Acqua
Tuvalu, la nuova Atlantide
Sentiamo spesso parlare di riscaldamento globale, di effetto serra, d’innalzamento dei mari, senza dare il giusto peso a questi fenomeni. Vivendo nella parte del mondo che dipende dai capricci dei magnati dei combustibili fossili, negli ultimi mesi ci rallegriamo se il cambiamento climatico generato dall’uomo provoca estati più lunghe ed inverni più miti. Agli antipodi, invece, non sono così felici per questi stravolgimenti atmosferici. Ci sono atolli le cui isole stanno piano piano scomparendo, sommerse dai mari.
Tra le isole più colpite c’è Tuvalu, un sorriso di sabbia bianca in mezzo al blu dell’Oceano Pacifico. La sua bandiera contiene nove stelle gialle, una per ciascuna degli atolli che compongono il minuscolo arcipelago. Oggi, due di quelle isole sono sul punto di essere inghiottite dall’innalzamento del livello del mare: la colpa è della crisi climatica globale che ha già causato danni irreversibili e probabilmente renderà la nazione inabitabile nei prossimi decenni[1]. Alla conferenza delle Nazioni Unite (denominata COP26) sui cambiamenti climatici[2] dello scorso novembre[3], Simon Kofe[4], il ministro degli Esteri di Tuvalu, ha tenuto un discorso mentre è immerso nell’acqua. “Il cambiamento climatico e l’innalzamento del livello del mare sono minacce mortali ed esistenziali per Tuvalu e per i Paesi degli atolli bassi”, ha detto Kofe. “Stiamo affondando!!”[5].
La storia di Tuvalu, e la sua bellezza
Tuvalu è un microstato della regione polinesiana dell’Oceano Pacifico meridionale[7]. Appartiene al continente dell’Oceania, a metà strada tra l’Australia e le Hawaii. Il paese è composto da nove isole, sei delle quali sono atolli[8]. È una delle nazioni più piccole e remote del mondo, le cui isole coralline, orlate di palme, sono situate a circa due ore di aereo a nord delle Figi. Se avete sentito parlare di queste isole, senza averle potuto visitare, probabilmente è perché siete collezionisti dei loro francobolli, molto apprezzati dai filatelisti di tutto il mondo[9].
È grazie agli europei, che navigano verso Tuvalu nel XVI secolo, che l’isola viene inclusa nella mappa del mondo. Tuttavia, sono i polinesiani gli occupanti originari[10]. Per la maggior parte del XIX secolo, i navigatori occidentali si riferiscono a questo arcipelago come alle “Isole della Laguna”, un nome gradualmente soppiantato dalle “Isole Ellice”. Quest’ultimo termine diviene ufficiale nel 1892, quando la Gran Bretagna crea il Protettorato, poi Colonia, delle Isole Gilbert ed Ellice[11]. Dal 1877 le isole sono governate dalle Figi[12].
In quegli anni gli abitanti di Tuvalu vengono deportati e fatti schiavi, una pratica chiamata “blackbirding”. È un termine dato al commercio per rapire o ingannare gli abitanti delle isole del Pacifico, in modo che possano essere portati a lavorare la canna da zucchero in Australia[13]. Un genocidio che, insieme alle malattie europee importate, riduce la popolazione da 20’000 abitanti del 1850, a soli 3000 nel 1875[14].
Ispirato dalle teorie razziali pseudoscientifiche in voga all’epoca, la logica coloniale per l’importazione degli isolani è che sono acclimatati a condizioni tropicali troppo impegnative per i lavoratori bianchi. Nessuno si preoccupa della loro salute e della sicurezza, i sorveglianti bianchi sfruttano fino alla morte gli isolani. Il lavoro massacrante, i colpi di calore, le malattie, i maltrattamenti e la malnutrizione uccidono gli isolani a migliaia. Dopo il 1885, i salari dei morti sono stanziati dal governo per finanziare la deportazione dei loro familiari. Negato il lavoro nel mestiere per cui sono stati trasportati, esclusi dai sindacati di soli bianchi, abbandonati dai missionari e considerati come uno sgradito ricordo degli errori del passato da parte del governo, sono spinti ai margini fisici e psicologici della società e rimpatriati negli atolli[15].
Durante la Seconda Guerra Mondiale, un gran numero di soldati delle truppe americane è di stanza sulle isole di Tuvalu: le basi dell’aviazione sono strategicamente posizionate per consentire alle forze alleate di attaccare le basi nemiche a Kiribati[17]. Su Funafuti, la capitale e la città più popolosa della piccola nazione[18] si trova il sito della perforazione effettuata dagli scienziati per dimostrare la teoria di Darwin sulla formazione degli atolli. Sono state trovate prove di vulcani sommersi dopo una perforazione a più di 1000 piedi di profondità[19].
