Ambiente
Guerre, ghiacci, malattie: breve storia del cambiamento climatico preindustriale
C’era le guerra in Vietnam e i negoziatori americano, Henry Kissinger, e vietnamita Le Duc Tho, trattavano per farla finire. Alle Olimpiadi di Monaco di Baviera un commando palestinese sequestrava, torturava e uccideva alcuni atleti israeliani, in Italia le Brigate rosse sequestravano e uccidevano il leader democristiano Aldo Moro. Erano gli anni Settanta e gli scienziati discutevano di come combattere il raffreddamento globale. Cosa? Raffreddamento? Eh già, quelle che oggi appaiono certezze non lo erano affatto una quarantina di anni fa.
«Il clima cambia. Il clima è sempre cambiato. Come vi reagiamo è una questione di cultura». Lo scrive Wolfgang Behringer, uno storico tedesco che si è dedicato a un argomento piuttosto attuale e molto dibattuto: i cambiamenti climatici (il suo “Storia culturale del clima. Dall’era glaciale al riscaldamento globale” è pubblicato da Bollati Boringhieri). Tra le pagine si scoprono un mucchio di cose interessanti, per esempio che stiamo vivendo in un’era glaciale, che «nella storia del nostro pianeta si tratta di un’eccezione perché per il 95 per cento della sua storia sulla Terra non c’è stato ghiaccio permanente. Dal punto di vista statistico il clima peculiare della Terra è dato dai periodi interglaciali, nei quali faceva molto più caldo di oggi».
Visto che sulle questioni climatiche spesso più che un dibattito scientifico si sviluppa un tifo da stadio, sgomberiamo subito il campo da possibili equivoci: Behringer non è affatto un negazionista del riscaldamento globale. Solo che conoscere la storia aiuta a capire meglio il presente (che poi aiuti ad affrontare meglio il futuro è tutto da vedere). «Oggi disponiamo di indizi e modelli di calcolo sufficienti a farci ritenere che sia il riscaldamento globale, sia la sua natura antropica siano “molto verosimili”. Più difficile è stabilire fino a che punto la componente antropica incida», sostiene. I passaggi da periodi freddi a periodi caldi hanno provocato sconvolgimenti epocali, abbassamenti e innalzamenti di mari, scomparse di specie vegetali e animali. Dopo l’ultima glaciazione, il riscaldamento globale provocò l’estinzione non solo del mammuth e del bue muschiato, bensì del 99 per cento delle specie di grossa taglia. Invece una specie che era già comparsa in precedenza proprio in seguito a questo eventi riuscì a imporsi con grande successo: l’uomo. Sorsero le prime città che avrebbero in seguito costituito la base della civilizzazione antica.
Fino a circa il 6400 A.C. il Mar Nero era un enorme lago di acqua dolce un centinaio di metri più in basso del Mediterraneo. Quest’ultimo crescendo di livello a causa dello scioglimento dei ghiacci, ha premuto sul Bosforo fino a sfondarne l’ultima barriera cominciando a riversarsi nel sottostante Mar Nero con un sistema di decine e decine di cascate come quelle del Niagara, provocando un rombo infernale udibile probabilmente a centinaia di chilometri di distanza. Col che si spiegano sia il mito dell’arca di Noè sia perché i resti archeologici dei villaggi rivieraschi si trovino sotto svariati metri d’acqua. Il clima più caldo permette all’uomo di passare da caccia e raccolta all’agricoltura, dando il via alla rivoluzione neolitica (qualcuno l’ha paragonata alla rivoluzione industriale) e quindi a un sistema di vita più sicuro, sedentario anziché nomade. Stiamo parlando di periodi in cui il Sahara era ricoperto da una vegetazione rigogliosa, visto che l’inaridimento è datato all’incirca 5 mila anni fa.
