Mobilità
Quella vecchia amica Buick, il cui viaggio non finisce mai
L’aveva guidata da solo, raccattando di volta in volta qualche autostoppista con cui scambiare il calore umano (ed un’unica comune coperta che avvolgeva i sacchi a pelo) nelle notti gelide dell’inverno canadese, partendo dal Circolo Polare Artico, sbagliando cento volte strada, perdendosi a volte apposta, a volte per stanchezza, lungo le strade che portano a sud, fino alla Route 66, e da lì fino a San Francisco. Un’odissea, altro che viaggio.
Così come accadeva in Canada, con gli Squires, quell’auto così simile ad un catafalco era diventata il simbolo visivo della band. Una volta in California, i Buffalo Springfield la usavano perché aveva tantissimo spazio nel quale caricare non solo le persone, ma anche gli strumenti. A quel punto l’auto aveva un nome. Neil Young l’aveva chiamata Mortimer Hearseburg, ma gli altri, specie Stephen Stills e Richie Furay, la chiamavano Mort. La leggenda racconta che l’auto tirò le cuoia nel paesino Blind River, nel lontanissimo Ontario, in un anno che veniva contraddetto in ogni nuovo racconto. Ma la realtà è che Neil vendette l’auto quando Bruce Palmer venne rimpatriato d’autorità dalla Polizia americana perché gli era scaduto il permesso di soggiorno, la band venne dissolta e lui si trovò di colpo senza un solo dollaro in tasca.
La Buick Roadmaster è stata una serie di auto prodotte dalla casa automobilistica americana tra il 1931 ed il 1958 e venne sviluppata, per adeguarla ai nuovi gusti ed allo sviluppo tecnologico, moltissime volte. Durante la guerra uscì la T70 che, rispetto alle altre serie, era più dignitosa (o triste), più lenta, più solida ed affidabile – un’auto che poteva essere riparata indefinitamente e continuare a viaggiare per una vita. Vent’anni dopo che la Buick, nel 1948, aveva sostituito anche questo modello, si stima che ce fossero ancora 35’000 in giro per il Nordamerica, e che la maggior parte di queste avesse al volante un rappresentante di commercio vicino alla pensione, di quelli che fanno migliaia di chilometri ogni settimana, o un ragazzo alla sua prima guida – perché nella seconda metà degli anni 60 una Buick Roadmaster costava davvero poco.
Per Neil era anche l’auto con cui aveva viaggiato per tutta la sua gioventù, spesso con Joni Mitchell, il loro produttore Elliott Roberts, ed il suo amico chitarrista, il povero Danny Whitten, su cui un giorno o l’altro scriverò qualcosa di commovente e nostalgico. Suonavano di città in città, dormivano in auto, si lavavano con il tubi di gomma alle stazioni di benzina e, quando erano in città, portavano insieme i vestiti negli shops pieni di lavatrici che riempiono ancora oggi l’America – altro che hamburger. Era l’auto con cui spariva per settimane quando si innamorava perdutamente, per poi riapparire, ancora più scontroso e scorbutico, quando la cosa era finita male. Mort era l’amico saggio ed anziano. Era casa. Era la libertà. Era l’amicizia.
Venduta l’auto, la sera, in un motel, Neil Young scrisse una canzone d’amore per Mort. Una canzone piena di nostalgia che dice: “Quante ne abbiamo passate, insieme, bauli pieni di ricordi che devono ancora tornare, occupando il tempo mentre fuori c’era la bufera… forse adesso ti guidano I Beach Boys e cantano Caroline No scendendo il vuoto lungomare che porta alle onde del surf… in ogni caso, nonostante tutti questi cambiamenti, col tuo cuore cromato che risplende al sole – Che tu possa correre a lungo, davvero, che tu possa correre a lungo…”
Direte: è solo un’auto, e pure brutta, e vi risponderò che ciò che chiamiamo casa ha una sua bellezza e calore che comprende tutto ciò che quella casa ha attraversato. E se Mort ha attraversato tutta una adolescenza ed una gioventù, fame e paura, solitudine ed euforia, nessuno può definirla “solo un’auto”. Ad avercelo avuto, un amico così, quando ne abbiamo avuto bisogno. Uno che non ti pianta per 10mila chilometri e ti abbraccia ogni sera, chiunque tu, quella sera, ti senta di essere, o di diventare.
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