Negli anni ‘50 e ’60, migliaia di inermi isolani sono stati esposti al fallout radioattivo, e ancora oggi soffrono degli effetti delle radiazioni per i test nucleari condotti da Stati Uniti, Regno Unito e Francia[20]. Nazioni che evitano ancor oggi di risarcire la popolazione del Pacifico, che ha un numero crescente di tumori e malformazioni congenite[21]. Nel 1976 le isole vengono separate dalle Gilbert, che divengono lo Stato del Kiribati, ottenendo l’indipendenza come Tuvalu nel 1978[22], dopo più di ottant’anni di dominio coloniale britannico[23]. Oggi è il quarto paese più piccolo del mondo[24]. Il 98% della popolazione è di religione protestante[25].
Tuvalu è una di quelle isole da sogno del Pacifico meridionale dove, in linea di principio, tutti vorremmo ritirarci dal mondo o passare una vacanza. Presenta alcune delle spiagge più immacolate del pianeta, senza la tipica folla e il rumore dei luoghi conquistati dal turismo di massa. È ancora possibile osservare dalla riva i pesci volanti che scivolano nell’acqua.
La noce di cocco costituisce un elemento fondamentale della cucina tradizionale di Tuvalu, oltre al consumo di pesci presenti negli oceani. Tra i piatti tradizionali ci sono il pulaka (preparato con banane, cocco e pane), il granchio al cocco e la carne di maiale[26]. Un’oasi lontana, quindi – ma un’oasi che rischia di scomparire.
La situazione geofisica e metereologica
Tuvalu è riconosciuta dagli scienziati come uno degli Stati più vulnerabili al clima del pianeta. Le sue isole, che hanno una superficie di soli 26 chilometri quadrati e una popolazione di circa 11’600 persone, hanno un’altezza media sul livello del mare inferiore a 3 metri[28]. Più della metà degli abitanti vive su un’unica isola, Fongafale, sul bordo orientale dell’atollo di Funafuti[29].
In Paesi come Tuvalu, dove “si vive su sottili strisce di sabbia e si può vedere la laguna da un lato e l’oceano dall’altro”, gli effetti dell’aumento delle temperature e dell’oceano sono estremi[30]. Non solo Tuvalu è minacciata dall’innalzamento del livello del mare, ma deve anche affrontare l’estrema esposizione agli uragani[31]: prima colpivano l’area raramente, anche ogni 15 anni, ora compaiono un paio di volte a stagione, e le piogge che portano causano inondazioni temporanee, segno di giorni più bui a venire[32].
Il clima è tropicale, con temperature alte tutto l’anno (27°C-29°C) e alte precipitazioni medie annuali (2500-3000 millimetri), la cui variabilità è elevata. La stagione degli uragani tropicali va da novembre ad aprile e la stagione secca da maggio a ottobre[33]. Negli ultimi 40 anni le temperature medie sono aumentate di circa 0,8 gradi. Questi aumenti sono correlati con gli aumenti della temperatura della superficie del mare[34].
Una ricerca ha posto una soglia di 35°C (temperatura dell’aria) alla capacità del corpo umano di regolare la temperatura, oltre la quale anche un periodo molto breve di esposizione può comportare rischi di gravi[35]. I cambiamenti climatici faranno avvicinare le temperature globali a questa “zona di pericolo”. I decessi annuali legati al caldo, nell’area australiana, potrebbero aumentare del 211% entro il 2030 e del 437% entro il 2050[36]. Esiste un database con scenari per accelerare le valutazioni del cambiamento climatico. I nuovi scenari sono chiamati Representative Concentration Pathways (RCP)[37]. Nel grafico si evidenzia la stima sul riscaldamento (RCP8.5), con un aumento medio della temperatura di circa 1,4°C entro il 2050 e di circa 2,9°C entro il 2090.
L’approvvigionamento di acqua dolce dipende quasi esclusivamente dalle precipitazioni. Le acque sotterranee disponibili sono spesso salmastre e inadatte al consumo[39]. Come “isole galleggianti” che non sono direttamente collegate al terreno sottostante, gli atolli si trovano sopra sottili lembi di acqua dolce, che sono sempre più impregnate di acqua salata[40]con il rischio di danni alle infrastrutture[41].