In ogni caso fa molto più caldo, tanto che vaste aree alpine rimangono libere dai ghiacci e permettono il passaggio in zone che sarebbero poi rimaste interdette. Ne è un esempio Ötzi, il cacciatore che 5300 anni fa viene sorpreso da una tempesta di neve non lontano dalla vetta del Similaun. Viene estratto dal ghiaccio nel 1991 e lo stato di conservazione della mummia ci dice che il ghiaccio non si era mai sciolto, neanche in periodi piuttosto caldi, come nel Basso Medioevo. L’unica chance che la mummia ha avuto di essere ritrovata negli ultimi cinquemila anni si è verificata in sei giorni d’autunno del 1991. Nello stesso anno, i ghiacciai del Tirolo hanno liberato altri cinque corpi, tanti quanti nei precedenti quarant’anni, ma solo Ötzi è rimasto nello stesso punto in cui era morto. Una serie di carestie dovute all’inaridimento del clima, all’incirca nel 1200 aC, porta all’estinzione della civiltà ittita e all’affermarsi di divinità delle intemperie. «Mosé stese il suo bastone verso il cielo e il signore mandò tuoni e grandine». Il Dio ebraico è l’erede delle divinità delle intemperie dell’Oriente antico (il dio semitico Hadad, per esempio) che puniscono gli uomini con fulmini, tuoni, tempeste e siccità.
Il Cristianesimo eredita dall’ebraismo il dio delle intemperie. «Farà allora udire il Signore la sua voce maestosa tra nembi di tempesta e grandinate di pietra». Ancora ai nostri giorni le variazioni del tempo non hanno perso una certa connotazione divina. Si instaura un clima fresco e umido, con estati fresche e inverni miti, che dura all’incirca fino alla nascita di Cristo. L’Africa del Nord offre condizioni rigogliose e ciò spiega perché sia il granaio dell’Impero romano. Si inaridirà nel IV secolo D.C.
Il clima comincia a scaldarsi all’epoca di Augusto e non è un caso che Roma si sia espansa prima a sud e poi, grazie alle temperature più alte, verso nord. D’altra parte che ci sarebbero andati a fare i romani fino in Scozia se fosse stata sotto un crostone di ghiaccio? Il fatto che i valichi alpini siano sgomberi dalla neve permette alle legioni di valicarli e conquistare la Gallia, la Germania, la Raetia e il Noricum. Si calcola che in quel periodo estremamente favorevole la popolazione mondiale abbia raggiunto i 300 milioni di persone, con punte in Cina e in India. Un livello simile sarà raggiunto solo un millennio dopo, durante il periodo interglaciale del Basso Medioevo.
L’Impero romano cade in preda alla fame, al freddo, alle malattie. Al contempo in Oriente si scatena la siccità e gli ingegnosi sistemi di irrigazione che rendono possibile l’attività agricola rimangono a secco: nella penisola arabica vengono abbandonate seicento aree di insediamento. Le popolazioni agricole diventano preda dei popoli nomadi: gli arabi. Gli inverni cominciato a diventare più freddi e umidi attorno al 250 dC e il clima rimane freddo fino al IX secolo. I ghiacciai si estendono e il limite della vegetazione arborea sulle Alpi si abbassa di duecento metri. Dei 15 milioni di abitanti che ha l’Europa nel VI secolo, ne rimane poco più della metà. Vengono abbandonati numerosi insediamenti, e questo non si spiega soltanto con le guerre: un buon insediamento rimane anche quando gli abitanti cambiano. Invece la vegetazione ricopre tutto e l’analisi dei pollini rivela un decadimento generale dell’agricoltura.
L’Alto Medioevo è un periodaccio: le cronache di Gregorio di Tours, nel VI secolo, parlano di piogge, temporali, nevicate e gelate, inondazioni, carestie. I lupi assalgono greggi e viandanti. Nell’843, un lupo irrompe in una chiesa francese durante la messa domenicale. Inverni gelidi, inondazioni primaverili, estati aride, causano carestie e fame. Se l’inverno è lungo, non si riescono a nutrire in modo adeguato gli animali da lavoro, quando l’estate è torrida, il grano si secca, se è troppo umida, marcisce. Compare la lebbra, la malattia da denutrizione del medioevo europeo.
