Ambiente

chef Paolo Lopriore: l’inquietudine del Wanderer

19 Febbraio 2015

Da molti considerato il cuoco più coraggioso d’Italia, il quarantaduenne comasco ha un cammino segnato da sentieri interrotti.

Inizia da Gualtiero Marchesi, un passaggio veloce all’Enoteca Pinchiorri di Firenze e poi ancora con il Maestro all’Albereta di Erbusco. Nel 1995 inizia una Bildung che lo conduce prima in Francia e poi in Norvegia ma il percorso della Bildung vuole che “si torni sempre a casa e Paolo torna dal Maestro Marchesi ed è affiancato ad un’altra stella luminosa della cucina italiana, Enrico Crippa. Insieme danno vita al Menu Oggi una carta dai sapori mistici che alcuni ancora ricordano come un maelstrom di sensazioni olfattive nel quale si veniva subito coinvolti.

Lopriore è uno chef inquieto, la definizione migliore forse l’ha coniata Alessandra Meldolesi su Reporter Gourmet, definendolo “genio carsico” espressione di quell’avanguardia italiana disobbediente alle regole della tradizione, che divide la critica e cade sotto il colpi della artiglieria pesante dell’economia, nemesi destinata ai ribelli.

L’inquietudine che abita Lopriore è ben compresa dal suo Maestro che si presta a benedire il nuovo viaggio del suo allievo prediletto.

E’ cosi che Paolo nel 2002 approda alla Certosa di Maggiano accolto dalle braccia sicure di Anna Claudia Grossi padrona di casa di questo Relais Châteaux a pochi passa da Siena. La sua permanenza dura dieci anni nei quali coltiva la sua ricerca culinaria, porta avanti la sua idea di cucina a prescindere dal luogo marcandola come espressione della propria personalità fino a toccare, secondo alcuni, livelli di integralismo capace di dividere la critica.

Anna e Paolo conducono il ristorante Canto nella classifica dei primi 50 ristoranti del mondo e in vetta alle classifiche delle più prestigiose guide italiane, poi il danno. La guida Michelin decide di togliere la stella. Qualcosa pare non funzionare più, in un comunicato si legge: “abbiamo bisogno di fermarci un attimo certi di godere con voi di un altro futuro. Con questa certezza vi salutiamo, ma è soltanto un arrivederci“.

Lui stesso dichiara: “Non so quale e come sarà il mio prossimo ristorante, ma so che resterò in Italia, magari anche in Toscana. Chissà anche al mare. Vedrò. Le cose vanno, vengono, cambiano. Voglio vedere il mondo con occhi diversi. Basta classifiche e gare al piatto dell’anno. Voglio un’Italia più semplice, meno modaiola e più spontanea.

Ripartono nel 2013 e Paolo abbandona la sperimentazione estrema, riprende a  seguire la stagionalità e torna alle basi della tradizione toscana. In un’intervista al Correre della Sera dichiara: “Eravamo diventati schiavi della nostra personalità, dobbiamo tornare al cuore, non mi interessa più seguire il dettame del momento. Non mi interessa più cucinare per le guide, per i premi”.

Passa ancora del tempo e come un Wanderer del Romanticismo tedesco, Lopriore sente che deve riprendere il cammino alla ricerca di sé stesso, o meglio dell’indefinibile che sfugge ad ogni più rigorosa disamina razionale e come accade sovente per ritrovare se stessi si deve tornare nei luoghi dove risiedono le proprie radici.

A Como, presso il Grand Hotel prende in mano le redini del ristorante Kitchen e in una zona dove l’offerta della ristorazione di qualità pare latitare, decide di proporre una cucina di territorio collaborando con i produttori locali.

L’aneddoto sul pesce di lago disvela lo spirito di questo chef. Due sono i problemi che si devono affrontare: è molto difficile da sfilettare per via delle lische e la carne ha una consistenza spesso gommosa. La soluzione di Lopriore consiste nell’aprirlo a portafoglio e con inusitata grazia passare al setaccio i filetti così da eliminare tutte le spine, procedimento lunghissimo, poi li riassembla, li riinfila nel pesce e lo cuoce.

Oggi Paolo è stato licenziato in tronco dal ristorante dell’hotel. Le voci corrono confuse sul web, è ancora presto per capire cosa sia accaduto anche se l’acquisizione dell’hotel da parte del gruppo Sheraton puo’ far immaginare uno scenario in cui la cucina di Paolo non rientrava più nelle strategie. Un uomo così non si fa licenziare, se ne va e basta.

Non è la tecnica o la sua filosofia di cucina che interessa dispiegare in questo racconto ma la sua inquetudine celata da un aspetto semplice di uomo pacato a cui non interessano le logiche economiche, non interessano le luci della ribalta che accecano gli chef di oggi.

Paolo Lopriore segue l’imperativo della sua passione interiore, rivendica in qualche modo il diritto all’entusiasmo, allo sguardo infantile meravigliato e divertito sul mondo. Riprende il viaggio, “dove tu non sei, là è la felicità”.

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