L’innalzamento del livello del mare inoltre rappresenta una seria minaccia per la sicurezza idrica dei Paesi del Pacifico, a causa della potenziale salinizzazione delle fonti di acqua potabile. L’intrusione salina è stata collegata all’aumento dell’ipertensione in gravidanza nella regione del Pacifico[42] e può contribuire ad aumentare i livelli di ipertensione. Ma i segni della catastrofe che attende Tuvalu sono già evidenti sulla sua esile terra. Stagni di acqua marina appaiono qua e là, tratti di spiagge sono inghiottiti dalle onde, le radici degli alberi stanno marcendo a causa dell’oceano[43].
Le morie delle barriere coralline con il riscaldamento e l’acidificazione, portano al potenziale collasso degli ecosistemi marini che forniscono cibo e mezzi di sussistenza agli abitanti delle isole[44]. Non è un problema solo per Tuvalu: molte nazioni insulari del Pacifico potrebbero diventare inabitabili entro pochi decenni. Questo è particolarmente ingiusto, dato che insieme contribuiscono a meno dello 0,03% delle emissioni di carbonio del mondo[45].
Il ministro degli Esteri di Tuvalu Kofe, ha dichiarato che la competizione tra le superpotenze Cina e Stati Uniti per acquisire territori preoccupa, perché distoglie l’attenzione dal cambiamento climatico. La Cina per aumentare la sua presenza ha fatto un patto con le isole Salomone. Gli Stati Uniti hanno messo in guardia le isole se permettono la costruzione di basi militari cinesi[46]. Ciò nonostante, la Cina sta cercando accordi con le isole del Pacifico per la sua vasta flotta peschereccia, un’altra questione chiave per Tuvalu. Le sue navi violano con strafottenza le zone economiche esclusive e causano danni ambientali e perdite economiche[47].
Il progetto paradiso fiscale
Tuvalu è uno dei paesi più poveri del mondo, avendo un patrimonio netto di 36 milioni di dollari e un reddito pro capite annuale di 3048 dollari[49]. L’economia è sostenuta da cinque pilastri principali: la vendita di francobolli, l’acquisizione del dominio internet “.tv”, la pesca (che rappresenta il 50% delle esportazioni totali del paese, guadagnando circa 2 milioni di dollari all’anno), l’allevamento di suini e pollame ed il turismo[50].
Le opportunità di lavoro sono molto limitate[51]. Secondo i dati della Banca Mondiale, nel 2010 il 26,6% della popolazione di Tuvalu vive al di sotto del livello nazionale. La percentuale di persone senza lavoro ed economicamente inattive nella sfera pubblica (come studenti, pensionati e persone che lavorano a tempo pieno in casa) è aumentata dal 19% nel 2004/5 al 24% nel 2010[52]. Per questo motivo, Tuvalu dipende in larga misura dalle rimesse dall’estero, da altre fonti di reddito offshore e dagli aiuti esteri[53]. La diminuzione delle opportunità di lavoro in patria è un’altra conseguenza del cambiamento climatico. Già nel 2011, un rapporto del New York Times ha attribuito il declino dell’industria agricola di Tuvalu all’aumento delle inondazioni e della salinità del suolo causate dall’innalzamento del livello del mare[54]. Sicché il governo tuvaluano cerca nuove strade.
L’Italia, nella legge di stabilità del 2015, inserisce nella black list Tuvalu, considerandolo uno “Stato Canaglia”, perché protegge l’evasione fiscale[55]: nel 2010, infatti, il governo di Tuvalu, per attrarre capitali esteri, diviene una giurisdizione offshore. Istituisce il Tuvalu International Business Registry per facilitare le attività delle società commerciali internazionali e delle compagnie di navigazione[56]. Tuvalu si propone come giurisdizione offshore per le società commerciali internazionali, in particolare per l’industria marittima[57].
Tra le società offshore più importanti, due, la Tuvalu SA[58] e la Tuvalu Overseas Limited, per nascondere ancora di più l’identità dei propri clienti, sono registrate nelle Isole Vergini Britanniche[59]. La Tuvalu SA ha come intermediaria la UBS Trustees (Bahamas), controllata dal colosso bancario svizzero UBS. Le Bahamas sono state a loro volta nel mirino dei funzionari del fisco di tutto il mondo per quasi un secolo. Sono ancora oggi un paradiso fiscale caraibico, la cui segretezza e le cui strutture fiscali hanno attratto multinazionali e criminali[60]. Tuvalu ha anche aiutato ad eludere l’embargo e le sanzioni petrolifere a paesi come l’Iran. Pochi iraniani riescono a trovare il minuscolo stato sulla mappa o ne hanno mai sentito parlare, ma nel 2012 su una flotta di 39 petroliere iraniane, 15 sventolano la bandiera di Tuvalu[61].
