Università
Il dottorato inglese? Per l’Italia non vale
Sono trascorsi 30 anni dall’inizio del programma Erasmus eppure le università italiane e altre istituzioni pubbliche sembrano avere ancora problemi di comprensione e riconoscimento nei confronti dei titoli di studio rilasciati da (anche prestigiose) università europee.
Sempre più università infatti stanno richiedendo la famigerata “equivalenza” dei titoli di studio esteri per la partecipazione ai concorsi per ricercatori universitari, anche a persone che hanno magari già lavorato in quelle istituzioni con degli assegni di ricerca.
Per chi ha, ad esempio, un dottorato di una università inglese il processo è lungo e non privo di ostacoli. Innanzitutto occorre farsi rilasciare la “dichiarazione di valore” dal consolato italiano a Londra e per ottenerla serve il titolo di studio in originale, una copia conforme autenticata da un solicitor con sede nel Regno Unito e sua traduzione in italiano e una lettera in originale dell’università dove si è conseguito il titolo che contenga alcune informazioni riguardo alle caratteristiche del corso di studi. Non esiste uno sportello aperto al pubblico, quindi tutto deve avvenire per posta con i rischi per i documenti che si possono immaginare oppure i costi dei corrieri. Invece le imprese hanno uno sportello dedicato, quindi sembra che esistano delle agenzie che offrono questo servizio a pagamento, ovvio.
Quello che si ottiene, in tempi abbastanza rapidi pare, è sostanzialmente una dichiarazione che dice che quel tale PhD è un PhD del sistema inglese.
A questo punto serve l’equivalenza che viene rilasciata dal MIUR e dal Ministero della Funzione Pubblica (ora chiamato della Semplificazione e della PA), per ottenerla serve mandare la dichiarazione di valore (di cui sopra), alcuni e documenti e (attenzione) la fotocopia del bando a cui si intende partecipare e l’indirizzo dell’istituzione a cui si vuole che l’equivalenza venga mandata. Il MIUR dovrebbe rispondere entro 30 giorni, ma pare che di solito ce la faccia entro i 3 mesi.
Tutto questo è lungo e farraginoso ma la definitiva aura kafkiana viene dal fatto che un povero studioso in cerca di occupazione con in mano un titolo di studio estero deve rifare la seconda parte della procedura (quella presso il MIUR) per ogni concorso. Peccato che alcuni bandi prevedano che l’equivalenza del titolo sia presentata alla scadenza del bando e non prima di un’eventuale assunzione. Cosicché ad alcuni bandi non si riesce nemmeno a partecipare.
Poi uno si domanda perché ci si riempia la bocca di rientro dei cervelli e di internazionalizzazione se poi nell’era digitale si è costretti a dedicare risorse mentali, fisiche ed economiche all’ottenimento delle apostille.
P.S. Lo stesso percorso, all’incirca, è richiesto a chi abbia conseguito una laurea specialistica in Francia (quando il bando prevede delle limitazioni per i settori di studio) anche a chi abbia poi ottenuto un titolo di dottorato in Italia, che tra i requisiti di ammissione ha il possesso del titolo di laurea specialistica. Non ce la faremo mai.
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