Università

Atenei telematici, la CGIL lancia l’allarme

21 Aprile 2024

Il sindacato mette in guardia dai rischi latenti in una crescita impetuosa e non regolata della formazione universitaria “a distanza”: +303% iscritti dal 2016. Qualità del servizio, libertà di insegnamento, valore unitario dei titoli di studio e condizioni di lavoro i terreni su cui si chiede di intervenire.

251.000 iscritti su un totale di 1, 9 milioni di studenti universitari, il 13,5%, +189.000 dal 2016 (+303%) e un primato in alcuni settori (42% degli iscritti nel corso di laurea magistrale in Nutrizione e in quello di Scienze Motorie). Un boom alimentato in larga misura dall’afflusso di studenti-lavoratori in larga misura over 30, attirati dalla possibilità di conciliare studio e lavoro grazie alle lezioni e agli esami “a distanza”. E, soprattutto nel caso dei fuori sede, provenienti da famiglie a basso reddito, attratte dalla possibilità di ridurre la spesa per vitto, alloggio e trasporti, uno dei fattori sottolineati anche da alcuni recenti spot pubblicitari. Sono alcuni numeri contenuti nel rapporto che l’FLC, la Federazione dei Lavoratori della Conoscenza, della CGIL, ha dedicato al fenomeno delle università telematiche. Un fenomeno di cui il sindacato coglie potenzialità, ma anche rischi latenti, come emerge dal titolo del rapporto presentato la scorsa settimana, presso il quartier generale della CGIL a Roma: “Atenei for profit – Corsi telematici – Sedi distaccate. Il piano inclinato. Rischi e punti di tenuta del sistema universitario italiano”.

In Italia stato il settore pubblico a svolgere un ruolo pionieristico nel campo della formazione a distanza, lanciando il consorzio UniNettuno (1992) e le lezioni trasmesse via Raisat, per poi abbandonare questo territorio di frontiera all’iniziativa privata. Attualmente gli atenei telematici riconosciuti sono 11. I più grandi per numero di iscritti, tutti in mano a gruppi privati, sono Pegaso (90.000), tra i docenti l’ex segretario generale della CISL Raffaele Bonanni, E-Campus (47.000), Mercatorum (43.000) e Cusano (22.000), ascesa all’onore delle cronache grazie alle imprese, politiche e non, di Stefano Bandecchi. Le pubbliche – Nettuno, Marconi e Unitelma, l’ateneo digitale della Sapienza di Roma – insieme fanno circa 20.000 iscritti.

Dal 2019, dopo che lo Stato ha consentito alle università di trasformarsi in società di capitali, il fondo britannico con sede in Lussemburgo CVC Capital Partners ha acquisito Multiversity, la holding dell’imprenditore campano Danilo Iervolino, fondatore di Pegaso, proprietaria di Pegaso e Mercatorum, a cui nel 2022 si è aggiunta San Raffaele, facendo di Multiversity il polo universitario più grande d’Italia, 140.000 iscritti. “E possiamo dire d’Europa”, precisa Luca Scacchi, autore del rapporto e dirigente del FLC, “visto che La Sapienza, coi suoi 122.000 studenti, è l’università tradizionale più grande nel continente”. Un business che nel 2021 alla società diretta dall’ex ad di Google Italia Fabio Vaccarono, ha fruttato utili per quasi otto milioni e mezzo di euro, scesi a 664.000 nel 2022 a seguito dell’acquisto di San Raffaele (153 milioni e il costo del lavoro balzato da 2,3 a 6,7 milioni). Anche se i ricavi sono più che raddoppiati, passando da 10,4 a 22 milioni, facendo presagire una nuova crescita dei profitti negli anni a venire. [Fonte: Startmag180823]

Accanto alle università “a distanza” operano poi alcuni atenei “ibridi”, come la Link University Campus, fondata dall’ex leader della sinistra DC Vincenzo Scotti nel 1999 e di proprietà di CEPU, la società specializzata in corsi di recupero scolastico, durante i due governi Conte spesso citata come serbatoio di politici Cinque Stelle in carriera (tra cui l’ex ministra della difesa Elisabetta Trenta), che coniugano lezioni ed esami in presenza col live streaming a beneficio di particolari categorie di studenti (fuori sede, lavoratori o con figli piccoli).

Che impatto ha il boom delle università telematiche, soprattutto per la qualità dell’insegnamento e le condizioni di studenti e lavoratori? I problemi – ha spiegato Scacchi presentando il documento FLC – investono molteplici livelli di un sistema universitario come quello italiano, fondato su un forte ruolo dello Stato, ma con una tradizione di autonomia degli atenei radicata nella secolare tradizione delle libere università, ma amplificata (in termini di mercato però) in particolare la riforma Gelmini del 2010. Vediamone alcuni.