Tra il 1000 e il 1330, cambia tutto, talvolta fa più caldo che ai nostri giorni. Le cronache parlano di sepolture in Islanda e Groenlandia in aree dove fino al XX secolo inoltrato regnerà il permafrost. Alla fine dell’interglaciale del Basso medioevo si ha un raffreddamento che raggiunge il suo apice negli anni quaranta del Trecento. Naturalmente ci sono alti e bassi: la laguna di Venezia ghiaccia nel 1118, ma poi di nuovo soltanto oltre cent’anni dopo, nel 1234. Nell’estate del 1022 a Norimberga si registrano decessi per il caldo. La linea della vite si sposta ancora più a nord rispetto ai tempi dei romani: si piantano vigneti sulle rive del Baltico, in Inghilterra, nella Scozia e nella Norvegia meridionali. A Trondheim si coltiva il grano.
La popolazione si espande, i terreni vengono dissodati. La superficie dei boschi in Europa centrale scende dal 90 per cento del territorio ad appena il 20 per cento (oggi è al 30 per cento). Si colonizzano l’Islanda e la Groenlandia. Ma in Islanda l’eruzione del vulcano Hekla nel 1104 dà il via a un millennio di miseria: soltanto nel XX secolo l’isola tocca gli 80mila abitanti che aveva nell’XI. Nell’estremità meridionale della Groenlandia si insediano 450 fattorie.
La piccola era glaciale comincia tra Due e Trecento e dura fino al XIX secolo: il ghiaccio avanza, l’agricoltura si ritira, le carestie indeboliscono la popolazione, si scatenano le epidemie. La più mortifera è la peste nera nel 1348 che uccide dalla metà a un terzo della popolazione in varie aree d’Europa. Parecchie città dell’Italia centrale torneranno ai livelli di abitanti pre peste nera soltanto negli anni Sessanta del Novecento.
Tra il 1548 e il 1648 le relazioni dei provveditori veneziani a Creta (l’isola rimane veneziana dal 1204 al 1669) denunciano lunghi periodi di siccità. In un anno su quattro non cade una goccia d’acqua né in primavera né in estate, con effetti devastanti sull’agricoltura (nel XX secolo non si verifica mai un caso del genere). Un inverno su cinque, di contro, presenta nevicate straordinarie, freddo intenso e piogge così abbondanti che non era possibile seminare fino a primavera. Nel 1601 i contadini di Chamonix si disperano perché un ghiacciaio seppellisce due villaggi e ne minaccia un terzo. Gelano i laghi alpini, gela la laguna di Venezia, gelano i fiumi. Sul Tamigi gelato si tengono feste, si approntano chioschi con cucina. Nell’inverno del 1491 si organizza un torneo di cavalieri sul Canal Grande gelato, a Venezia.
In Francia gli inverni freddi provocano un aumento del prezzo del grano che culmina in un anno particolarmente significativo: il 1789.
Nell’Ottocento abbiamo dati ancora più precisi: i lunghi inverni grigi provocano l’aumento delle depressioni e dei suicidi. Il freddo provoca l’arrivo di una nuova malattia, il colera, che si affaccia all’Europa, provenendo dall’India, negli anni Trenta dell’Ottocento.
Oggi ci ritroviamo in una fase di riscaldamento, anche se all’interno di una più lunga era glaciale. Non abbiamo ancora raggiunto le vette di caldo del Basso medioevo, non sappiamo se le raggiungeremo, né sappiamo in che misura l’attività umana contribuisca. Sappiamo che lo fa, ma non siamo in grado di capire fino a che punto. Sappiamo anche che dovremmo fare qualcosa per limitare le emissioni di anidride carbonica di origine antropica, ma non sappiamo come farlo.
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