Ambiente
Gli illusori precetti della domenica
Leggendo l’intervento “ Cambiamento climatico: quali pratiche seguire per contrastarlo” di Chiara Perrucci, pubblicato qui due giorni fa, mi sfugge un sorriso. Per carità, è encomiabile per la passione che la signora Perrucci infonde nel suo articolo che, nelle intenzioni, vuol essere propositivo, indicando a una moltitudine smarrita, e pure abbandonata da politica e istituzioni, dei metodi casalinghi per contrastare il famigerato cambiamento climatico. Manca, però, un’analisi profonda e dettagliata di cause, di effetti, di conseguenze che le decisioni suggerite porterebbero se si dovessero seguire alla lettera i suoi suggerimenti.
Per cominciare, le alluvioni che provocano tragedie immani non avvengono così, per caso. Avvengono certamente per cause atmosferiche alterate per varie ragioni, tra cui anche quelle del cambiamento climatico (che c’è sempre stato, vorremmo far notare, senza timore di essere chiamati negazionisti, perché nessuno nega il cambiamento climatico). Ma la devastazione è immensamente moltiplicata dall’espansione umana in territori dove non si sarebbe dovuto costruire e, soprattutto, per una desertificazione del suolo dovuta a cementificazioni, ad argini di corsi d’acqua poco curati, a installazioni industriali nel letto degli stessi, a non considerare che molti dei terreni che sono stati inondati un tempo erano paludi, per esempio. L’acqua, bene o male, in certe occasioni di precipitazioni abbondanti, torna dove stava molti anni prima, perché il terreno è fatto così, perché la forza di gravità è sempre quella, anche se sulla superficie tutto sembra cambiato.
Per esempio, io parlo per ciò che conosco, il litorale, bellissimo, di Mondello, la spiaggia più nota di Palermo, prima che la società italo-belga che la gestisce da un secolo la rendesse un luogo simile alla Costa Azzurra ai primi del Novecento, era una palude da tempo immemorabile. Acque stagnanti che, nella seconda parte del XIX secolo diventarono ricettacolo di insetti nocivi, facendo ammalare di malaria contadini e pescatori della zona. Fu grazie al principe Francesco Lanza Spinelli di Scalea che si avviò una lunghissima bonifica radicale della zona che trasformò la baia in un paradiso terrestre. Ma l’acqua si raduna sempre lì sotto e, quando piove in eccesso, il drenaggio non funziona sempre, soprattutto adesso che le superfici costruite sono aumentate vertiginosamente: il terreno non riesce ad assorbire l’acqua.
Analogamente, seppure sicuramente con caratteristiche morfologiche diverse, accadrà in altri luoghi come la Romagna o altre terre che in passato erano paludi. L’uomo spesso dimentica o ignora la natura dei luoghi dove va ad abitare e la memoria storica di inondazioni o di paludi precedenti spesso si perde. Poi, quando in tempi moderni accadono le catastrofi, qualcuno si ricorda che lì un tempo c’era l’acqua e si dà la colpa a un cambiamento climatico per scrollarsi di dosso le responsabilità di aver costruito su terreni dalla storia complessa e articolata, per lo più inadatti.
Ciò non toglie che certamente il carattere “eccezionale” di certe precipitazioni produca catastrofi, ma codeste catastrofi sono amplificate dalla superficialità degli amministratori che concedono terreni per installazioni abitative e industriali.
Questa sarebbe la prima difesa del territorio contro i cambiamenti climatici: liberarsi di una classe dirigente, quindi essenzialmente politica, inetta e rapace. E questo lo fanno i cittadini andando a votare (o non votando conoscendo la rapacità di chi si presenta). Difesa, quindi, abbastanza utopistica, vista la consapevolezza degli elettori.
Riguardo agli incendi ho espresso corposamente, nell’articolo precedente, ciò che so e ciò che ho visto, e non li attribuisco al cambiamento climatico. Non sono incendi naturali ma dolosi e colposi. E anche qui la soluzione sta nella politica non nelle misure individuali che un cittadino può decidere di adottare.
