Università
Quali scelte e quali politiche per la reputazione dell’università?
L’università è una delle istituzioni cardine di un paese avanzato. La valutazione della sua qualità a livello internazionale è centrale per comprendere come esso viene giudicato dal resto del mondo.
Italiadecide, in collaborazione con Intesa Sanpaolo, ha realizzato la ricerca “L’Italia e la sua reputazione: l’università”, i cui risultati sono stati presentati attraverso un ciclo di quattro appuntamenti ospitati dall’Università LUISS. L’obiettivo della ricerca non è solo quello di verificare la capacità del sistema universitario italiano di crescere, attrarre e trattenere risorse, investimenti e talenti, ma anche di analizzare la posizione attribuita all’Italia nelle principali classifiche internazionali per trarre indicazioni utili per incrementare la reputazione del Paese.
Oggi in diretta streaming su Luiss Social TV si è svolto il quarto webinar dal titolo “Quali scelte e quali politiche per la reputazione dell’università“ a cui hanno partecipato Daniela Viglione, di Italiadecide, Gian Maria Gros-Pietro, presidente Intesa Sanpaolo, Luciano Violante, presidente Fondazione Leonardo – Civiltà delle Macchine, Paola Severino, vice presidente Università Luiss Guido Carli, e Gaetano Manfredi, ministro dell’Università e della Ricerca del governo Conte.
«La ricerca è importantissima, dà un risultato in linea con quanto dichiarato dal presidente Draghi che dice di aver spesso constatato che il giudizio del nostro paese all’estero è molto più positivo di quello che abbiamo noi qui», ha commentato Gian Maria Gros-Pietro, presidente di Intesa Sanpaolo. «La metà dei nostri atenei è tra i top del mondo. Non siamo soddisfatti però del posizionamento delle università, non siamo ai primissimi posti. La reputazione è importante, significa attrarre migliori i talenti, sia tra i docenti che tra gli studenti. Il ranking è una parte della reputazione. Ci si basa però su metodi e assunzioni che derivano dalla formazione di eminenti persone che lavorano nel campo e quindi è naturale che riflettano il pensiero dominante. Mi chiedo se corrispondono alle capacità di preparare per il futuro».
«Questa ricerca muove dall’idea di abbattere il complesso dell’autodenigrazione, del parlar male di noi stessi, un comportamento sbagliato in quanto attivatore di atteggiamenti deresponsabilizzanti», ha dichiaro Luciano Violante.
Il sistema universitario italiano è sicuramente un sistema a qualità diffusa: a differenza del Regno Unito, il livello medio delle singole università italiane è molto più alto di quelle del sistema anglosassone nel quale vi sono poche università di ottima qualità e molte università di livello medio-basso. Per questo è necessario leggere i dati dei ranking dando per assunto questo fattore, al fine di non rendere una rappresentazione fallace del sistema.
«L’Italia è tra le nazioni che hanno più Università nella fascia alta dei ranking», ha affermato il professor Manfredi. «Il sistema accademico nazionale è stato e deve continuare a essere un fattore unificante del Paese».
Guardando al ranking Times Higher Education (THE), al primo posto in Italia troviamo Alma Mater di Bologna, classificata al 167° posto nel mondo seguite in classifica dalla Scuola Sant’Anna di Pisa al 170° e la Scuola Normale Superiore di Pisa 181°. Al quarto posto c’è La Sapienza di Roma. Poi Padova e l’Università Vita e Salute del San Raffaele. Seguono Trento, si aggiunge un quartetto tutto milanese: La Statale, la Bicocca e il Politecnico. Al primo posto di questa classifica troviamo però Oxford. Dal secondo al quarto si classificano gli atenei americani di: Stanford, Harvard, California Institute of Technology e Massachusetts Institute of Technology. Al sesto c’è Cambridge, poi la Berkeley, Yale, Princeton e Chicago.
Come spesso accade al nostro paese in altri contesti infatti, anche per quanto riguarda l’università l’Italia non brilla nelle classifiche internazionali, in particolare se consideriamo il numero di laureati in rapporto alla popolazione e le loro prospettive occupazionali.
Nel suo intervento incluso nel report, Gregorio De Felice, capo economista di Intesa Sanpaolo, specifica che secondo i dati dell’OECD riferiti al 2016 il tasso di completamento dell’istruzione terziaria in Italia è tra i più bassi tra quelli dei paesi OECD, con un valore del 18%. Il sistema universitario italiano è inoltre prevalentemente orientato verso le aree umanistiche, con il 30% dei laureati, specializzati in materie quali arti e letteratura, scienze sociali, giornalismo e comunicazione, un dato superiore alla media dei paesi OECD, mentre è sotto la media la quota di laureati in materie scientifico-tecnologiche.
Questo risultato è probabilmente riconducibile anche alle deboli prospettive occupazionali e a ritorni economici più bassi per chi si laurea in Italia rispetto a quanto si osserva negli altri paesi. Nel nostro paese l’80% dei laureati, con un’età compresa tra 25 e 64 anni, è occupato, ma il tasso di occupazione scende al 64% se consideriamo la fascia d’età 25-34 anni, inferiore alla media OECD. L’Italia è, inoltre, uno dei paesi dove le prospettive occupazionali per i laureati 25-34 anni sono più basse rispetto ai diplomati.
Oggi è fondamentale favorire lo sviluppo tecnologico per la competitività della nostra economia attraverso un crescente numero di laureati con le competenze necessarie a supportare i processi innovativi. I rapporti e le relazioni tra università e contesto sociale ed economico sono tanto più produttivi quanto più il canale di comunicazione tra questi ambiti è efficiente e capace di promuovere e garantire il trasferimento di innovazione e competenze generato nelle università, al sistema economico e di conseguenza al mondo delle imprese. Purtroppo però dai dati emerge la ridotta attitudine del mondo imprenditoriale italiano alla cooperazione nei processi innovativi con altri soggetti, tra cui il mondo universitario. Le imprese spesso sono piccole, inoltre l’interazione tra i due mondi è resa ancora più difficile dal fatto che il nostro sistema universitario è caratterizzato da notevoli e riconosciute eccellenze scientifiche ma è poco attento al proprio ruolo propulsivo nei confronti del tessuto economico-produttivo.
Che cosa serve per il futuro? Secondo Gian Maria Gros-Pietro il futuro sarà molto diverso dal passato e avere giovani preparati ed un sistema formativo più internazionale e vicino al mondo del lavoro è fondamentale per la competitività di un Paese e delle sue imprese. «La pandemia ha fortemente accelerato i processi in corso, la digitalizzazione su tutti, anche nel campo della finanza. Le persone devono accettare i cambiamenti. Occorrono nuove competenze che ci aiutino ad affrontare le sfide più grandi, come quella del cambiamento climatico», ha spiegato il presidente. Trasformazione energetica, digitale, ma anche spaziale avranno e hanno bisogno di investimenti, competenze e formazione sempre più specializzata. È da qui che il sistema universitario deve ripartire.
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