Non tutti gli abitanti dell’arcipelago sono poveri. Il governo aiuta i più fortunati a trasferire la propria nazionalità all’estero perché evitino di pagare le tasse sulle loro attività commerciali. La questione della corruzione, in un paese così piccolo, in cui tutti si conoscono, è radicata nel profondo delle coscienze. Nel 2020 centoquaranta residenti nelle isole sono titolari di conti in Australia, il cui sistema finanziario rimane vulnerabile al riciclaggio di denaro e all’elusione fiscale, per un valore di 112 milioni di dollari, circa il 200% del PIL di Tuvalu[62].
Ma i calcoli del governo sono sbagliati: non tengono conto del fatto che, all’interno della grande famiglia delle giurisdizioni che si offrono come paradisi fiscali, questo piccolo Stato è l’ultimo arrivato, e nell’Oceano Pacifico ci sono già paesi (prima di tutto la Nuova Zelanda, ma poi Samoa, Niue[64], e le Isole Marshall, sotto l’influenza cinese ed americana, sono già arrivate a preparare una propria criptovaluta irrintracciabile dai magistrati di tutto il mondo[65].
Per cui, fino al 1999, Tuvalu è rimasto il terzo Stato più povero del mondo – fino a quando un accordo su Internet lo rende ricco in una sola notte[66]. Tuvalu riceve un codice di dominio su Internet, che altro non è che “.tv”[67]. La sua casuale somiglianza con l’abbreviazione di “televisione”, tuttavia, lo rende un vantaggio economico inaspettato; oggi, Tuvalu guadagna circa il 10% del suo reddito annuo lordo concedendo in licenza il dominio a società tecnologiche[68].
Nel 2000 una società di comunicazione californiana[69], nel cui consiglio di amministrazione figura l’ex Primo Ministro di Tuvalu, Koloa Talake[70], acquista il dominio al prezzo stracciato di 40 milioni di dollari. Per i tuvaluani si tratta di una somma che cambia la vita. Gli isolani sono diventati ricchi. Questa improvvisa manna è stata accompagnata, quasi contemporaneamente, dalla notizia che il riscaldamento globale avrebbe presto sommerso le isole.
Se vi capita una fortuna all’improvviso, come la spendete? E se sapete che il vostro mondo, così come lo conoscete, sta per scomparire, cosa fate con il tempo che vi rimane? Per noi Occidentali sono questioni teoriche, buone per una chiacchierata al bar, ma per gli abitanti di Tuvalu sono le domande che contano. I tuvaluani con i loro guadagni hanno costruito nuove strade e discoteche. Sfidando l’innalzamento dell’acqua, innalzano edifici, locali notturni, ristoranti e alberghi.
Le auto appena acquistate percorrono strade appena tracciate. I residenti non pensano che sia strano: “Solo perché stiamo affondando, non significa che non vogliamo migliorare i nostri standard di vita”, ha detto il Ministro delle risorse naturali di Tuvalu. Dei 40 milioni di dollari raccolti con l’accordo internet, 10 milioni sono stati utilizzati per asfaltare i 19 km di strade dell’isola. Prima del 1999 sulle isole circolavano quattro automobili. I tuvaluani andavano ovunque a piedi o in bicicletta. Quando sono arrivati i soldi, Tuvalu è stata invasa da auto e moto[72].
Comprare un’auto è un processo lento e complicato, con gli acquirenti che spesso devono passare attraverso banche o altri istituti finanziari. Nel 2014, il governo di Tuvalu crea una Bitcoin Company[73] per sostituire la valuta nazionale con un token virtuale[74]. Grazie a queste misure, le basse commissioni di transazione dei bitcoin e gli elevati livelli di sicurezza e privacy favoriscono gli abitanti di Tuvalu nell’acquisto delle auto[75].
Il Ministro delle Risorse naturali, incaricato di pavimentare le strade, possiede una delle due sole stazioni di servizio sull’isola principale. La rivoluzione dei motori ha accompagnato un’ondata di altri alimenti e beni importati e ha avuto una conseguenza inaspettata. Molti tuvaluani, avendo rinunciato all’esercizio fisico quotidiano, sono diventati obesi, ipertesi e diabetici. Altri hanno scoperto che la manutenzione dei loro nuovi veicoli è di gran lunga superiore alle loro possibilità e che il lusso stesso non è affatto necessario in uno Stato di soli 26 km². Un’enorme area al centro del paradiso tropicale è ora ricoperta di auto abbandonate e altri rifiuti.
Da dove prendere i soldi necessari per risolvere il problema? L’idea: dagli aiuti internazionali. Per un certo periodo sono state spese ingenti somme di denaro nel tentativo di sensibilizzare l’opinione pubblica internazionale sulla situazione di Tuvalu. Tuvalu è entrata a far parte delle Nazioni Unite, al costo di 1,5 milioni di dollari all’anno. In termini diplomatici, l’adesione non è così costosa, ma l’affitto di un ufficio e i servizi di segreteria a New York sì[76].
