Ambiente
Chi offende Greta è nemico dell’ambiente e dell’uomo
“La metterei sotto con la macchina”. “Sembra uscita da un film horror”. “La definirei stupidina”. “Quanti ‘gretini’ nelle piazze italiane il 15 marzo”.
Queste frasi sono solo alcune delle migliaia di idiozie pubblicate sui social a proposito di Greta Thunberg e dei suoi sostenitori dopo la prima marcia globale per il clima della storia. Ma che problemi hanno questi detrattori in servizio permanente? Ne devono avere tanti, soprattutto esistenziali. E se molti, messi alle strette, si divincolano con la più banale e abusata delle formule ”stavo scherzando, era solo una battuta”, tanti altri confermano di pensare davvero ciò che hanno scritto. E’ forse invidia nei confronti di una sedicenne, con la sindrome di Asperger e con mutismo selettivo, che si è saputa muovere su un terreno battuto, senza successo, per decenni, da politici, opinionisti e aspiranti influencer? E’ rabbia da parte di qualcuno che non è mai riuscito a essere altrettanto efficace nel dimostrare l’inadeguatezza della classe politica ad affrontare le sfide del futuro? C’è un mix di tutto questo e chissà cos’altro in ognuna di queste vergognose espressioni. E poi ci sono loro, i professionisti della comunicazione (che fanno parte di gruppi editoriali che dell’ambiente e del futuro del pianeta se ne fregano) che, muniti di telecamere e microfono, il 15 marzo giravano per le piazze tra gli studenti romani a chiedere: “Sai che cos’è il buco dell’oz(ZZ)ono?” oppure “Cosa si intende per cambiamenti climatici?”, non facendo mancare inquadrature di bottiglie di plastica e sigarette in mano ai manifestanti. Quanto accanimento nei confronti di chi ha semplicemente fatto sapere al mondo di credere in una giusta causa. Qualcuno il prossimo 26 maggio andrà a chiedere all’ingresso dei seggi la differenza tra i poteri della Commissione europea, del Consiglio e del Parlamento europeo? Quale senso avrebbe tutto ciò?
Il problema è che, con questi atteggiamenti, si denigra il sacrosanto diritto a manifestare e si confonde chi vorrebbe legittimamente vedere l’ambiente tra le priorità dei governi e chi ha il dovere di affrontare la questione con competenza e lungimiranza, nell’interesse nostro e di chi verrà dopo di noi. La Politica ha questo onere, nessun altro.
Nei prossimi vent’anni ci saranno due sfide da vincere che sono in apparente contrasto tra loro: assicurare l’accesso all’energia a tutta la popolazione mondiale in forte espansione (nel 2040 saremo 9 miliardi rispetto ai 7,2 miliardi di oggi) e abbattere le emissioni di CO2 in linea con gli obiettivi fissati dall’Accordo di Parigi.
L’Energy Outlook 2019, pubblicato dalla multinazionale britannica BP, prevede nei prossimi 20 anni un incremento annuo della domanda di energia pari all’1,2%. L’80% della popolazione mondiale, che oggi ha un consumo medio pro capite annuo inferiore a 100 Gigajoules, tenderà ad avvicinarsi a questa soglia considerata il limite entro il quale il fabbisogno di energia e benessere/crescita economica individuale crescono proporzionalmente.
In termini assoluti l’energia primaria richiesta salirà del 25% in 20 anni. Ma in questo arco temporale le emissioni devono essere quasi azzerate altrimenti sarà un disastro: l’ultimo report IPCC ha spiegato i devastanti effetti del fallimento di questo obiettivo. Come coniugare queste due esigenze contrapposte? In questo delicato equilibrio giocano un ruolo essenziale la tecnologia, le politiche varate dai governi e la responsabilità individuale dei cittadini.
La tecnologia aiuterà a produrre elettrodomestici e apparecchi sempre più efficienti, che si stima potranno avere un impatto del 20% in termini di risparmio energetico.
Le politiche varate dai governi avranno un ruolo essenziale, basti pensare che la sola messa al bando della plastica monouso porterebbe ad una diminuzione della domanda di olio combustile pari a 6 milioni di barili al giorno. Le politiche fiscali dovrebbero fare il resto, per esempio applicando il semplice principio “chi inquina paga”. L’ecotassa va in questa direzione anche se andrebbe scongiurato il pericolo che a rimetterci siano le classi meno abbienti per la sola colpa di non potersi permettere un veicolo elettrico. Ma i gruppi industriali che utilizzano un sistema di packaging basato sull’esclusivo utilizzo di polietilene o che usano fonti fossili per alimentare i propri stabilimenti devono pagare. Perché producono CO2 e altri gas climalteranti, inquinano le falde acquifere, riempiono gli oceani di plastica mettendo di fatto a rischio la salute dell’uomo e il futuro del pianeta. Per capire di cosa parliamo basta pensare che in Italia muoiono ogni anno 80 mila persone per lo smog.
E poi ci sono i singoli cittadini che in questa battaglia a difesa del pianeta possono fare la differenza. Come fare? Se parliamo di alimentazione, si dovrebbe ridurre i consumi di carne, evitare spreco di cibo e preferire prodotti a chilometro zero. Già questo farebbe risparmiare emissioni di CO2 e consumi di acqua. Così come lasciare a casa l’automobile, preferendo il trasporto pubblico o il car sharing o la vecchia bici, renderebbe più respirabile l’aria delle città. Tenere in casa una temperatura non superiore ai 19 gradi permetterebbe di ridurre le emissioni e di beneficiare di importanti sconti in bolletta.
‘Last but not least’ utilizziamo al meglio tutti i nostri poteri: continuiamo a manifestare per l’ambiente, oggi di nuovo in tanti – come ogni venerdì – scenderanno in piazza per l’ormai mondiale appuntamento del #fridayforfuture. Richiamiamo l’attenzione della politica sul grande tema dei cambiamenti climatici, leggiamo bene i programmi elettorali prima di andare a votare sperando di non trovare l’ambiente relegato a un paio di righe generiche. Rigettiamo le strumentalizzazioni create ad hoc per distogliere l’attenzione da una giornata storica come quella del 15 marzo perché chi si impegna in questo esercizio è nemico dell’ambiente. Chi è nemico dell’ambiente è nemico dell’uomo. (L’)Uomo avvisato (è) mezzo salvato.
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