Società
Una Tempesta in Valsamoggia: i territori “cuciti” dal Teatro delle Ariette
Ultimo appuntamento questa sera per il percorso teatrale Una tempesta in Valsamoggia, ideato e diretto dal Teatro delle Ariette. Un esperimento di teatro di comunità che s’inserisce all’interno del più ampio percorso – attivo dal 2015 – dei Territori da cucire e che aveva visto la compagnia impegnata, lo scorso anno, nella rappresentazione itinerante di una multietnica, rinnovata e partecipata Odissea. Il racconto a puntate quest’anno ha visto come soggetto La tempesta di William Shakespeare, opera sulla quale la compagnia ha lavorato collaborando, per tutta la primavera, con 50 cittadini appartenenti alle comunità della Valsamoggia coinvolte nell’iniziativa (Monteveglio, Savigno, Castelletto, Crespellano e Bazzano). Al centro ancora una volta un’isola, ma molto differente da quell’Itaca alla quale Ulisse tanto desiderava fare ritorno. L’isola della Tempesta è un luogo sconosciuto di naufragio ed esilio, uno spazio difficile, di allontanamento dagli affetti e dai desideri, che spinge inevitabilmente a chiudersi e rifiutare l’altro. Una strategia di “difesa” che tanto interroga il nostro presente e che rischia di lasciarci sempre più soli ed intrappolati in un presente incapace di dare rispose ai nostri quesiti esistenziali.
Abbiamo provato a fare un bilancio di questo anno di sperimentazione con Stefano Pasquini, fondatore, insieme a Paola Berselli, del Teatro.
Come nasce l’idea di affrontare il tema dell’esilio attraverso La Tempesta di Shakespeare?
L’idea nasce da un percorso, lo stesso che dal 2015 portiamo avanti con continuità attraverso Territori da cucire. Per noi questo progetto ha rappresentato una sfida: partire da una nuova entità territoriale (nata con la creazione del grande comune di Valsamoggia) per cercare di riconnettere persone e luoghi attraverso il teatro. Un teatro che per noi è sempre stato “fuori” e non dentro gli spazi canonici delle scene, che volutamente interroga il presente negli spazi del presente. La Tempesta ci ha permesso di partire dall’autore forse più noto del teatro mondiale – declinato però in una delle sue opere meno “note” al grande pubblico – e allargare lo sguardo sulla contemporaneità, sui temi che animano il dibattito di oggi sui confini, sulle solitudini, sui muri innalzati in difesa di identità che spesso facciamo fatica persino a definire.
Una bella sfida quella offerta da Shakespeare, che arriva però dopo un’altra grande sfida, quella rappresentata dall’Odissea dello scorso anno…
Sicuramente il nostro più grande timore era quello di confrontarci con noi stessi, con l’esigenza di fare tesoro di quanto realizzato – attraverso il lavoro di comunità negli ultimi 3 anni – senza però ripercorrere strade già note che, inevitabilmente, non sarebbero risultate originali, né avrebbero portato valore aggiunto al progetto. Il rischio del confronto con i classici poi è sempre molto alto: si può finire, pur involontariamente, per sconfinare nel teatro elitario, fatto di citazioni e reverente rispetto dell’opera. Noi vogliamo invece lavorare su un teatro vivente, che parli la lingua e viva dei segni di oggi.
In questo senso anche i percorsi paralleli alla rappresentazione hanno dato un importante contributo…
Sicuramente sì. Il diario di “viaggio”, realizzato on line anche quest’anno come nella passata edizione, la creazione dell’isola degli spettatori, uno spazio dove, piano piano, è andato definendosi un vocabolario comune dell’isola, con il quale poter dialogare risemantizzando alcune parole chiave. Questo ha reso certamente più interessante il lavoro anche per un pubblico di non recensori.
Come Teatro delle Ariette lavorate da anni su questi progetti di “relazione”. Cosa rimane, terminato il percorso primaverile/estivo dei vostri laboratori, a livello relazionale fra le persone coinvolte?
Il senso di una comunità. I legami che si sono creati in questi anni rimangono vivi e attivi anche al di fuori del limitato spazio temporale dei laboratori, delle prove, delle messe in scena. Questo perché il progetto viene in realtà incontro a un bisogno oggettivo delle comunità: quello di riappropriarsi di un’identità comune, fatta però di mescolanze, di abbattimento delle distanze e intercultura.
E per il futuro? Nuovi progetti in vista?
Cercheremo nuovi stimoli e nuovi spunti. Il percorso non si ferma qui e il nostro desiderio è quello di non ripetere mai lo stesso cammino, ma di andare avanti, proponendo sempre nuovi modi di leggere e vivere gli spazi del nostro quotidiano. La nostra “evoluzione” vorremmo andasse verso una sempre più ampia base di partecipazione attiva, verso un teatro vivo insomma e “utile” per chi lo interpreta e assiste alle rappresentazioni.
L’ultimo appuntamento con La Tempesta sarà questa sera nella piazza centrale di Bazzano.
Per informazioni http://www.teatrodelleariette.it/
Ph. Giovanni Battista Parente
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