Un’altra idea politicamente audace per aumentare gli introiti è stata avanzata dall’ex Primo ministro Koloa Talake: ha proposto di citare in giudizio in un tribunale internazionale i due principali inquinatori del mondo: gli Stati Uniti e l’Australia, rispettivamente i maggiori produttori mondiali e i maggiori produttori pro capite di gas serra, gli unici paesi sviluppati che si sono rifiutati di ratificare il Protocollo di Kyoto del 1997 per aver causato il riscaldamento globale che sta portando alla distruzione di Tuvalu[78].
La popolazione degli Stati Uniti è solo il 5% della popolazione mondiale, eppure sta causando quasi da sola il riscaldamento globale e la perdita delle calotte polari, con conseguente innalzamento del livello del mare, devastando molte popolazioni i cui stili di vita e industrie non contribuiscono quasi per nulla al riscaldamento globale, in particolare le piccole isole[79].
Talake afferma di aver sperato che le sue azioni legali portassero a Tuvalu “diversi milioni di dollari per i danni causati dalle emissioni”[80]. Un’impresa così audace avrebbe trasformato Tuvalu in un’icona per le organizzazioni verdi di tutto il mondo – ma l’iniziativa di Talake è stata soffocata non dall’opposizione internazionale, ma dagli stessi tuvaluani, che hanno votato la sua destituzione. Il sentimento pubblico prevalente era che Tuvalu non può permettersi il tipo di rappresentanza legale necessaria per affrontare giganti come gli Stati Uniti e l’Australia in un tribunale. Oggi anche il paradiso ha un prezzo[81].
Negli ultimi anni Tuvalu ha visto crescere il fenomeno della migrazione dalle isole esterne verso quella principale: la capitale Funafuti. L’atollo è diventato sempre più urbanizzato, negli ultimi 25 anni, ed è sottoposto a una forte pressione demografica. Il censimento del 2012 ha rilevato che il 57% della popolazione del Paese vive a Funafuti, rispetto al 47% del 2002[82]. Inoltre, una ricerca delle Nazioni Unite stima che circa il 15% della popolazione di Tuvalu abbia lasciato il Paese tra il 2005 e il 2015. La gente sta prendendo in considerazione l’emigrazione, ma molti non hanno le risorse finanziarie per farlo[83].
Che fare?
Per sostenere il diritto alla sopravvivenza del Paese il ministro degli Esteri Kofe, ha dichiarato al vertice sul clima COP 27 che è giunto il momento di prendere in considerazione soluzioni alternative. Ha annunciato l’intenzione di creare un clone digitale del piccolo Stato, ricreando isole e monumenti e conservando la sua storia. Tuvalu diventa così la prima nazione digitalizzata nel metaverso, un regno online che utilizza la realtà aumentata e virtuale (VR) per aiutare gli utenti a interagire. “La nostra terra, il nostro oceano, la nostra cultura sono i beni più preziosi della nostra gente e li sposteremo nel cloud per proteggerli dai pericoli, qualunque cosa accada nel mondo fisico”[85].
L’adozione di un’infrastruttura virtuale non solo offre a Tuvalu la possibilità di sopravvivere oltre le devastazioni del cambiamento climatico, ma può anche aiutare il piccolo Paese a mostrare il suo peso come innovatore tecnologico sulla scena internazionale[86]. Tuvalu è stato costretto ad agire perché i paesi di tutto il mondo non stanno facendo abbastanza per evitare il cambiamento climatico, ha spiegato Kofe. Tuvalu sarà il primo paese a replicarsi, seguito da Seoul e dalle Barbados, che hanno annunciato l’anno scorso che entreranno nel regno virtuale rispettivamente per fornire servizi amministrativi e consolari. “L’obiettivo è continuare a funzionare come Stato preservando anche la nostra cultura, conoscenza e storia in un’arena digitale”, ha detto Kofe[87].
Tuvalu è come un canarino nella miniera di carbone. È un avvertimento che il destino di Tuvalu sarà anche il nostro destino, se non cambiamo[88]. Il riscaldamento globale potrebbe creare “stati fantasma” con governi in esilio che guidano cittadini dispersi e terre abbandonate all’innalzamento del mare. Gli esperti dicono che sia una questione di tempo prima che il livello del mare salga di uno o due metri – il che renderebbe necessario forzare l’evacuazione permanente di isole come Tuvalu. Il cambiamento climatico potrebbe nel futuro costringere un miliardo di persone nel mondo a migrare[89].
