Università
I giornali criticano lo sciopero degli esami, senza sapere come si fanno oggi
Lo sciopero dei docenti universitari, per il blocco degli esami della sessione autunnale (dal 28 agosto al 31 ottobre) ha avuto un grande eco sulla stampa, e questo è già un successo. Quello che invece preoccupa è che da questi articoli emerge che la stampa non sa niente dell’università, o comunque dell’università di oggi. Il punto in discussione è infatti lo strumento di lotta, e il disturbo che sarebbe arrecato agli studenti. Certo, se l’università fosse quella dei tempi in cui ci sedevano i giornalisti stessi.
Allora, vediamo come si svolgerà il mio sciopero. Lo sciopero prevede di astenersi dal tenere il primo appello della sessione, che nel mio caso è il 31 agosto. Ho altri due appelli per altri due corsi diversi. Poiché nella sessione autunnale abbiamo un solo appello per ogni corso, provvederò a richiedere un altro appello, 15 giorni dopo l’appello cancellato. Poiché a Bologna, come in tutta Italia suppongo, l’iscrizione e la verbalizzazione degli esami avvengono in rete, e in rete c’è una mail che consente di comunicare con gli iscritti all’appello, ho comunicato per mail la mia intenzione di aderire allo sciopero e di svolgere l’esame il 15 settembre. L’unico iscritto all’esame mi ha risposto.
In cosa è diverso questo comportamento da quello, che mi è capitato altre volte, di cambiare la data di un esame? E’ differente in questo. Stavolta invierò una mail al ministero (Miur), agli organizzatori e al mio rettore comunicando di aver scioperato in data 31 agosto. Io aggiungerò, anche se non è previsto nella mail pro-forma inviata dagli organizzatori, che mi venga sottratto lo stipendio per il giorno di sciopero. Altrimenti che sciopero è?
Variazioni sul tema. Cosa sarebbe successo se avessi avuto il mio primo appello il 15 settembre? O comunque in una data tale che posticipata di 15 giorni avrebbe impedito agli studenti di completare il percorso di studi e sostenere la laurea? Probabilmente avrei spostato quell’esame indietro di 15 giorni e poi scioperato, come al punto precedente. Come coordinatore del corso di laurea, poi sarei intervenuto, e se del caso interverrò se il problema coinvolgerà altri studenti del mio corso di laurea, presso gli uffici per fare in modo che la registrazione degli esami venisse accettata anche dopo la data richiesta per gli esami di laurea. Come estrema ratio, avrei anche potuto fare convocare, con autorizzazione del Consiglio di Scuola, una seduta di laurea straordinaria. L’ho già fatto più volte, una anche quest’anno, per studenti che devono partire per il dottorato e non possono attendere la sessione di ottobre.
Analisi controfattuale. Cosa sarebbe successo se la procedura di sciopero non avesse previsto questa possibilità di indire una sessione di esami straordinaria? Non avrei potuto partecipare allo sciopero, perché lo sciopero sarebbe stata davvero una minaccia incredibile. Uno studente mi aveva scritto dicendo che si doveva comunque laureare a ottobre, perché aveva già un’offerta di lavoro. Gli ho risposto che avrebbe fatto l’esame e non sarebbe stato certo lo sciopero a impedirgli di laurearsi a ottobre. Altri studenti avevano problemi di permesso di soggiorno. Anche in questo caso l’esame deve essere garantito, e l’obbligo di sciopero senza riparazione sarebbe stata una minaccia incredibile.
Ma allora, dove sta il disturbo agli studenti? Ce lo dice, per tutti, il Sole 24 Ore, in un articolo di Andrea Carli
“ Considerato che di solito nella sessione straordinaria di autunno sono due, perdere il primo significa aver a disposizione una sola opportunità per superare l’esame. Un esame non passato si va automaticamente a ‘sommare’ al carico di lavoro della sessione successiva”.
E l’articolo che contiene questa perla è stato rilanciato su Twitter dal direttore Guido Gentili con la chiosa: “un salto nel passato remoto. Saltano gli appelli e salta anche il buon senso.”
Effettivamente, un salto nel passato remoto è quello che ci propone l’articolo del Sole 24 Ore. Oggi a Bologna la regola è: tre possibilità di esame l’anno per i corsi internazionali e quattro per i corsi in italiano. Gli studenti del mio corso hanno una possibilità di dare l’esame di un corso alla fine del corso, uno a fine semestre e uno a settembre. Abbiamo ormai dati ed evidenza di anni che suggeriscono che questo sistema migliora la performance degli studenti, portandoli a studiare durante il corso (e non alla fine dell’anno come facevano debosciati come me) e rendendo più “costoso” il rifiuto del voto, nei corsi per i quali i docenti lo consentono.
Questa ovviamente è la realtà e la scelta del mio ateneo, che ritengo in larga misura coerente con l’evoluzione dell’università dal “passato remoto”, quando io la frequentavo dall’altra parte, e quando i tempi della vita universitaria erano più lenti. Sarebbe stato compito dei giornalisti cogliere quest’occasione per chiedersi in quanti casi le regole di esame siano rimaste le stesse (in concreto, non negli statuti). Avrebbero scoperto che altri atenei hanno probabilmente fatto scelte diverse: ad esempio, mi risulta che il rettore di Firenze si sia schierato per un aumento del numero di esami, col fine di ridurre i fuori corso, in direzione ostinata e contraria alla nostra. In questo modo i nostri cronisti avrebbero comunque scoperto che l’università italiana ha investito molto, unica nelle istituzioni della nostra repubblica, su attività di misurazione e miglioramento della propria qualità. E avrebbero soprattutto capito che questo è avvenuto proprio negli anni che non ci sono riconosciuti dalla legge. Per questo contrasto scioperiamo.
Abbiamo quindi ridotto il numero di esami, non perché non abbiamo voglia di farli, ma perché migliora il risultato del nostro insegnamento. Comunque, mi risulta però che anche ai tempi in cui si tenevano molti esami, sebbene non fosse proibito, non faceva proprio parte del galateo di uno studente provare tutti gli esami previsti per una disciplina in una stessa sessione. Se non sapevo nulla il 31 agosto, si riteneva che non avrei avuto modo di diventare un esperto della materia per il 15 settembre. Diciamo che ci voleva una bella faccia tosta a presentarsi in sequenza allo stesso esame fin quando non fosse uscito il tuo giorno fortunato. E ci vuole ancora più faccia tosta a rappresentare oggi, da un foro severo e autorevole come il Sole 24 Ore, un esame come un “gratta e vinci”. Certo che se ne compri due hai più possibilità di vincere che se ne compri uno.
Detto questo, resta una domanda conclusiva. Se questo sciopero non fa male a nessuno, che sciopero è? La domanda sorge spontanea in un paese in cui siamo abituati a vedere far valere i diritti creando problemi a qualcun altro. Ad esempio, facendo arrivare gli altri tardi al lavoro, o impedendo loro addirittura di arrivare. La risposta non è facile da comprendere. E’ una giornata di lavoro che regaliamo alla politica. E il messaggio è: vi siete presi gli anni, tenetevi anche questi pochi soldi. Perché non è per soldi. E’ per la dignità.
Devi fare login per commentare
Accedi