I “piccoli accorgimenti che ciascun individuo può mettere in pratica” secondo le istruzioni della BBC, come suggerisce Chiara Perrucci, risultano talmente superficiali da apparire ridicoli. Superficiali perché, come scrivo sempre, l’adattamento ai cambiamenti climatici è un sistema complesso, anzi assai complesso, e non ci sono soluzioni facili né palliative da documentario o da rivista della domenica.
Limitare le fonti fossili di energia è un precetto abbastanza logico se si dovessero seguire le indicazioni degli scienziati che si occupano del clima e dei suoi cambiamenti, i quali ci dicono che sono causati soprattutto dalle emissioni dell’uomo. Alcuni medici dicono che il vino fa male, altri che un bicchiere di vino alò giorno non danneggia assolutamente il corpo. Utilizzare fonti rinnovabili come l’energia solare o eolica o termica o delle maree o il riciclaggio dei materiali per risparmiare inquinamento è sicuramente qualcosa d’interessante a livello teorico. Rifiutarsi di comprare elettrodomestici che usino idrofluorocarburi può essere una soluzione chic per i paladini del clima. Ma, nel mercato globale, accessibile alla maggior parte delle persone che vogliono conservare i cibi nei frigoriferi o rinfrescare il proprio corpo per evitare di andare al pronto soccorso per colpi di calore se non addirittura di restarci secchi, vorremmo anche sapere quali sono codeste macchine e quanto costano e, naturalmente, chi le produce e dove sono reperibili. Senza considerare che i frigoriferi dei supermercati o dei negozi che stoccano le merci deperibili sono assolutamente macchine che usano idrofluorcarburi. E senza considerare che, magari, molta gente non abbiente compra frigoriferi di seconda mano perché non possono permettersi il frigorifero all’ultimo grido categoria A++++++++ il quale magari non usa idrofluorocarburi. Uno su un milione. Dire delle cose così generiche e poi spacciarle per decalogo per i consumatori intenzionati a fare qualcosa per salvare il mondo mi irrita particolarmente, perché lo vedo come una manifestazione di infantilismo da parte degli adulti. Soprattutto lo vedo come un ambientalismo dal salotto di casa propria di persone che del mondo non conoscono alcunché. Ed è una di quelle cose che mi dà particolarmente fastidio. Mi chiedo la BBC che visione abbia del mondo.
Andiamo a vedere, dopo aver appurato che i materiali refrigeranti sono ancora parte essenziale del raffreddamento di alimenti e persone, le precisazioni sullo spostamento della gente sul territorio. E qui ci sarebbe da farci un trattato. La semplificazione con cui l’argomento viene trattato è veramente irritante, almeno, a me irrita non poco. Si parla dei trasporti pubblici, quindi del treno, dell’autobus, della metropolitana, e della bicicletta, come scelta etica numero uno. Questo è ciò che viene spacciato per “ecologico”. Ebbene, diversi anni fa scrissi un articolo, proprio molestato dai precetti di Greta Thunberg, la paladina dei “Venerdì per il futuro” che tanto ha influenzato le menti terrorizzate dall’ecoansia di adolescenti e adulti inconsapevoli, considerando quanto il treno non fosse poi così green. Perché, per considerare veramente “green” qualcosa bisogna analizzare fin nei minimi dettagli il ciclo vitale di quella cosa. Il ciclo vitale dei treni è qualcosa di inimmaginabile, di spaventosamente inquinante, ma tutti vedono solo la parte superficiale del trasporto senza le emissioni famigerate di CO2. L’articolo è questo:
