Costume

Voto o non voto?

19 Settembre 2022

“Tom!”

No answer.

“Tom!”

No answer.

“What’s gone with that boy, I wonder? You Tom!”

No answer.

 

“Tom!”

Nessuna risposta.

“Tom!”

Nessuna risposta.

“Che fine ha fatto quel ragazzo, mi domando? Ehi Tom!”

Nessuna risposta.

 

Mark Twain, Le avventure di Tom Sawyer, incipit

 

 

Quando al ginnasio il professore di greco e quello di filosofia enunciavano la massima delfica “conosci te stesso” – come se si trattasse della epitome della saggezza universale – ciò che ogni volta mi veniva in mente può essere sintetizzato in un solo avverbio interrogativo: Perché? Non ho mai pronunciato quell’avverbio ad alta voce dal momento che tutti – era evidente – davano assolutamente per scontata la sentenza e, semmai, opinavano sull’entità dell’impegno che, fino ad allora, ci avevano profuso, riservandosi di fare di più in futuro. Io, per parte mia, fin da allora avevo cominciato a intuire quello che dopo ho imparato a menadito e a mie spese: che meno mi esprimevo, meglio me la passavo; già mi ero formato insomma l’idea che evitare con cura di manifestare ciò che pensavo era l’unica maniera per non rendermi odioso. Crescendo non ho purtroppo sempre dato seguito a quella mia giovanile intuizione. Ad ogni modo, quella mia domanda, essendo inespressa, rimaneva ovviamente anche inevasa – che vi rispondessi io era fuori questione, ho molto meno talento a rispondere che a domandare. E inevasa lo è ancora oggi. Per quanto infatti abbia cercato, da allora, qualcuno che vi rispondesse devo ammettere che purtroppo non l’ho mai trovato. Per questo, alla fine, ho derubricato la questione tra quelle che pertengono al gusto personale: parecchi gradiscono fare la propria conoscenza. Moltissimi, anzi. Forse quasi tutti. Io no. Non sono interessato a conoscermi e, qualora, mai avessi nutrito un barlume d’interesse ci ho ormai rinunciato da un pezzo. Lascio agli altri l’incombenza. Di conoscersi e, se proprio lo desiderano – ma non credo – di conoscermi. Io, per me, mi classifico come non conoscibile. E non credo che la cosa riguardi me solamente, credo che quasi nessuno, in realtà, lo sia…ma se a loro piace crederlo…chi sono io per avere qualcosa in contrario? Si accomodino pure, si conoscano. O per lo meno ci provino. Per quel che mi riguarda, il fatto di non essere propenso a fare la mia conoscenza mi ha sempre esentato da certe forme, le più fastidiose, di intimità. Ma non mi ha esonerato dalla necessità di bazzicarmi. Per forza di cose, di tanto in tanto, è pur necessario che mi frequenti, non posso evitarlo se voglio espletare certe imprescindibili incombenze della vita quotidiana. Succede allora che, essendo poco pratico dei miei processi mentali, io mi colga qualche volta di sorpresa. Faccio un esempio proprio terra terra. Tra qualche giorno ci saranno le elezioni e, siccome me lo chiedevano gli altri, ho dovuto chiederlo anche a me stesso: “Che cosa intendi fare?”. Ed ecco la sorpresa: nessuna risposta. Dove diavolo mi sono cacciato? Per cercarmi ho dovuto per forza dare un’occhiata all’altro versante. Quello al buio. Così ho scoperto quanto segue: se andassi a votare mi sentirei un cretino. Diamine! C’è da saltare sulla sedia. Non andare a votare è diventata forse, per me, una forma di autodifesa – estrema e ultima? Non lo so! Ma la sensazione è lì, stranamente corposa – per essere solo una sensazione – che mi sorride, beffarda e perentoria come i telegrammi di una volta:

Ritieni intelligenza degna rispetto?

Stop

Non votare

Stop.

