Ambiente
Cara società dello spreco, dacci oggi la nostra plastica quotidiana
Le notizie che arrivano dall’Australia in fatto di inquinamento a livello globale non sono rassicuranti.
Secondo un recente studio dell’Università di Newcastle, finanziato dal WWF, l’inquinamento da plastiche e microplastiche nel mondo è ormai così diffuso nell’ecosistema che gli esseri umani, in media, arrivano ad ingerire fino a 5 grammi di plastica ogni settimana. L’equivalente, per rendere l’idea, della quantità presente in una carta di credito.
Secondo i ricercatori australiani, il principale veicolo di immissione di plastica nel corpo umano è l’acqua potabile. Negli Stati Uniti, il 94,4% dei campioni di acqua analizzati sono risultati contenere fibre di plastica (fino a 9,6 fibre rilevate per litro di media) e va solo relativamente meglio in Europa, con il 72% dei campioni risultati contaminati (e la media di 3.8 fibre per litro).
Un consumo dunque inconsapevole, inodore e insapore, ma massiccio e costante, anche in ragione del fatto che, oltre all’acqua, anche molti degli alimenti di uso più comune sono risultati contaminati.
Tra i cibi che contengono più microplastiche, sempre secondo i ricercatori, troviamo i frutti di mare ed il pesce, il cui apparato digestivo e respiratorio è spessissimo contaminato dai residui che gli animali hanno ingerito nuotando in oceani ormai globalmente inquinati e dove galleggiano vere e proprie isole di plastica, alcune più grandi della superficie della Francia.
Ma se avete pensato di risolvere il problema smettendo di mangiare pesce, sfortunatamente, vi state illudendo. Anche alimenti come il miele, il pane e lo zucchero ed il sale sono risultati fortemente intaccati da microplastiche. E più in generale, qualsiasi alimento che sia stato imballato nella plastica è potenzialmente a rischio di contaminazione.
“Dal 2000 ad oggi, il mondo ha già prodotto un quantitativo di plastica equivalente a quello di tutto il secolo precedente” avvertono i ricercatori dell’Università di Newcastle. Un trend folle e non sostenibile, anche in ragione del fatto che un terzo del quantitativo totale di plastica prodotta (stiamo parlando di migliaia di tonnellate al giorno) finisce disperso nell’ecosistema.
La plastica, come tutti sappiamo, è tra i materiali meno biodegradabili che esistano. Non viene virtualmente mai riassorbita dall’ambiente, non si decompone, semplicemente con il tempo e l’esposizione prolungata agli agenti atmosferici essa si frammenta in pezzi che diventano sempre più piccoli fino a diventare infinitesimali (le microplastiche, appunto).
La gravità dell’inquinamento da plastica varia da luogo a luogo, ma ormai non risparmia nessuna parte del globo, nemmeno le più remote. Solo negli ultimi due mesi, diverse spedizioni scientifiche hanno confermato l’estensione del problema rinvenendo inquinamento da plastica persino nei fondali più remoti dell’Oceano Pacifico, nei ghiacci ad 8000 metri di quota dell’Himalaya o sulla calotta Antartica.
Trattandosi di un problema relativamente recente, le conseguenze dell’ingestione di tali quantitativi di plastica negli esseri umani non sono ancora del tutto chiare. Difficile tuttavia pensare che abbiano effetti benefici.
Nel frattempo, poiché non possiamo smettere né di bere né di mangiare, forse sarebbe opportuno sforzarsi di ridurre il più possibile il nostro consumo di plastica usa e getta e, soprattutto, optare per l’acquisto di prodotti sfusi e non imballati, in modo da disincentivarne l’utilizzo presso le multinazionali e le catene di distribuzione degli alimenti.
Se non perché siamo veramente attenti all’ambiente, facciamolo almeno per noi stessi. Quando parliamo di plastica, ormai non c’è più dubbio al riguardo, quello che buttiamo via prima o poi ci torna indietro. E finiamo pure per mangiarcelo.
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