Il personale tecnico-amministrativo delle università statali ammonta a quasi 50.000 unità (per 1,65 milioni di studenti) inquadrati come dipendenti pubblici col contratto collettivo “Istruzione e ricerca”; nelle 11 università telematiche sono 900 (per 250.000 studenti), inquadrati nelle più svariate forme contrattuali, da scuole private a multiservizi. Per quanto riguarda i docenti il rapporto è di un docente di ruolo ogni 30 studenti (non di ruolo uno a 21), ma nelle telematiche si contano 732 docenti di ruolo per 251.017 studenti, un rapporto di 1 a 343, col 29,5% dei docenti a tempo determinato, il doppio che nelle università tradizionali.

L’evidente asimmetria si ripercuote non solo sui lavoratori, ma anche sulla qualità dei servizi erogati agli studenti. Nelle valutazioni effettuate dall’ANVUR, l’Agenzia Nazionale di Valutazione del sistema Universitario e di Ricerca, sulle 80 università tradizionali – spiega il rapporto – 7 (8,8%) hanno ottenuto un giudizio molto positivo; 30 (37,5%) pienamente soddisfacente, 42 (52,5%) soddisfacente e solo uno (1,3%) condizionato. Delle 11 telematiche nessuna ha avuto un giudizio molto positivo; solo una (9%) pienamente soddisfacente; 8 (72,7%) soddisfacente e 2 (18,2%) condizionato. Come sottolinea l’FLC CGIL la trasformazione delle università in enti for profit può spingere a derogare a livelli qualitativi minimi per ragioni di profitto e allo stesso tempo a “diversificare mission e offerte formative” in nome della domanda di mercato, “spezzando di fatto l’attuale impianto unitario dei titoli di studio”. Senza contare le insidie che questa situazione presenta per la libertà di didattica e di ricerca.

Uno degli aspetti del problema è l’abuso delle lezioni in live streaming, autorizzato in via eccezionale per rispondere all’emergenza Covid-19, ma di cui si è continuato a fare uso nonostante la deroga legislativa sia venuta meno. In particolare per quanto riguarda i corsi di laurea in materie sanitarie le convenzioni europee prevedono che le attività didattiche debbano svolgersi esclusivamente in presenza. Una prescrizione progressivamente disattesa. Il recente scandalo scoppiato a marzo attorno al Dipartimento Jean Monnet dell’Università bosniaca di Gorazde, che ha sedi in Italia e tiene corsi di laurea in italiano in medicina, odontoiatria, farmacia, veterinaria, fisioterapia ecc. facendo pagare fino a 26.000 euro annui per rilasciare lauree fasulle, ha rilevato una truffa, “ma i corsi erano tenuti da docenti di università italiane, medici del servizio sanitario nazionale e gli studenti hanno svolto il tirocinio in strutture ospedaliere pubbliche”, spiega Scacchi, “e questo, aldilà della truffa, pone il problema delle responsabilità di pezzi del sistema universitario e di chi dovrebbe vigilare su di esso”.

Per questo il sindacato chiede tra l’altro con urgenza un intervento legislativo regolatorio sulle università telematiche, di dotare il Consiglio Universitario Nazionale e il Ministero di reali funzioni ispettive e di sorveglianza e di introdurre un contratto collettivo delle università non statali per il personale tecnico-amministrativo e bibliotecario, legato alla contrattazione dei dipendenti pubblici.

Secondo i dati OCSE gli italiani laureati tra i 25 e i 64 anni sono il 20%, la metà della media OCSE e oltre un terzo meno della media UE, un dato che colloca il nostro paese tra i 12 paesi con la situazione peggiore. Per un paese come l’Italia, tra le sette economie più avanzate del pianeta, sommare a un dato così pesante in termini quantitativi anche un forte peggioramento qualitativo significa affrontare le sfide del terzo millennio confermando la propria tradizionale natura di capitalismo straccione. Per i lavoratori di domani (e già di oggi, considerando anche i sempre più numerosi studenti-lavoratori) significa muoversi nel mondo del lavoro non solo con minor consapevolezza, ma anche privi di quell’adeguato bagaglio di competenze su cui si basa il loro potere contrattuale nei confronti dei datori di lavoro.

Articolo tratto dalla newsletter di PuntoCritico.info del 16 aprile.

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