Università
Ricercatori rimpatriati: una scelta equa e lungimirante in legge di bilancio
Pochi giorni fa scrivevo un articolo accorato denunciando un trattamento ingiusto e discriminatorio nei confronti dei docenti e ricercatori rimpatriati prima del 2020.
I nostri appelli, fortunatamente, questa volta non sono caduti nel vuoto. La Commissione Bilancio del Senato ha approvato l’emendamento che finalmente sana la disparità di trattamento e consente anche ai docenti e ricercatori rimpatriati prima del 2020 che abbiano comprato casa e abbiano figli minorenni a carico di optare per un prolungamento delle agevolazioni fiscali. Questa opzione era già possibile da un anno a questa parte per i lavoratori del settore privato, ma docenti e ricercatori erano stati esclusi.
Come categoria siamo grati agli Onorevoli del Movimento 5 Stelle Andrea Giarrizzo e Roberta Alaimo, che si sono spesi da un anno a questa parte per arrivare a questo risultato, e ai loro colleghi del Senato, in particolare Vincenzo Santangelo e Maria Domenica Castellone, che hanno firmato, segnalato e seguito l’emendamento. All’azione parlamentare si è affiancata l’azione governativa da parte del MUR, in particolare grazie al dott. Giuseppe Cerrone e alla dott.ssa Giulia De Gasperis, che hanno seguito la non facile mediazione con il MEF e la ragioneria di Stato per garantire le coperture economiche.
Una riflessione all’indomani di questo importante risultato è d’obbligo: che cosa rivela questa vicenda dello stato di salute della ricerca in Italia? La scelta del Senato è stata equa e lungimirante: non solo si è ristabilito il principio costituzionale di equità, potenzialmente violato con l’esclusione unilaterale di una categoria di lavoratori e lavoratrici, ma si è anche investito sul radicamento in Italia di persone il cui lavoro crea un enorme valore aggiunto per il nostro Paese e per le generazioni future. Tuttavia, il percorso travagliato e insidioso che ha portato a questo risultato, così come l’esclusione originaria rivelano che c’è ancora un divario da colmare, a livello di percezione comune e di mentalità politica, tra l’affermazione astratta dell’importanza della ricerca e la concretezza del trattamento dei ricercatori. In Italia lo stipendio dei docenti e ricercatori è ancora troppo basso rispetto a quello dei colleghi europei e americani. Se si vuole che le migliori menti del nostro Paese non emigrino e che giovani promettenti scelgano la ricerca come ambito lavorativo occorre agire incisivamente e subito. Sono necessari percorsi lavorativi stabili e adeguatamente remunerati a chi sceglie di lavorare in ambito accademico, altrimenti lasceremo la ricerca in mano ai pochi privilegiati che possono permettersi di farla come hobby. Non è possibile che dopo il dottorato si apra una voragine di precarietà, lavoro gratuito e incertezza che può durare anni, se non decenni, e comunque senza garantire nulla ai temerari che decidono imbarcarsi nell’impresa. L’angoscia non genera eccellenza, ma soltanto ulteriore angoscia. Lo spettro di rimanere disoccupati ogni due anni non aiuta a tirar fuori il meglio di sé. Occorre che lo Stato si faccia carico di garantire alla ricerca e alle persone che la svolgono la possibilità di vivere una vita serena e di costruire un proprio percorso solido e proficuo in Italia, attraendo anche ricercatori e ricercatrici d’eccellenza dall’estero. Per questo speriamo di continuare il dialogo iniziato con i politici e le istituzioni, affinché i prossimi anni segnino una rinascita della ricerca e dell’università.
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