Ambiente
Dopo Bears Ears, Trump minaccia anche la wilderness dell’Alaska
Articolo di Fabrizio Goria, tratto da Alpinismi.
Non c’è solo Bears Ears a essere a rischio. No, perché anche l’Arctic National Wildlife Refuge (ANWR), la cui base è a Fairbanks, Alaska, corre il pericolo di essere invaso dai cercatori di oro nero. È questo l’allarme che arriva dal più estremo Stato americano. Una lotta fra democratici e repubblicani è in corso, dal momento che i secondi stanno pensando di utilizzare una parte dell’ecosistema protetto dell’ANWR per la ricerca di idrocarburi nel prossimo decennio. Una scelta che potrebbe mutare per sempre una delle zone più incontaminate d’America.
Avete presente Christopher McCandless, il protagonista di “Into the wild”, bestseller di Jon Krakauer? Ecco, lui decise di andare nella wilderness dell’Alaska, non lontano da quella che rappresenta l’area naturale oggi a rischio. Ma prima bisogna capire quanto è importante l’Arctic National Wildlife Refuge, che è il più grande dell’Alaska, con i suoi 19.286.722 acri, cioè 78.050,59 km quadrati. E si trova a nord-est di Fairbanks, considerata dagli americani l’ultima città di frontiera prima dell’artico, nell’Alaska North Slope. Da sempre conosciuto come un territorio dall’immenso patrimonio naturalistico da parte dei nativi americani, l’ANWR è salito agli onori della cronaca grazie a un articolo, risalente al 1953, pubblicato sul giornale del Sierra Club da parte di George Collins, del National Park Service, e di Lowell Sumner, biologo. Il titolo non lasciava spazio a interpretazioni negative: “Northeast Alaska: The Last Great Wilderness”. Ed è vero. L’Arctic National Wildlife Refuge è la patria di orsi polari, grizzly, caribou, e una quantità sterminata di uccelli migratori, oltre che di salmoni. Non è un caso che infatti la competenza per la sua amministrazione spetti al U.S. Fish and Wildlife Service, l’agenzia federale del dipartimento dell’Interno dedicata alla preservazione degli habitat naturali. Sette anni dopo l’articolo di Collins e Sumner, nel 1960, fu Fred Seaton, segretario dell’Interno sotto il presidente Dwight Eisenhower, a rendere protetta quell’area. La sua importanza naturalistica è tale che che l’ANWR viene considerato dagli abitanti dell’Alaska il “Serengeti americano”.
E non è solo un paradiso per gli animali. L’ANWR rappresenta anche una delle mete più estreme per gli appassionati di escursionismo e alpinismo. Questo perché al suo interno si trovano le cinque vette più alte comprese nell’artico statunitense. La più alta è il Mount Isto, con 2.735 metri, seguito dall’Hubley (2.717 metri), dal Chamberlin (2.712 metri), dal Michelson (2.698 metri), e infine dall’Okpilak (2.694 metri). Tutte e cinque sono cime dure, difficili da raggiungere e fanno parte della Brooks Range, che misura poco più di 1.000 chilometri di lunghezza. Data la posizione geografica e il loro isolamento con la civiltà, pochi esseri umani hanno tentata la loro ascesa. Nel caso dell’Isto, la prima salita risale al 1958, quando salirono in cima Charlie Keeler, Robert Mason e Austin Post, secondo gli annali dell’American Alpine Journal. E le ripetizioni? Pochissime, e quasi tutte senza successo. Un ambiente severo come quello della Brooks Range impedisce infatti di contare sui soccorsi in caso di difficoltà. E questa ragione è una di quelle che hanno dissuaso la maggior parte degli esploratori e degli alpinisti che volevano approcciarla.
L’ultima battaglia per la preservazione dell’Arctic National Wildlife Refuge dalla trivellazione risale al 2005, ma è una storia che va avanti dagli anni Settanta. Ovvero quando si scoprì che nell’area “1002”, circa 1,5 milioni di acri (6.100 km quadrati), c’erano potenziali giacimenti di petrolio e gas naturale. Secondo gli studi del dipartimento dell’Energia, le zone da trivellare sono quasi tutte costiere, e il prodotto finale sarebbe stato di ottima qualità. Ed è per questo che nei decenni passati si pensò alla creazione di oleodotti e gasdotti, in modo da unire l’area 1002 alla Trans-Alaska Pipeline System (TAPS). Inoltre, nel 1998, l’agenzia governativa United States Geological Survey (USGS) stimò che la produzione nell’Arctic National Wildlife Refuge sarebbe stata compresa fra i 5,7 e i 16,0 miliardi di barili di petrolio e gas naturale liquido, con una possibile media di 10,4 miliardi di barili. E sono proprio queste stime che hanno fatto goal a Trump. «Le possibilità erano e sono notevoli, e non sfruttarle sarebbe da sciocchi», spiega una fonte governativa dietro richiesta di anonimato.