Ho provato a chiedere spiegazioni…niente da fare. Null’altro che quel criptico telegramma. So bene che rivelando questo mi metto dalla parte del torto – tanto per non perdere l’abitudine. Ci si aspetta sempre, da chi scrive, una qualche disamina della situazione, un’analisi approfondita dei programmi elettorali, magari del partito, a occhio e croce, più a sinistra di tutti che pare non sia poi tanto male (a parte un frontman indigeribile…ma queste coi tempi che corrono sono quisquilie). E invece no: solo intimismo – che poi intimismo non può essere, dato che, come ho detto, non mi sono neanche intimo. Soltanto una banale, insulsa, generica sensazione che si mischia a un’impressione altrettanto inconsistente: che meno saranno quelli che andranno a votare meglio sarà; e che se a votare fosse soltanto quel venticinque per cento, o giù di lì, di privilegiati di cui parlano le statistiche – i quali (mascherata elettorale o meno) sono di fatto i soli padroni del Paese – allora le cose si farebbero più chiare. Perché? Non vorrei essere retorico o professorale ma lo spiego subito. Premetto di non essere affatto contrario al suffragio universale. Ma non ritengo affatto che votare sia un dovere. Anzi credo che la storiella del “dovere” del voto sia una truffaldina sciocchezza che lascio volentieri agli insegnanti di educazione civica. Quelli come me vanno a votare quando gli conviene, il che accade sempre più di rado. E sono nauseato da una farsa elettorale che, travestita da suffragio universale, è diventata lo strumento più efficace per il mantenimento del privilegio. Credo che ci siano, tra i benestanti e i privilegiati, due grandi tipologie: quelli che possono permettersi di votare e lo fanno e quelli che pur potendo permettersi di votare non lo fanno. Per loro si tratta di una questione di gusto – lo chiamano “fare politica” ed è perfino più divertente del bigliardo; è come quando si arredano la casa o scelgono il ristorante (spassosissime, a questo proposito le riflessioni sulla “dignità del non-voto” scritte di recente da qualche gazzettiere di riferimento del privilegio che nessuno, voglio sperare, confonderà con ciò che sto scrivendo io). Poi invece ci sono quelli che, non essendo dei privilegiati, NON possono permettersi di votare e, se lo fanno, stanno facendo qualcosa che è molto al di sopra delle loro possibilità. Qualcosa che pagano sempre con la loro stessa esistenza. Io, che votino o no, che abbiano o no ragione, sto dalla loro parte. Quindi non sono affatto, lo ripeto, contrario al voto. E non si tratta neanche di un modo per “non prendere posizione”, come dicono quelli che si posizionano sempre dove gli viene detto di posizionarsi. Non vado a votare proprio perché prendo posizione. Mi posiziono dalla parte diametralmente opposta a quei bravi cittadini che, dal momento che stanno bene dove stanno, hanno sempre in bocca la democrazia, il civismo e il progresso – purché nessuno al mondo mai si permetta di toccare i privilegi di cui già godono. Quelli della vecchia barzelletta che “il voto è un dovere”. Certo: questa è la loro “democrazia”. Una democrazia fatta a loro immagine e somiglianza. Ma non è la mia. Perciò il mio non-voto sarà, per lo meno, un non-voto utile. Utile a me, voglio dire, per stare alla larga da questa gente. Io mi accontento di poco. Ma posizionandomi dalla parte opposta mi posiziono, come dicevo, proprio al fianco di quella canaille ignorante, becera e incapace di analizzare la politica, di quel popolo bue sul quale loro, molto democraticamente, sputano e che non andrà a votare in massa perché troppo impegnato, ogni giorno, semplicemente a sopravvivere. Diciamo dunque che è anche questione di appartenenza. E spero che saremo in tanti a non votare. Anzi in tantissimi. Perché se a votare fosse davvero solo chi se la passa bene e parla “democraticamente” a nome di tutti, questo ci aiuterebbe a risolvere quello che per adesso sembra un enigma: come possono uomini e donne che godono di redditi e privilegi fare gli interessi di un pensionato con seicento euro al mese o di un operaio con mille euro al mese? Perché vogliono che quel pensionato e quell’operaio continui a ratificare, con il suo miserabile voto, la sua miseria e il suo sfruttamento? E a ringraziarli, per di più, di preservare quel sistema che lo opprime. Se si eleggessero da soli, finalmente, ci avvicineremmo di un passo alla rocciosa, inossidabile, concreta, realtà di questo sistema. Solo un passo forse…ma avvicinarsi alla realtà non è mai un piccolo passo.

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