Considerare “green” il treno risulta ridicolo come le affermazioni di Salvini sul Ponte sullo Stretto, da lui magnificato come infrastruttura più “green” in assoluto. Povero caro. E povero chi ci crede. E poveri ancora di più noi che subiamo queste scelte scellerate e unicamente speculative. E già, perché una delle difese più importanti dai cambiamenti climatici consiste nella consapevolezza. E consapevolezza significa studiare, non limitarsi ai consigli di un documentario BBC o ai precetti di una giovane squinternata ecoansiosa perché ha l’idea fissa del futuro del pianeta che le deriva dal suo autismo. Nessuno, o pochissime persone, ricordano che Greta Thunberg è autistica e il suo autismo la porta a credere in un’idea fissa, senza minimamente riuscire ad analizzare sistemi così complessi come i cambiamenti climatici e i sistemi di produzione di tutti i paesi del mondo. Governati e abitati da persone che, spesso senza alcuna consapevolezza, vivono come meglio possono. Forse dire che vivono è un eufemismo, in realtà sopravvivono. E figurarsi se coloro hanno il tempo e la voglia di informarsi se l’unico frigorifero che hanno, se ce l’hanno, usa idrofluorocarburi oppure no, o se l’apecar con cui portano la frutta e gli ortaggi del proprio campo ai mercati sia a combustibile non fossile e usi le batterie al litio, caricate chissà dove perché magari in quei posti l’elettricità è una chimera e magari è prodotta con gruppi elettrogeni a nafta. Forse a Londra, nel recinto della BBC, tutto andrà a energia solare, non lo metto in dubbio. Né metto in dubbio, tuttavia, che l’energia solare sia sempre più diffusa nei paesi dell’America Latina, Asia e Africa, ma dove e in che percentuale? Nel centro ridotto e privilegiato delle città più evolute o anche nelle immense baraccopoli delle metropoli come Lagos o Rio de Janeiro? E anche qui, qual è il ciclo vitale dei pannelli fotovoltaici, ossia dove si estraggono i materiali che servono per costruirli, quante persone sono impiegate dall’estrazione dei minerali e in che condizioni lo fanno, che percorso fanno questi materiali e quanta energia ci vuole per fabbricarli, per trasportarli, per impiantarli e, alla fine della loro vita, buttarli o riciclarli? Se dovessero veramente diventare la fonte primaria per il futuro proviamo a moltiplicare un pannello solare per miliardi di miliardi di installazioni in modo da poter alimentare le reti di città sempre più grandi e sempre più esigenti dal punto di vista energetico e proviamo a immaginare anche i rifiuti di codesta tecnologia eletta a tecnologia dominante. Il ciclo vitale significa anche questo. È molto romantico pensare che il sole e il vento ci forniscono energia, e certo vengono in mente i mulini a vento delle saline di Trapani o dei canali olandesi, colle distese sterminate di tulipani. Ma non è proprio così. Tutto ciò che si costruisce prima o poi muore e provoca scorie.
Qui ci sarebbe da approfondire ben di più, perché poi, oltre alle scorie del nuovo sistema energetico ci sarebbe anche il problema delle scorie di tutto ciò che stiamo ancora usando. I milioni di veicoli che utilizziamo, compresi autobus, navi, treni, che dopo un po’ diventano obsoleti, che fine fanno? Scorie su scorie. Abbiamo appena visto cosa stanno provocando le tonnellate di abiti sintetici, di origine cinese, sulle coste di paesi africani poveri che magari utilizzano abiti usati perché questo si possono permettere. Vaneggiare mondi migliori utopistici come fa la BBC con precetti da parrocchia per aiutare il cambiamento climatico, davanti a queste aberrazioni, mi fa salire il sangue alle tempie.
Ma si continua. Perché oltre ai precetti comportamentali e dinamici ci sono i consigli alimentari e qui sprofondiamo veramente nel surreale. Dice Chiara Perrucci: “Bene, per iniziare a ridurre il riscaldamento globale, diventa sufficiente, moderare il consumo di proteine animali, diminuendolo fino al 50%, pari ad una riduzione del 40% dell’inquinamento necessario per l’industria alimentare( dal disboscamento, al consumo di acqua, all’uso di fertilizzanti, alle macchine per processare il cibo).”
