Ambiente

I blocchi delle auto diesel sono solo un tappabuchi

22 Ottobre 2017

Un venerdì mattina di metà ottobre, ore 7, Torino. L’atmosfera è grigiastra, un misto di nebbia e fumo che riduce, in alcuni punti azzera, la visibilità. È il terzo giorno consecutivo di blocco per le vetture diesel fino all’euro 4, dal momento che il PM10 è oltre i 50 microgrammi al metro cubo da più di sette giorni. Entrando al bar ascolto le opinioni della gente rispetto al provvedimento. “Io ho una macchina diesel euro 5 – dice un uomo sui cinquanta dopo aver letto sul quotidiano cittadino che probabilmente da sabato saranno bloccate anche le suddette vetture – mi sa che dovrò venderla per comprare un benzina”. Una signora si lamenta del fatto che, nonostante il blocco, i pullman passino sempre con la stessa regolarità e che siano sempre affollati, mentre un’altra signora sfoga tutta la sua rabbia inveendo contro la Sindaca, ritenuta (erroneamente) colpevole del provvedimento, previsto invece da un accordo tra le regioni dell’area padana.

È evidente che esiste un problema culturale di base nella società italiana, problema al quale la politica non è mai in grado di dare delle risposte soddisfacenti o delle alternative valide. In Italia, forse anche grazie agli interessi di buona parte della classe dirigente nel vendere macchine e idrocarburi,  il culto per il possesso di un auto privataè quasi ossessivo. Sembra che senza di essa non si possa muoversi, non si possa lavorare, insomma non si possa vivere. Non a caso il nostro Paese si classifica nella prima posizione in Europa per tasso di motorizazzione, con 62,4 auto ogni 100 abitanti (dato Autopromotec 2017).  Eppure ci sono città europee, specialmente nell’area settentrionale del continente, dove il traffico veicolare è ridotto al minimo, dove la mobilità alternativa la fa da padrona e, anche in una situazione climatica più rigida rispetto alla nostra, i cittadini prediligono l’utilizzo della bicicletta o del mezzo pubblico anziché recarsi al lavoro sulla propria vettura.

Nessuno in Italia ha mai preso sul serio il problema inquinamento. Eppure è una realtà con la quale il bacino padano si trova a fare i conti ogni autunno-inverno quando, durante i periodi anticiclonici, la mancanza di pioggia e la stagnazione dell’aria non permettono la diminuzione dei valori di polveri sottili. Il protocollo sugli stop ai veicoli in caso di eccesso di PM10 firmato dai presidenti di Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna è certamente un piccolo passo avanti, ma purtroppo è solo una pezza messa su un buco troppo grande che, in assenza di una rivoluzione copernicana della politica ambientale, rischia di allargarsi e di diventare “intappabile”. A uno stop delle vetture inquinanti è necessario affiancare sistemi di mobilità alternativa che permettano ai cittadini di spostarsi senza troppi disagi. Eppure di potenziamenti dei servizi pubblici in questi giorni di blocco, specialmente a Torino, non se ne è neppure sentito parlare. Allo stesso modo non esistono dei bici-plan sufficientemente sviluppati da permettere una mobilità ciclabile sulla base di quanto succede ad Amsterdam o a Stoccolma.

Ben vengano i blocchi quindi, quando la situazione diventa davvero insostenibile. Però è necessario che la politica, libera da qualsiasi pressione di coloro che fabbricano automobili o commerciano idrocarburi, prenda seriamente in considerazione il problema inquinamento, studiando nuove strategie di mobilità sostenibile e dando il via a una rivoluzione culturale che preveda il superamento dell’auto privata. Ci vorranno anni, ma tanto vale iniziare.

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