dall’Emsa (European Maritime Safety Agency) hanno disposto una barriera galleggiante per arginare la deriva degli idrocarburi e delle pompe per aspirarli.
Secondo le attuali condizioni meteomarine, si prevede che l’onda nera raggiunga le coste atlantiche verso la fine di marzo.
Nel frattempo, laboratori chimici analizzano campioni d’acqua per verificarne lo stato di inquinamento e gli allevatori di ostriche hanno spostato i molluschi, per quanto possibile, in vasche di riserva per tenerle in vita in attesa che rientri l’allarme.
Il pericolo viaggia sui cargo
Le organizzazioni ambientaliste restano sul piede di guerra: alla pubblicazione del carico della nave, il portavoce dell’associazione francese Robin des Bois ha ammesso che «è la prima volta nella storia degli incidenti marittimi che viene reso pubblico un inventario così dettagliato».
Restano tuttavia dubbi sulla veridicità della documentazione fornita dagli spedizionieri (l’armatore non può controllare fisicamente il contenuto dei container), e sulle componenti precise delle merci e dei contenitori oltre che sulle modalità di stivaggio: gli incendi a bordo sono tutt’altro che infrequenti.
Inoltre, dicono le associazioni, c’è ancora molto da lavorare sulle norme: la stessa legge italiana 662/1980, che recepisce e attua il complessissimo codice IMDG, è piuttosto generica: «Gli imballaggi, i contenitori, i contenitori-cisterna, i vagoni-cisterna stradali e ferroviari devono essere tali da ridurre al minimo i pericoli ai quali è esposto l’ambiente marino, tenuto conto dei loro contenuto specifico».
Come aveva già fatto notare Isabelle Autissier, navigatrice oceanica e oggi presidente del WWF francese, la parte più inquinante della nave potrebbe essere quella sul fondo del mare. È il motivo per cui il WWF non ha invitato i cittadini a mobilitarsi sulle spiagge, ma si impegna a fare pressione perché questi incidenti non si ripetano.
Il ministro francese della Transizione Ecologica e Solidale ha riferito in Parlamento che tutte le spese dirette e i costi indiretti saranno pagati dall’armatore, beninteso aspettando un’inchiesta giudiziaria e perizie tecniche che provino le effettive responsabilità.
E quella sarà un’altra battaglia.
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