Musica
Una sera di cinquanta anni fa, in televisione
Credo di aver già raccontato come il mio primo ricordo sonoro sia legato ad una canzone di Mina; più precisamente, Città vuota. Ero a Prato, dove sono nato, in un parco e ricordo il verde intorno. Mia nonna era vicino a me. Ricordo nitidamente il motivo musicale; meno le parole, devo dire. Sforzandomi ad occhi chiusi, e forse è solo suggestione, ritornano alla memoria anche quelle. Avrò avuto 4 anni, ovvero eravamo nel 1977. Non so perché associo quel ricordo ad una immagine di una scritta su un muro, che sicuramente ho visto (e letto) anni dopo. La scritta era sul muro di una fabbrica tessile pratese e recitava “Biagioli, maiale, per te finisce male. Biagioli, fascista, sei il primo della lista”. Immagino che questo Biagioli fosse il proprietario della fabbrica; era la fine degli anni 70, col terrorismo, le tensioni sociali e tutto il resto. Forse ho già raccontato anche questa storia, non mi ricordo.
Ripensavo a tutto questo lo scorso giovedì sera, mentre guardavo alla televisione uno dei talk show sulla guerra in Ucraina che ormai popolano le nostre serate televisive. E a cui non si può contrapporre nulla che non sia su qualche contenuto a pagamento, oppure un sano disinteresse serale. Siamo ben oltre i 13 canali di “shit” che possiamo liberamente scegliere, come dicevano i Pink Floyd in Nobody home. Capisco che è un pensiero un po’ da “diversamente giovane”. O forse dovrei usare il termine boomer, chissà. Ecco, potessi, vorrei vedere Mina una di queste sere in TV.
Il 23 Aprile del 1972, esattamente cinquanta anni fa, era domenica. Era una giornata primaverile. Nel pomeriggio la Juventus aveva battuto l’Inter 3-0 con una tripletta del Barone, al secolo Franco Causio, e si avviava a vincere lo scudetto. La mia Fiorentina era stata invece sconfitta in casa dal Mantova, poi retrocesso, per 1 a 0. Di lì a poco si sarebbero tenute le elezioni politiche anticipate del 7 e 8 Maggio. La crisi politica seguiva il tentativo infruttuoso di Andreotti di dar vita ad un nuovo governo di centrosinistra dopo il fallimento di quello di Emilio Colombo, avvenuto nel Febbraio 1972. Gli anni 70 erano appena iniziati e il “miracolo italiano” si stava ormai esaurendo.
Due soli canali componevano la televisione italiana di allora, il Programma Nazionale (poi Rai1) e il Secondo Programma (poi Rai2). Nelle domeniche della primavera del 1972 sul Programma Nazionale andava in onda un grande varietà serale, Teatro 10. In realtà il varietà del Programma Nazionale era tradizionalmente programmato per il Sabato sera; stavolta si faceva eccezione per consentire ai bambini di poter vedere Pinocchio di Luigi Comencini il sabato sera senza avere l’assillo del giorno di scuola l’indomani. La prima serie di Teatro 10 era andata in onda nel 1964. Poi, dopo un lungo intervallo, Teatro 10 era stato ripreso nel 1971 e quindi riproposto per la terza e ultima volta nel 1972. Le due serie del 1971 e del 1972 furono condotte da Alberto Lupo con la regia del Maestro Antonello Falqui. Teatro 10 veniva registrato al Teatro delle Vittorie in Roma, arredato con con una scenografia modernissima. Vi partecipava la magnifica orchestra della Rai diretta dal Maestro Gianni Ferrio. Falqui, un genio della televisione con le capacità e l’ispirazione di un grande regista di Broadway, aveva già alle spalle varietà televisivi straordinari degli anni ’60 come il Musichiere, Canzonissima e Studio Uno. Per l’edizione di Teatro 10 del 1972 Falqui volle l’artista con cui aveva stabilito un rapporto quasi simbiotico, Anna Maria Mazzini, in arte Mina. Teatro 10 durò 8 puntate; ma sin dalla prima Mina, all’apice della sua carriera, divenne definitivamente la regina della televisione italiana.
La sera del 23 Aprile 1972, poco prima delle 21, l’annunciatrice della Rai salutò i telespettatori: “Signore e signori buonasera. Dal Teatro delle Vittorie in Roma andrà in onda Teatro 10.” Era la quinta puntata del varietà. Cominciò così una serata indimenticabile di 50 anni fa, ma nessuno, forse nemmeno Falqui, poteva saperlo.
Teatro 10 era un programma registrato e aveva una struttura rigida e consolidata. Dopo la sigla iniziale, Alberto Lupo arrivava, salutava, e poi faceva un discorsetto ad una immaginaria moglie sui problemi quotidiani del vivere insieme. Il discorsetto era accompagnato dal sottofondo musicale di Parole Parole, grande successo di Mina e Lupo, che era anche la sigla finale della trasmissione. Oggi i discorsetti di Lupo farebbero sorridere o si beccherebbero una bordata di critiche e magari una censura per l’ingenuo paternalismo maschilista. Forse più la seconda. Ma siamo negli anni 70.
Quel 23 Aprile Lupo si rivolge ad una certa “Laura”, che vorrebbe un marito capace anche di aggiustare i rubinetti e appendere i quadri in casa, oltre che -si presume- di fare altre cose da marito. Alberto Lupo tenta di discolparsi, ribatte che è un po’ colpa della cultura umanistica che viene proposta agli italiani sin dalle scuole, e che genera avvocati e letterati incapaci di riparare un rubinetto. Per cui predica pazienza e comprensione; e soprattutto, di rimandare la discussione a dopo la visione di Teatro 10. Finalmente, finito il discorsetto, arriva Mina.