E infine si arriva ai giorni nostri. All’interno del piano fiscale del presidente statunitense Donald Trump c’è la proposta di riaprire la discussione intorno all’utilizzo dei giacimenti dell’Arctic National Wildlife Refuge. E lo ha esplicitato in modo netto il numero uno dei repubblicani nel Senate Energy and Natural Resources Committee, cioè l’alaskana Lisa Murkowski. Secondo la Murkowski, ci sarebbe la possibilità di iniziare l’esplorazione di 800mila acri all’interno dell’ANWR, circa la metà del progetto originario. E sarebbe una netta inversione di tendenza rispetto a quanto deciso dal predecessore di Trump, Barack Obama, che nel gennaio 2015 aveva bloccato ogni genere di studio geologico per la ricerca di idrocarburi all’interno del territorio protetto dell’ANWR. Tuttavia, come riportano diverse fonti governative americane, Trump e il suo segretario dell’interno Ryan Zinke sarebbero «molto interessati» alle potenzialità del territorio dell’Alaska. E fra queste, anche le fonti energetiche contenute nel suolo dell’Arctic National Wildlife Refuge.
A combattere contro la Murkowski e contro il piano fiscale di Trump c’è ancora una volta la senatrice democratica Maria Cantwell, ora numero uno dei Dem dentro il Senate Energy and Natural Resources Committee. La Cantwell fu una delle politiche che bloccò il tentativo repubblicano del 2005 di aprire l’esplorazione all’interno dell’ANWR, e ancora oggi lotta per proteggerlo. «Questo è uno dei più intatti ecosistemi che abbiamo sul pianeta: perché vogliamo che venga trivellato alla ricerca di petrolio e gas?», ha chiesto la scorsa settimana ai suoi colleghi. La risposta è semplice. Per motivi elettorali. Come noto, la campagna elettorale di Trump è stata basata, sul fronte energetico, sul pieno sfruttamento delle fonti energetiche non rinnovabili, come petrolio, carbone e gas naturale. E data la disomogeneità dell’occupazione statunitense, il magnate newyorkese ha promesso di invertire la rotta di Obama – il quale aveva spinto sulle fonti energetiche rinnovabili – e di riportare il lavoro perduto a chi si è trovato spiazzato con le politiche del suo predecessore. Vale a dire, nel caso dell’Alaska, il pieno utilizzo dei giacimenti di idrocarburi presente, e l’esplorazione di nuovi sorgenti. Una decisione accolta con estremo scetticismo dai democratici dell’Alaska, così come dalla popolazione nativa, e non solo. Proprio come nel caso di Bears Ears, in Utah, dove la popolazione era in larga parte contraria alla riduzione dell’attuale area del National monument. Eppure, il processo di esplorazione della wilderness dell’Alaska potrebbe continuare.
Quali sono dunque le prossime mosse? A giorni sarà votato dal Congresso il piano fiscale di Trump. Non è dato per certo che passi nel modo in cui il presidente desidera, ma il suo obiettivo è quello di portare a casa il massimo risultato possibile, il tutto prima di Natale. E nel caso venga mantenuta l’iniziativa che prevede l’esplorazione all’interno dell’Arctic National Wildlife Refuge, i lavori preparatori potrebbero iniziare già nella prima metà del 2018. Una volta avviato l’iter, infatti, le società energetiche statunitensi non perderebbero tempo. Come spiega un lobbista di lungo corso a Washington, nel settore Oil & Gas, «si tratta di tirare fuori dai cassetti i vecchi piani del 2005, e gli studi di fattibilità della USGS, e poi si può partire. Secondo me già dal prossimo giugno, con lo scioglimento dei ghiacci». Il tutto a discapito di quella wilderness raccontata da Krakauer. La senatrice Cantwell e le associazioni come il Sierra Club e la Wilderness Society hanno promesso di combattere ancora e ancora. Ma mai come questa volta la battaglia pare difficile da vincere.
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