La prosperità della popolazione di Tuvalu dipende da una gestione efficace dei cambiamenti climatici[90]. Fin dagli anni ‘80 il Paese ha fatto ripetuti tentativi di costruire infrastrutture per la protezione contro le catastrofi, ma non sono riusciti a fornire una difesa adeguata e duratura[91]. Gli investimenti per la protezione costano molto meno della ricostruzione dopo un disastro[92]. Nel 2015 Tuvalu ha firmato e ratificato l’Accordo di Parigi e l’NDC, il Contributo Nazionale Determinato[93]. Questo documento riassume i rischi climatici che Tuvalu deve affrontare. Tra questi, la rapida insorgenza e i cambiamenti a lungo termine dei principali parametri climatici, nonché gli impatti di questi cambiamenti sulle comunità, sui mezzi di sussistenza e sulle economie[94].
Il fascino della catastrofe
I giornalisti sono affascinati da paesi come Tuvalu, Kiribati e Maldive, perché sono storie catastrofiche di portata finora sconosciuta. Questi paradisi da cartolina sono diventati i poster di una crisi planetaria, con i loro abitanti scelti come i primi rifugiati climatici del mondo[96]. “Tuvalu affonda oggi, il resto di noi domani?”[97] è un tipico titolo. Gli abitanti delle isole hanno proposto al loro ex governatore generale, Iakoba Taeia Italeli[98], di diventare segretario generale del Commonwealth, in modo di aumentare il suo potere alla ricerca di una piattaforma internazionale sul cambiamento climatico.
In effetti, il Commonwealth “non è riuscito a parlare con una sola voce” alla COP26, grida Italeli. Nonostante tra i suoi membri ci siano 32 dei 42 stati più piccoli del mondo, tutti pesantemente colpiti dai cambiamenti climatici[99]. Il presidente delle Isole Marshall, Kabua, insieme ai leader di Tuvalu e Kiribati, intende lanciare l’Iniziativa delle Nazioni Nascenti per sollecitare sforzi innovativi tra i Paesi insulari del Pacifico per combattere il cambiamento climatico[100] con misure severe sui combustibili fossili, compresi l’aviazione e il trasporto marittimo, e con la decisione di eliminare gradualmente il carbone come fonte di energia entro il 2030: la direzione opposta a quella dell’Europa, a causa dell’invasione dell’Ucraina[101].
Tuvalu è una metafora del nostro pianeta. La sua scarsa efficienza ambientale non è più eclatante di quella della maggior parte degli altri paesi. Ma poiché è fragile, remota, povera di risorse e bassa, Tuvalu ha meno spazio per l’errore: le conseguenze, e il futuro, arrivano prima. E con maggior forza[102]. Al verificarsi della catastrofe gli abitanti dovranno abbandonare le isole. L’immigrazione di massa nella vicina isola di Kioa, popolata da espatriati, è fuori questione, dato il suo rifiuto di assorbire altri nuovi arrivati. L’Australia è tutt’altro che entusiasta di far entrare i tuvaluani, mentre la Nuova Zelanda accetta di assorbirli sulla base di una quota annuale. La speranza di mantenere il senso di appartenenza ad un’unica comunità, dopo l’inabissamento, è pari a zero[103].
Ma quanto è reale la minaccia? Le nazioni insulari come Tuvalu, dove la maggior parte della terra è appena sopra il livello del mare, sono destinate ad affondare sotto le onde, come Atlantide? Non necessariamente, secondo un numero crescente di prove raccolte dal geomorfologo neozelandese Paul Kench[104], della School of Environment dell’Università di Auckland, e colleghi in Australia e Fiji, che hanno studiato come le isole coralline nel Pacifico e nell’Oceano Indiano rispondono all’innalzamento del livello del mare[105].
Kench[107] e colleghi non hanno trovato prove di un’erosione intensificata. Dopo aver esaminato più di un secolo di dati, comprese vecchie mappe e immagini aeree e satellitari, concludono che 18 isole su 29 studiate sono effettivamente cresciute[108]. Nel complesso, il gruppo è cresciuto di oltre 18 ettari, mentre molte isole hanno cambiato forma, o si sono spostate lateralmente[109]. L’atollo principale di Tuvalu, Funafuti, 33 isole distribuite attorno al bordo di una grande laguna, ha guadagnato 75 acri (32 ettari) di terra negli ultimi 115 anni[110].
“C’è ancora una considerevole speculazione sul fatto che le isole spariranno con l’innalzamento del livello del mare”, afferma Kench. “I nostri dati indicano che il futuro delle isole è molto diverso”, e “al momento non ci sono prove che queste isole stiano per affondare”, afferma Virginie Duvat[111] dell’Università di La Rochelle in Francia. Lei, insieme ad altri ricercatori, cerca di combattere l’idea diffusa che l’innalzamento del livello del mare significherà la fine per gli atolli[112]. Che sia un escamotage per ottenere sussidi milionari o per abbandonare le isole in cui non vi è possibilità di guadagno?