Mi chiedo in che mondo viva. Se può essere vero che nei paesi ricchi si consumano alimenti più del dovuto è pur vero che nei paesi considerati ricchi esistono fasce sempre maggiori di popolazione in povertà. E queste persone non hanno la possibilità di scegliere quale alimento utilizzare e quale no. Se riescono a mangiare un hamburger di McDonald, cosa che io non farei mai, è una necessità perché costa 1 euro o poco più. E con 1 euro riempi lo stomaco. Con 2 euro lo riempi meglio, perché magari ci metti pure le patatine col ketchup e ti pare di aver fatto un pasto regale prima di tornare alla tua panchina o alla tua baracca. Mentre mezzo chilo di zucchine, magari bio, ti costerebbe la stessa cifra, e poi dovresti cucinarle, sicuramente con una cucina economica a gas (l’orribile gas) e provo a mettermi nei panni di queste persone che magari hanno anche perso il reddito di cittadinanza grazie ai soloni di questo governo, secondo cui gli straccioni sono straccioni perché non vogliono lavorare.
Consideriamo anche che, per quanto io faccia uso di carni rosse o bianche in minima parte nella mia dieta a causa dell’acido urico, abolissimo tutti gli allevamenti a scopo alimentare. Cosa ne sarebbe di tutti i pastori, gli allevatori, e di tutte quelle aziende dove lavorano agronomi, contadini, mandriani e che implicano la presenza di milioni di lavoratori avventizi? Cosa farebbe tutta questa gente? E quante estensioni di terreno in più ci vorrebbero per coltivare abbastanza alimenti, cereali, tuberi, frutta, per sfamare intere popolazioni? E soprattutto popolazioni in crescita parabolica come in Africa, in Asia, in Sudamerica, che aumentano al ritmo di milioni ogni anno?
La prospettiva chic dei precetti della domenica della BBC è una visione estremamente classista e razzista tipica di una certa mentalità occidentale. Non prende minimamente in considerazione le condizioni di vita di paesi come l’India, la Nigeria o la Cina dove la popolazione è in costante crescita con enormi problemi culturali e sociali, otre che economici, e dove la consapevolezza ecologica è l’ultimo dei problemi che si pongono. Sarebbe quello il punto di partenza dove agire, ossia risolvere conflitti sociali di proporzioni inimmaginabili in paesi che la maggior parte della gente in Occidente manco sa dove si trovano sulla carta geografica né chi li abita. Ci sarà una ragione se tanta gente scappa e affronta torture, disagi e anche la possibile morte, pur di approdare in un supposto Eden al di là del mare. E il nostro Eden così chic lo è davvero rispetto alle baraccopoli da dove fugge tutta sta gente, così vilipesa dai nostri politici e da tante persone che parlano di sostituzione etnica. Miserabili.
Per provare a salvare il pianeta bisogna cominciare da lì, altro che CO2, è la sovrappopolazione incontrollata il vero problema, più cresce la popolazione più cresceranno le esigenze alimentari, le necessità di spostamento, il bisogno di raffreddarsi o di riscaldarsi, per cui qualsiasi tentativo di diminuire le famigerate emissioni sarà vanificato dall’aumento sproporzionato della popolazione. Come la tela di Penelope, di giorno si fa e di notte si disfa. E diventa un esercizio ludico per casalinghe disperate che si annoiano e vorrebbero fare le dame benefiche per il clima.
L’unica cosa da fare, per noi poveri inconsapevoli, sarebbe consorziarsi in comunità di cittadini (abili, naturalmente) che rimboschissero i nostri monti scempiati dagli incendi, e che andassero a manifestare il venerdì davanti ai palazzi governativi per pretendere a oltranza una sorveglianza strettissima sul territorio e delle pene pesantissime come ergastolo, lavori forzati perenni e sequestro dei beni per i piromani e quei criminali che accendono i fuochi o provocano disastri ecologici, economici e sociali colle loro fabbriche. O con infrastrutture inutili e dannosissime come i ponti sugli stretti e altre cattedrali nel deserto, strumentali alla politica.
La cultura della “sostenibilità ambientale” passa attraverso tutti questi sistemi complessi e illudersi che codeste piccole azioni propagate dalla BBC possano in qualche modo essere quel battito d’ali di una farfalla che si trasforma in uragano dall’altra parte del mondo lo trovo, oltre che di una stupidità colossale, anche un insulto all’intelligenza.
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