Società

Vi racconto il coraggio dei ragazzi dei Balzi Rossi

7 Luglio 2015

Scende, insieme con gli altri, dal pullmino della Croce Rossa, mi guarda, mi sorride e alza le braccia. È il classico movimento che in parole si tradurrebbe con “non ce l’ho fatta, sono di nuovo qui”. Qui è Ventimiglia, nell’edificio del dopolavoro ferroviario concesso alla Croce Rossa locale per ospitare i cosiddetti “migranti in transito”. Se solo le azioni fossero tanto veloci quanto l’attribuzione di etichette! Scendono alla spicciolata uomini e donne, alcune anche appesantite da una pancia di 8 mesi. Ci hanno provato, hanno oltrepassato quel muro in carne e ossa della Gendarmerie e della CRS, ma poi sono stati fermati e riportati indietro. Se fosse un gioco ci sarebbe da maledire la sfortuna ridendoci su, ma questa è vita che t’illude solo un pizzico e poi ti riporta al punto d’inizio. Perdi tutto e torna indietro e in quel tutto ci sono la dignità, la speranza e quei pochi stracci accumulati durante la permanenza in Italia. Quasi quasi sembra di stare meglio sugli scogli, lì con i ragazzi dei Balzi Rossi che hanno deciso di urlare, soffrire sotto il caldo, dormire e mangiare sugli scogli (solo quando cala il sole però  perché c’è il Ramadan) e nel frattempo contribuire, anzi essere causa della nascita di una piccola comunità. All’inizio era la protesta scandita con quel coro inventato da Ibrahim “we’re not going back”, poi è arrivata l’attesa del Vertice Europeo, alla fine la delusione, lo sconforto e per qualcuno la partenza. In mezzo all’umore ballerino si sono inserite Daniela e le sue amiche francesi che hanno creato un gruppo su facebook per portare ogni sera di tutto; ci si è messo l’Imam di Nizza con il suo stuolo di volontari sempre pronti a cucinare piatti arabi caldi da servire in frontiera alle 20.20 puntuali; ci si è messa la bimba delle caramelle che, educata dai genitori a non aver paura, si è lanciata fin da subito in mezzo ai ragazzi disegnando cuori sulle loro braccia; ci si è messa Fiamma della CRI Liguria che è andata al di là di ciò per cui era venuta e ha fatto da mediatrice, psicologa, addetta alla comunicazione, mamma; ci si sono messe le decine e decine di italiani e francesi che incessantemente hanno portato vestiti,  acqua, scarpe e tutto ciò che servisse davvero. Una Comunità appunto che ha trascorso infiniti pomeriggi di caldo a insegnare ai ragazzi l’italiano, il francese, la geografia e la composizione dell’Europa. Quei 28 Stati tanto indifferenti e tanto succubi delle tornate elettorali da chiudersi come ricci facendo spuntare aculei alti quanto muri. Di fronte a tanto egoismo come fai a rispondere a Ibrahim che ti chiede perché non può andare, come fai a non vergognarti di non avere risposte quando ti chiede “How can I do?”. Ti senti impotente anche di fronte ai discorsi di Youssuf quando, con maturità e grande lucidità nonostante gli appena 22 anni, mi racconta la sua scelta. “Nel mio Paese (Sudan) non abbiamo niente, non abbiamo lavoro. Io ero già partito una volta per la Libia. Lavoravo lì, ma adesso è diventato impossibile viverci. Io chiedo solo di studiare e lavorare, non voglio molto di più. L’Europa non capisce che un popolo affamato è più facile da corrompere e se continua ad alzare muri, farà il gioco dell’Isis”. E allora ecco che mi appare davanti in tutta la sua forza il coraggio di questi ragazzi che hanno deciso di affrontare violenze, trafficanti, il deserto, hanno schivato o si sono lasciati colpire da pallottole, hanno attraversato il mare e poi magari di nuovo i passeurs tra i confini ‘democratici’ dell’Europa. Hanno scelto la strada più difficile con coraggio e dignità senza rinunciare all’idea di non arrendersi.  È con questi ragazzi che si dovrebbe parlare per capire davvero ciò che succede nell’altra parte del mondo, in quella che rifiuta una situazione coatta e disperata. È con questi ragazzi che dovrebbero parlare i nostri Governanti sempre pronti a decidere facendo leva sull’unico sentimento che ci accomuna davvero tutti: la paura. La paura che abbiamo di qua di poter circolare liberamente, la paura che hanno di là di finire morti  ammazzati. Al contrario serve quel coraggio che a Ventimiglia mi è stato insegnato dai ragazzi del Balzi Rossi.

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