Alcuni critici hanno etichettato i leader dell’isola come opportunisti che cercano sussidi stranieri e riconoscimenti speciali per aspiranti “rifugiati ambientali”. Dicono che stanno sfruttando la crisi per ottenere l’ingresso in Nuova Zelanda e Australia. Altri hanno persino affermato che le persone e le organizzazioni simpatizzanti per Tuvalu sono “eco-imperialisti”, intenti a imporre le loro visioni ambientaliste allarmiste al resto del mondo[113]. La verità, come sempre, sta nel mezzo. La verità è che non sappiamo con certezza cosa accadrà, ma sarebbe meglio se prendessimo le precauzioni necessarie per evitare l’affascinante catastrofe di avere una nuova Atlantide.
La sostanza non cambia. Gli abitanti di Tuvalu non hanno nessuna voglia di andarsene. Recita un loro proverbio, rivolto ai giovani che lasciano i loro villaggi per le sfavillanti luci di lidi stranieri: “La tua corda da arrampicata ti aspetta”. Non importa per quanto tempo sarai lontano da Tuvalu, le isole ti riporteranno indietro. Riprenderai il tuo posto nella comunità, scalerai di nuovo le palme da cocco. Proprio come le isole della barriera corallina, che si erodono, ma rinascono nel tempo[114].
[1] https://www.france24.com/en/live-news/20220921-as-tiny-tuvalu-sinks-pm-fights-to-save-the-archipelago-s-identity
[2] https://ukcop26.org/it/perche-ospitiamo-il-vertice/che-cose-la-cop/
[3] https://www.theguardian.com/environment/2022/nov/05/20-climate-photographs-that-changed-the-world
[4] https://www.linkedin.com/in/simon-kofe-71752435/?originalSubdomain=tv
[5] https://www.theguardian.com/environment/2022/nov/05/20-climate-photographs-that-changed-the-world
[6] https://www.reuters.com/world/asia-pacific/tuvalu-sinking-pacific-fears-becoming-superpower-pawn-2022-05-13/
[7] https://climateknowledgeportal.worldbank.org/sites/default/files/2021-06/15824-WB_Tuvalu%20Country%20Profile-WEB.pdf pag. 2
[8] https://savingtuvalu.org/explore/
[9] https://www.theguardian.com/money/2005/feb/19/scamsandfraud.jobsandmoney
[10] https://sbnri.com/blog/travel/why-tuvalu-is-an-incredible-travel-destination
[11] https://www.everyculture.com/To-Z/Tuvalu.html
[12] https://www.worldtravelguide.net/guides/oceania/tuvalu/history-language-culture/
[13] https://theconversation.com/from-the-caribbean-to-queensland-re-examining-australias-blackbirding-past-and-its-roots-in-the-global-slave-trade-158530
[14] https://www.worldtravelguide.net/guides/oceania/tuvalu/history-language-culture/
[15] https://www.themonthly.com.au/issue/2019/july/1561989600/alex-mckinnon/blackbirds-australia-s-hidden-slave-trade-history#mtr
[16] https://www.themonthly.com.au/issue/2019/july/1561989600/alex-mckinnon/blackbirds-australia-s-hidden-slave-trade-history#mtr
[17] https://www.timelesstuvalu.com/tour-item/history-and-archaeology/
[18] https://www.turismo.it/oltreconfine/scheda/funafuti/
[19] https://www.timelesstuvalu.com/tour-item/history-and-archaeology/
[20] https://hibakusha-worldwide.org/en/locations/kiritimati-and-malden
[21] https://diem25.org/death-paradise-the-aftermath-nuclear-testing-australia-and-oceania/
[22] https://www.worldtravelguide.net/guides/oceania/tuvalu/history-language-culture/
[23] https://taxmoneyhavens.com/2010/09/06/the-tuvalu-international-business-corporation-very-competitive/
[24] https://www.discovermagazine.com/environment/can-the-blockchain-give-this-island-nation-threatened-by-climate-change-a
[25] https://www.worldtravelguide.net/guides/oceania/tuvalu/history-language-culture/
[26] https://sbnri.com/blog/travel/why-tuvalu-is-an-incredible-travel-destination
[27] https://diem25.org/death-paradise-the-aftermath-nuclear-testing-australia-and-oceania/
[28] https://climateknowledgeportal.worldbank.org/sites/default/files/2021-06/15824-WB_Tuvalu%20Country%20Profile-WEB.pdf pag. 2-4
[29] https://www.nationalgeographic.com/science/article/150213-tuvalu-sopoaga-kench-kiribati-maldives-cyclone-marshall-islands
[30] https://www.theguardian.com/environment/2022/nov/05/20-climate-photographs-that-changed-the-world
