Università
Lo spot squalificante dell’Università piemontese
Costruirsi il futuro scegliendo con cura il lato b? Certo, è possibile! A raccontarlo è lo spot dell’UPO (Università del Piemonte Orientale). La tristezza e anche la pena, suscitate dal questa minchioneria pubblicitaria, raggiungono un tale livello di bassezza che ci si chiede come si possa rendere possibile affidare il marketing di una università a menti così piccine, ottuse, povere. Ma, quel che è peggio, è che, probabilmente, un rettore e un collegio di docenti avranno approvato la “finesse d’esprit” di uno stolto. Si stenta a crederci! Abbiamo un’università che si promuove con un’operazione gretta e incolta, sconfessando ogni principio etico che le è proprio e in netta controtendenza con le sue finalità di formazione, come se sovrintendesse allo scopo di provvedere a forgiare i “nuovi minchioni del domani”. Naturalmente, e per fortuna, la maggior parte delle università italiane non si copre di cacca intellettuale come, appunto, quella prima menzionata.
Siamo di fronte a un netto principio di grettezza mentale applicato al campo dello studio. Una cosa che fa rabbrividire, che nega l’importanza e la funzione educativa della conoscenza. La frequentazione e la scelta dell’università viene comparata all’opportunità di preferire un fondoschiena, piuttosto che un altro, nell’ottica di un’offerta concorrenziale che lascia interdetti. “L’UPO, l’università nel dirupo!” Ecco, lo slogan semplicissimo che andrebbe a pennello per questo ateneo.
Se anche la scuola, al suo livello più alto, mantiene una rotta che porta al depauperamento dei valori sociali da trasmettere alle generazioni che si preparano a una ribalta professionale, vuol dire che ci troviamo al cospetto di un’emergenza culturale senza precedenti. Potremmo essere in una fase di neo-oscurantismo che interessa tutti i settori, compreso quello dell’educazione e dello sviluppo collettivo in genere. Ben al di là del frangente legato alla pandemia, si propagano, nella vita pubblica e istituzionale del paese, delle crepe di ordine prettamente culturale che suonano a morto per le possibilità di una compatta e sbrigativa ripresa. I processi evolutivi, da noi, saranno anche lenti, anche perché di tempo da sprecare ce n’è sempre a sufficienza, ma quel che preoccupa è un’insana attitudine delle componenti culturali della nazione ad adeguarsi al peggio, invertendo una tendenza che ha sempre contraddistinto il ruolo di contrapposizione della cultura nei confronti di un ordinario sentimento comune di accettazione della realtà. L’aspetto nuovo, assurdo e insopportabile, è l’assenza e, in qualche caso, l’affossamento di qualsiasi nucleo di opposizione al pensiero dominante che determina la realtà e le politiche vigenti.
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