Nell’edizione 1972 di Teatro 10, Mina ha il fondamentale compito di introdurre la puntata con una canzone. Quella domenica sera è bellissima, indossa un abito nero con le maniche di velo, i boccoli le ricadono sulle spalle. La canzone della serata è La mente torna, un pezzo difficilissimo e sofisticato di Mogol e Battisti, che non ha mai avuto troppa fortuna. Pubblicato nel 1971 come lato B di un 45 giri (il lato A contiene “Uomo”), è la storia di una donna “che vorrebbe vivere anche per sé”, ma è incapace di farlo quando si trova davanti all’uomo che ama, spesso indifferente. Ho letto da qualche parte che un gruppo cattolico, forse Comunione e Liberazione, apprezza particolarmente questa canzone. Ci vedono dentro una specie di dialogo dell’uomo con Dio; un dialogo che parte da una puerile e inutile rivendicazione della nostra autonomia di fronte all’essenza infinita e arriva al riconoscimento che la felicità sta proprio nella nostra impossibilità di essere separati da Dio. Anche senza metafisica, io la trovo una canzone incantevole.
Mina è di un’altra categoria e non si può descrivere bene la sua capacità di interpretare questa (e tutte le altre canzoni). Quella sera, Mina sembra che tenga a bada la propria stessa voce, mantenendo un dialogo sofferto con sé stessa. E’ una voce che nemmeno si capisce da dove venga, mentre Falqui passa dal piano americano al primo piano, con una maestria insuperabile. Ed ecco, improvviso, un attimo, in cui Mina libera tutto; “intorno a me, lo spazio immenso, che persino io, NON HO più senso”; quel NON HO è una specie di ruggito che gli scappa, un brivido per chi ascolta, un attimo selvaggio. Un istante che non si ritroverà più nelle successive versioni della canzone.
Gli applausi scrosciano durante e non appena la canzone è terminata. Mina occupa completamente il palcoscenico. Passano decine di secondi mentre Mina si tocca i capelli, regge quel microfono col filo che sembra arrivare da un museo della preistoria. Lo sfondo, fatto di pannelli bianchi, allarga a dismisura il palco. L’inquadratura, infine, gira verso la platea. E’ un trucco di Falqui, che serve a legare insieme le registrazioni fatte in tempi diversi dei vari artisti.
Dopo Mina lo spettacolo continua, e sul palco si avvicendano Johnny Halliday (il “Celentano” francese), Enrico Montesano agli esordi, e il violinista Salvatore Accardo. Segue il balletto che, al termine della sua performance, chiama: “Lucio Battisti!”. Sono le 21:40 del 23 Aprile 1972.
Battisti era già stato a Teatro 10 nel 1971, riscuotendo un grande successo. Nel 1972 è uno degli artisti più amati dai giovani e ha appena pubblicato uno dei sui dischi più amati, Amore e non amore. Battisti arriva in scena col suo classico look, fazzoletto al collo incluso. Si vede lontano un chilometro che vorrebbe essere sulla Luna piuttosto che sul palco. Tempo due convenevoli stentati con Alberto Lupo, e Lucio comincia a cantare la sua nuova canzone: I giardini di Marzo.
Non so se I giardini di Marzo sia la più bella canzone di Battisti-Mogol. Le classifiche non hanno molto senso, e personalmente preferisco Vento nel vento. Ma l’interpretazione di Battisti a Teatro 10 è un tuffo in un momento senza tempo. Ancora una volta i giochi delle luci, le inquadrature, la penombra, e le onde sullo sfondo, rivelano la genialità di Falqui. “L’universo trova spazio dentro me” e Lucio, di profilo, sorride. “Ma il coraggio di vivere ancora non c’è”. Il capo chino di Battisti, in primo piano frontale, quando riconosce la propria impossibilità di esprimere quello che sente, è indimenticabile. Segue un applauso spaventoso, si sentono vere e proprie grida del pubblico, Battisti è imbarazzato come Baggio dopo uno dei suoi goal.
Ancora inquadratura della platea. A casa non si percepisce lo stacco, sembra un omaggio alla felicità del pubblico. Ma adesso arriva Mina, altissima, imponente, nel suo abito nero.
Mina e Battisti sono, infine, insieme. E cantano. L’unica volta, l’unica sera che lo hanno fatto insieme. Accompagnati da “5 amici di Milano”, come Lucio chiama i musicisti che sono stati chiamati per l’occasione (l’orchestra rimane in silenzio), danno vita ad un momento che non si ripeterà più. Un medley di canzoni di Battisti: Insieme, Mi ritorni in mente, Il tempo di morire, E penso a te, Io e te da soli, Eppur mi son scordato di te. Chiude Emozioni. I due cantanti si divertono, sono perfettamente a loro agio. La presenza scenica di Mina, la sua voce che viene pilotata su ogni registro e assume venature blues, il timbro inconfondibile di Battisti e il suo senso del ritmo, si integrano a meraviglia. 8 minuti e 20 secondi. Mina, alla fine, dà forse un bacio a Battisti sulla guancia e gli dice qualcosa in un orecchio. Mi piace pensare che gli abbia detto che è contenta. Di lì a poco entrambi seguiranno percorsi simili: sparire dalle scene, e lasciare che solo la loro voce dia vita alle nostre emozioni. Lo spettacolo, anche se continua, è finito.
PS: la puntata si può rivedere integralmente su RaiPlay, qui; magari una di queste sere, al posto di un talk show.
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