[31] https://wires.onlinelibrary.wiley.com/doi/abs/10.1002/wcc.371
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[38] https://climateknowledgeportal.worldbank.org/sites/default/files/2021-06/15824-WB_Tuvalu%20Country%20Profile-WEB.pdf pag.8
[39] https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/21486720/
[40] https://www.france24.com/en/live-news/20220921-as-tiny-tuvalu-sinks-pm-fights-to-save-the-archipelago-s-identity
[41] https://ui.adsabs.harvard.edu/abs/2016NatCC…6.1100H/abstract
[42] https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/21486720/
[43] https://www.theguardian.com/theguardian/2005/mar/04/features11.g21
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[48] https://collections.unu.edu/eserv/UNU:5856/Online_No_18_Tuvalu_Report_161207_.pdf pag. 70
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[51] https://www.discovermagazine.com/environment/can-the-blockchain-give-this-island-nation-threatened-by-climate-change-a
[52] https://www.adb.org/sites/default/files/linked-documents/cobp-tuv-2017-2019-ld-02.pdf pag. 24
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[88] https://www.laprogressive.com/racism/tuvalu-as-metaphor-for-black-america
[89] https://www.theguardian.com/environment/2009/sep/29/sea-levels-ghost-states
[90] https://www.preventionweb.net/files/68527_tuvalunationalclimatepolicy.pdf
[91] https://climateknowledgeportal.worldbank.org/sites/default/files/2021-06/15824-WB_Tuvalu%20Country%20Profile-WEB.pdf pag. 3
[92] https://climateknowledgeportal.worldbank.org/sites/default/files/2021-06/15824-WB_Tuvalu%20Country%20Profile-WEB.pdf pag. 19
[93] https://unfccc.int/NDCREG
[94] https://climateknowledgeportal.worldbank.org/sites/default/files/2021-06/15824-WB_Tuvalu%20Country%20Profile-WEB.pdf pag. 3
[95] https://collections.unu.edu/eserv/UNU:5856/Online_No_18_Tuvalu_Report_161207_.pdf pag 16
[96] https://www.nationalgeographic.com/science/article/150213-tuvalu-sopoaga-kench-kiribati-maldives-cyclone-marshall-islands
[97] https://www.latimes.com/archives/la-xpm-2002-feb-18-oe-reichert18-story.html
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[99] https://www.reuters.com/world/asia-pacific/tuvalu-sinking-pacific-fears-becoming-superpower-pawn-2022-05-13/
[100] https://apnews.com/article/united-nations-general-assembly-marshall-islands-trending-news-climate-and-environment-8f6ed006ae238d349899a30c5835d346
[101] https://apnews.com/article/united-nations-general-assembly-drowning-island-nations-75f5390daf98d1d385da7dd4a869ae09
[102] https://www.smithsonianmag.com/science-nature/will-tuvalu-disappear-beneath-the-sea-180940704/
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[105] https://www.nationalgeographic.com/science/article/150213-tuvalu-sopoaga-kench-kiribati-maldives-cyclone-marshall-islands
[106] https://www.adb.org/sites/default/files/linked-documents/cobp-tuv-2017-2019-ld-02.pdf pag.V
[107] https://pubs.geoscienceworld.org/gsa/geology/article-abstract/43/6/515/131899/Coral-islands-defy-sea-level-rise-over-the-past?redirectedFrom=fulltext
[108] https://pubs.geoscienceworld.org/gsa/geology/article-abstract/43/6/515/131899/Coral-islands-defy-sea-level-rise-over-the-past?redirectedFrom=fulltext
[109] https://www.newscientist.com/article/dn27639-small-atoll-islands-may-grow-not-sink-as-sea-levels-rise/?ignored=irrelevant#.VX4fFGB3uCQ
[110] https://www.nationalgeographic.com/science/article/150213-tuvalu-sopoaga-kench-kiribati-maldives-cyclone-marshall-islands
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[112] https://www.newscientist.com/article/dn27639-small-atoll-islands-may-grow-not-sink-as-sea-levels-rise/?ignored=irrelevant#.VX4fFGB3uCQ
[113] https://www.smithsonianmag.com/science-nature/will-tuvalu-disappear-beneath-the-sea-180940704/
[114] https://www.nationalgeographic.com/science/article/150213-tuvalu-sopoaga-kench-kiribati-maldives-cyclone-marshall-islands
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