Ambiente

Natura fascista. Come il fascismo ha usato la natura

27 Aprile 2022

«Il fascismo celebrava non il passato o il rurale, ma un’idea di italianità ovviamente astorica, quindi senza passato né futuro. Certo è che il fascismo non disdegnò la modernità e i suoi simboli, anzi continuamente tentò di appropriarsene, producendo quella che a noi sembra una modernità fascista» [La natura del duce (Einaudi), p. 46].

Più volte nelle pagine di La natura del duce (Einaudi), gli autori insistono su un dato: il fatto di non sovrapporre , comunque di non tradurre le attenzioni volte al tema dell’ambiente, come un politica di salvaguardia ovvero di una politica assimilabile alla famiglia culturale e politica dell’«arcipelago verde». Quello che delineano è semmai la archeologia culturale di un cosmo «verde nero» dove emergono molti elementi di quella ideologia dell’italianità che è stata definita negli anni del regime (spesso ripescando dentro progetti politici o programmi già avviati nell’Italia liberale) ma anche dove si confermano le molte bugie del regime. Per esempio: il dato quantitativo  delle bonifiche realizzate, un dato su cui aveva richiamato l’attenzione anche Francesco Filippi nel suo Mussolini ha fatto anche cose buone (Bollati Boringhieri).

Si potrebbe sintetizzare così.

Il fascismo non si è disinteressato della natura. Ma osservare questo dato non significa rovesciarlo. Ovvero: l’alternativa al disinteresse non è una cura attenta della natura, quale sembra pe esempio alludere tutta la propaganda “strapaesana” comunque antindustriale cui allude gran parte del linguaggio delle bonifiche.

Esemplare per questo la retorica e la propaganda intorno all’impresa dell’Argo pontino, qual l’annuncia Benito Mussolini nel discorso pronunciato dal balcone del Palazzo Comunale di Littoria (oggi Latina)  il 19 dicembre 1932 in occasione della fondazione della città, quando dice:

«Non saremmo fascisti se già sin da questo momento non precisassimo con l’esattezza che è nel nostro costume, con l’energia che è nel nostro temperamento, quelle che saranno le tappe future e cioè: il 28 ottobre 1933 s’inaugureranno altre 981 case coloniche; il 21 aprile 1934 s’inaugurerà il nuovo comune di Sabaudia. (Applausi).

Vi pregò di notare queste date. Il 28 ottobre 1935 si inaugurerà il terzo comune: Pontinia. A quell’epoca, per quella data, noi probabilmente avremo toccato la meta e realizzato tutto il nostro piano di lavoro.» [“Popolo d’Italia”, XIX, n. 302, 20 dicembre 1932].

Il tema dunque non è l’ambiente astratto, ma l’ambiente funzionale a un’idea di sviluppo.

E dunque il tema da discutere è l’idea e i progetti di sviluppo che il fascismo regime batte e persegue e come intorno e in funzione di quell’idea di sviluppo si costruisca la propaganda in riferimento all’ambiente, e come quel lemma si trasformi in simbolo, e sia inteso come risorsa politica.

In altre parole una politica fascista assunto come «valore».

Per questo Armiero, Biasillo e Graf von Hardenberg insistono è sulle ecologie politiche del fascismo, ovvero sulle pratiche e le narrative attraverso cui il regime ha costruito delle nature, tanto immaginarie quanto materiali, funzionali al suo progetto politico.

Di questo progetto politico dunque fanno parte: le bonifiche; la riforestazione, spesso in funzione e in relazione alla creazione di politiche ecologiche per lo sviluppo dell’energia idroelettrica; l’attività di disboschimento; la costruzione di dighe; la ingegneria verde dei territori.

Ma allo stesso capitolo e, soprattutto, con la stessa logica politica – fanno parte le politiche coloniali e la modalità di trattare il rapporto tra uomo/natura/insediamento sul territorio/cura (o più genericamente trattamento) degli altri animali. Non solo in termini di caccia (un’attività coltivata dal regime, con tutto l’immaginario bellicistico che spesso l’ha contrassegnata) ma anche in relazione all’immaginario in cui così come si trattano le popolazioni indigene delle colonie, si stabilisce il rapporto tra uomo e animale, dove ciò che è essenziale è la «politica di domesticazione» l’impronta culturale che testimonia

«Protezione, bonifica, domesticazione – scrivono Armiero, Biasillo e Graf von Hardenberg – sono tutti vocaboli del dizionario fascista della natura che certo non servono a costruire alcuna grammatica ambientalista, ma solo geometrie narrative di supremazia e di subordinazione».» [La natura del duce (Einaudi), p. 7].

 

Un tratto che non riguarda solo la penisola ma che ritorna, coerentemente, nelle politiche coloniali del regime, e che noi ritroviamo intatti e speso anzi confermati nelle pratiche dell’Italia repubblicana come ha ricordato recentemente Mimmo Franzinelli. Un tratto che non è forte all’inizio per poi affievolirsi allontanandosi dal 1945, ma che, viceversa, si rafforza e si consolida con il passare del tempo, allontanandosi dall’aprile 1945.

A differenza del modello neofascista dell’immediato secondo dopoguerra, o della dimensione di “nostalgia” propria degli anni ’60 e ’70, almeno nelle sue espressioni di maggioranza, Franzinelli insiste nel quarto e nel quinto capitolo del suo libro su due aspetti spesso trascurati: da una parte le culture simboliche di cui la destra radicale, ma spesso anche componenti significative delle destre parlamentari (tanto LN come FDI) si nutrono e, dall’altra  insiste, per esempio, sul cambio del linguaggio  dell’egemonia culturale che esercitano.

Ma anche in relazione al calendario civile che si sta costruendo, più o meno palesemente, in questi anni. Non riguarda solo come la lenta delegittimazione del 25 aprile stia procedendo attraverso la forza di adesione militante che ha il 28 aprile (il giorno dell’esecuzione di Benito Mussolini; o il 28 ottobre, anniversario della marcia su Roma o  o il 29 luglio, anniversario della nascita ) ma anche come descrivono Armiero, Biasillo e Graf von Hardenberg – attraverso le politiche di rievocazione delle colonie intorno al monumento ai caduti di Romano Romanelli in Piazza dei Cappuccini a Siracusa (è quellodell’immagine di copertina), in nome dell’onore da rendere  ai caduti in Africa Orientale.

Un modo per sottolineare come l’ambiente e la società, la natura e la politica siano sempre intrecciate. Anche quando non ce ne accorgiamo.

Specie con lo scorrere del tempo.

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