Ambiente

Auto elettrica o e-fuels? La strada migliore per decarbonizzare i trasporti

28 Settembre 2018

Secondo quanto riportano i giornali, nell’aggiornamento del Documento di Economia e Finanza preparato dal governo è previsto un investimento sulla “mobilità sostenibile, nella forma specifica della mobilità elettrica”. Lo scopo principale è realizzare la decarbonizzazione del settore dei trasporti, cioè la riduzione a zero delle emissioni di anidride carbonica, il principale gas climalterante prodotto dai motori a combustione interna; si punta inoltre a migliorare la qualità dell’aria grazie all’eliminazione del particolato generato dai carburanti fossili.

L’auto elettrica è uno dei cavalli di battaglia del vice premier Luigi di Maio, che ne ha parlato ripetutamente sia durante la scorsa campagna elettorale che da ministro: l’obiettivo da lui prefissato è avere un milione di auto elettriche circolanti entro i prossimi cinque anni (va notato che di Maio fa riferimento alle auto puramente elettriche, a batteria, non a quelle ibride).

Secondo i dati disponibili relativi allo scorso anno, in Italia circolano più di 37 milioni di autoveicoli; dunque il ministro si propone di arrivare a circa il 3% di auto elettriche entro il 2023. C’è da dubitare che un cambiamento così modesto possa ridurre significativamente le emissioni di anidride carbonica (che peraltro avvegono “a monte”, se l’energia elettrica utilizzata è prodotta in centrali a carbone o a gas: in tal caso, l’impatto del veicolo elettrico è addirittura superiore a quello degli omologhi veicoli con motore termico), o che possa migliorare percettibilmente la qualità dell’aria grazie al minore particolato emesso.

In effetti, la proposta di di Maio sembra puntare soprattutto alla creazione di posti di lavoro nella nuova filiera dell’auto elettrica: un punto di vista che non stupisce, da parte di un Ministro dello Sviluppo Economico nativo di Pomigliano d’Arco. Tuttavia, il vantaggio in termini occupazionali per il nostro Paese potrebbe essere molto inferiore alle attese: sia perché i maggiori produttori di veicoli elettrici sono in Oriente e negli USA; sia perché comunque, secondo alcuni studi, la filiera della e-mobility genera meno occupazione di quella tradizionale.

L’obiettivo indicato dal ministro pentastellato richiederebbe ingenti risorse pubbliche, sia per lo sviluppo dell’infrastruttura necessaria (reti di distribuzione ad alta potenza e colonnine di ricarica), sia per gli indispensabili incentivi all’acquisto (dell’ordine di diverse migliaia di euro per ciascun veicolo). Al momento, infatti, il prezzo di un’auto elettrica è molto superiore a quello di un’analoga vettura a propulsione termica. E’ ben vero che il costo per chilometro del “combustibile” è notevolmente inferiore (un “pieno” di elettricità che garantisce un’autonomia di 100 km costa circa la metà di un analogo “pieno” di benzina); ma il prezzo elevato dei carburanti per il trasporto è dovuto in gran parte alle accise, che lo Stato potrebbe decidere di spostare sull’elettricità per “far tornare i conti”.

Secondo alcune previsioni il prezzo delle auto puramente elettriche, legato soprattutto al costo delle batterie, è destinato a scendere nel futuro. Questa previsione ottimistica si scontra però con l’aumento delle quotazioni delle materie prime necessarie a produrle, come il litio e il cobalto, mentre lo sviluppo di nuovi tipi di accumulatori sembra al momento ancora immaturo.

In definitiva, il rischio è che il governo scelga di investire molto denaro pubblico per favorire una mobilità – quella privata di tipo elettrico “puro” – che sarà comunque riservata a pochi facoltosi e che, pertanto, porterà vantaggi limitati sia all’ambiente che all’occupazione; questa considerazione, prescindendo dai molti altri aspetti problematici della propulsione a batteria (in termini di sicurezza, di autonomia, di tempi di ricarica, ecc.) consiglierebbe dunque una certa prudenza.

Se vogliamo davvero ridurre l’impatto ambientale del trasporto privato, dovremmo soprattutto sviluppare e incentivare l’uso dei mezzi pubblici e la mobilità dolce; per quanto riguarda le auto, un settore molto promettente – sul quale si sta puntando soprattutto in ambito europeo – è quello dei combustibili sintetici (e-fuels). L’idea è immagazzinare l’energia rinnovabile (prodotta mediante fotovoltaico, eolico ecc.) in carburanti prodotti a partire dall’anidride carbonica presente nell’aria: ciò permetterebbe di continuare a sfruttare la tecnologia e il sistema di distribuzione per il motore termico già presenti, annullando però l’immissione netta di CO2 in atmosfera (per inciso, questo tipo di sviluppo è particolarmente importante per quelle applicazioni – trasporti pesanti, aerei, navali – per i quali la propulsione elettrica è improponibile). Investire, insieme ai nostri partner europei, nella ricerca in questo campo sarebbe una strada probabilmente più fruttuosa rispetto ai costosi incentivi e alle infrastrutture per la mobilità puramente elettrica.

Lo sviluppo delle energie rinnovabili è una grandissima opportunità per liberarci dalle fonti fossili, evitare il rischio del cambiamento climatico e migliorare la qualità dell’aria che respiriamo: l’importante è scegliere il modo migliore di utilizzarle, perché i benefici siano per tutti e non per pochi.

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