Religione

Ma davvero la scuola pubblica nel 2015 deve festeggiare il Natale?

30 Ottobre 2014

Come ogni anno, in settembre è cominciato un nuovo anno scolastico. Come ogni anno, constato che nell’aula di mio figlio fa mostra di sé quel tristissimo crocifisso di plastica bianca sullo sfondo di una croce marroncina, lo stesso che vedevo io quando andavo a scuola, e che probabilmente era lì da molto tempo prima. Come ogni anno, cominciano la programmazione e la preparazione della festa di Natale, che non sempre è aperta ai genitori ma che coinvolge tutti gli allievi, di ogni provenienza e appartenenza religiosa, che si avvalgano o meno dell’insegnamento della religione cattolica. Perché ovviamente non si può scegliere di non avvalersi della festa di Natale… Come ogni anno, mi chiedo se intervenire e alla fine decido che non ne vale la pena, o meglio che non vale la pena di condurre una solitaria battaglia nella singola scuola, o peggio ancora nella singola classe.

Ciò non vuol dire che non occorra una riflessione pubblica su questi temi, che forse non è del tutto assente ma è senz’altro decisamente carente. Per ora lascerò da parte il crocifisso, che è simbolicamente importante ma nella prassi pare bellamente ignorato da tutti, come se nessuno ne registrasse più la presenza. Torniamo dunque alla festa di Natale.

Sembriamo vivere in una sorta di sonnolenta assuefazione all’idea che in fondo il Natale è divertente, fa parte della “nostra” cultura, e dopo tutto non può far male. Un po’ di lucine, bancarelle, regali, buoni sentimenti: come si può sentirsi minacciati? Insegnanti pieni di buona volontà (e in gran parte, sono sicura, “di sinistra”) si danno da fare, nel vuoto di competenze e di direttive, per essere inclusivi, con risultati alquanto deludenti nonostante l’impegno profuso. La strada maestra è quella del buonismo spicciolo: il Natale diventa la festa della solidarietà, del “volemose bene”, del “le differenze non contano”, del “siamo tutti uguali”. Ma è davvero un messaggio educativo, questo delle differenze che devono scomparire nello spacchettamento collettivo dei regali? Cosa resta quando le differenze vengono obliterate e i problemi negati, sotto le lucine dell’albero?

Nella mia esperienza, il massimo sforzo di recupero della complessità fu fatto da un’insegnante che fece distribuire alle famiglie un bigliettino in cui si chiedeva di rispondere alla domanda: «Come si festeggia il Natale nella tua famiglia? (tradizioni, piatti, ecc.)». Mi è sembrato molto significativo. Si può immaginare che il Natale venga festeggiato in modi diversi — e del resto per questo basterebbe pensare alle tante varianti regionali — ma non che il Natale non venga festeggiato affatto, che non esista nell’orizzonte culturale, religioso e familiare degli alunni e dei loro genitori.

Un altro anno (o forse lo stesso, non è rilevante) mi ritrovai a partecipare ad una riunione di preparazione della festa, in cui peraltro veniva richiesto ai genitori un contributo economico perché potessero essere comprati dei piccoli regali per tutti i bambini. Alzai la mano per chiedere, molto semplicemente, come il Natale venisse presentato in classe. Volevo sapere se il protagonista della storia era solo Babbo Natale, con il suo messaggio buonista e consumista — del resto è un po’ un’invenzione della Coca Cola —,  o se venisse introdotto anche Gesù bambino, il figlio di Dio nato in una grotta «al freddo e al gelo». Nonostante sia contraria anche alla prima soluzione, mi pareva ci fosse una considerevole differenza. Ricordo distintamente che una mamma si alzò e, senza sapere assolutamente nulla di me, mi disse in modo molto secco che chi ha qualcosa contro il Natale farebbe meglio ad andarsene dall’Italia.

Gli immigrati devono adeguarsi per potersi integrare. E pochissimi sembrano consapevoli del fatto che fra gli stessi italiani, figli e nipoti di italiani, ci sono dei non cattolici, o addirittura non cristiani. Per non parlare del fatto che se per me il Natale avesse un vero senso religioso troverei quasi blasfemo questo stravolgimento qualunquista/buonista e provinciale. L’idea che la scuola pubblica possa semplicemente fare a meno della festa di Natale, che è comunque protagonista delle vacanze più lunghe del calendario scolastico ed è onnipresente nelle nostre città, non trova grandi favori nemmeno nella rossa (o forse un tempo rossa) Toscana. L’idea che dietro una cosa apparentemente così innocua si celino grossi interrogativi sulla laicità dello stato, sulla natura dell’identità italiana e sulla convivenza fra maggioranza e minoranze non sembra sfiorare molte coscienze e quando si prova a sollevare la questione ci si imbatte in ostilità, o in un ovvio benaltrismo: ben altri sono i problemi da affrontare!

E’ solo uno dei sintomi della totale impreparazione italiana, della politica ma anche della società, ad affrontare le sfide più attuali, a cominciare da quella posta dall’immigrazione, di fronte alla quale destra e sinistra sembrano ugualmente incapaci di offrire una riflessione seria. Se da destra si fa leva sulla paura e sulla necessità di una politica securitaria, a sinistra (con scarse eccezioni) assistiamo  da tempo ad una sostanziale negazione del problema, nel nome della solidarietà, dell’accoglienza e del buonismo. Alti ideali i primi due, certo, ma che di per sé non risolvono nulla.

Gli effetti nefasti si sentiranno, in un futuro non lontano.

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