Filosofia
Tra pandemia e libertà
Caro Cigno Nero,
durante la pandemia è tutto più difficile, ma non necessariamente privo di senso. Ciò che pesa di più sembra essere la limitazione della libertà. Si sente protestare anche violentemente contro l’attentato alla libertà individuale, come se si vivesse al di fuori di una comunità. E non ci si riferisce alla libertà di pensiero, di parola, delle idee, ma esclusivamente alla libertà di movimento fisico (viaggiare, sciare, fare shopping). Che cosa comporta questa rivendicazione del diritto alla libertà?
Robert
Caro Robert,
se nell’incipit della mail accenni a un presunto “senso” riguardo alle difficoltà che ci troviamo a vivere, di seguito riferisci delle numerose proteste, a tratti anche veementi, che hanno accompagnato questo anno fino alla fine.
Se, tuttavia, il senso di una protesta è lampante e diretto nel suo voler porre fine a un’ingiustizia – per cui si protesta contro qualcuno per rivendicare qualcosa –, in questo caso il senso sfugge. Non si capisce bene contro chi scagliare la nostra rabbia, né quale sia esattamente la rivendicazione, a meno che non vogliamo accogliere l’ipotesi che si possa protestare contro una pandemia, come se quella potesse ascoltarci. Si tratterebbe di una supposizione inverosimile, ma avrebbe il suo perché nella frustrazione del nostro delirio di onnipotenza, secondo cui le leggi di ragione sarebbero capaci di dominare qualsiasi cosa. Con la ragione e il progresso abbiamo piegato la Natura, ma quest’ultima, del tutto cieca e irrazionale, ci sta rinfacciando che se ne infischia delle nostre leggi probabilistiche o di causa-effetto, dimostrandoci che non possiamo calcolare tutto ed essere più forti di tutto.
Certo è, come scrivi, che il nostro modo di reagire e dissentire scaturisce in prima battuta dalla limitazione della libertà individuale, e questo rispecchia bene il nostro modo di esistere oggi. Tutt’altro che “zen”, fuggiamo la stasi come un mostro a sei teste, perché non siamo capaci di sostenerla. Sappiamo, al contrario, essere solo e sempre attivi: partire, tornare, lavorare, sfilare, fare sport, comprare; insomma, qualsiasi cosa, purché si faccia. A fronte di questa ipercinesi cui siamo assuefatti, la limitazione della libertà di movimento ci risulta il più sommo degli attentati. Perché, è vero ciò che dici, la libertà delle idee, quella di pensiero e di parola sono illese, eppure non sappiamo che farcene se non possiamo più “fare” liberamente.
E allora accadono e sono accadute cose strane: abbiamo rivendicato una corsa o la palestra pur non avendo mai indossato un paio di scarpe da running, baci e abbracci pur essendo saltati per aria mille volte quando qualcuno ci ha sfiorato inavvertitamente in ascensore. Abbiamo reclamato lo shopping in negozio anche se da anni compriamo solo on-line, l’aperitivo mondano pur non essendo mai stati tipi da “movida”. Ci sono mancati perfino la tombola di Natale e il cenone di capodanno pur avendoli sempre detestati. Insomma, abbiamo sentito una mancanza bizzarra: che tipo di mancanza è quella che si avverte per ciò che non abbiamo mai avuto o che non ci è mai piaciuto?
Se invece vogliamo aggirare questo interrogativo, dovremmo spiegarci una simile stranezza riducendola al noto effetto che hanno i divieti, facilmente riscontrabile nei bambini quando si arrabbiano e battono i piedi di fronte a una proibizione, mentre sentono montare dentro il desiderio di trasgredirla.
Cosa c’entrano questi discorsi con la libertà? È chiaro che più limiti ci sono e più la libertà si restringe. Ma che i limiti siano intrecciati con la libertà ce lo insegna la colomba di Kant, quando, avvertendo l’aria come un ostacolo, non si accorge di poter volare solo grazie a lei.
Nel nostro specifico, il limite non è tanto questo o quel DPCM, ma la comunità. È l’altro a vincolarmi nella mia libertà di uscire, fare e disfare, perché se fossimo soli su un eremo usciremmo e faremmo liberamente anche col coronavirus. Ma saremmo liberi o solo degli “idiòtes”, per dirla con Aristotele, che con questo termine designava i privati cittadini totalmente disinteressati alla comunità?
Con o senza pandemia, la comunità ci limita, a differenza delle tante communities di cui siamo membri e che ci consentono molte più libertà. Anche per questo, probabilmente, è accaduto che nell’ultimo decennio abbiamo preferito la simultaneità alla prossimità, la community alla comunità. Ma è stata una scelta, la nostra.
Ora, invece, la pandemia ha rimischiato le carte, perché pare aver tolto la scelta proprio a tutti, perfino agli hikikomori, che si erano già reclusi in cameretta, lasciando alla porta il fuori. Chissà se, quando è accaduto che tutto il fuori si è riversato nel dentro, la loro scelta avrà cambiato sapore; chissà se avranno avuto voglia di uscire senza poter scegliere di farlo.
Recluse sono le persone in carcere, che usciranno allo scadere della pena. E, parafrasando Ferraro, dal carcere usciranno libere se, una volta fuori, smetteranno di rubare, cioè se saranno cambiate; e saranno cambiate se stringeranno un legame con la comunità. E poi ci siamo noi, che, come concludi, rivendichiamo il diritto alla libertà perché, cittadine e cittadini esemplari quali siamo – che avremo al massimo detto una bugia qua e là o ricoperto di insulti la vittima di turno su qualche communities, parcheggiando in tripla fila –, non abbiamo colpe da scontare. Beh… forse in quella data ancora da definire, anche noi usciremo davvero liberi nel momento in cui torneremo al mondo un po’ diversi da come siamo stati finora, cioè se non ci precluderemo ancora la comunità: quella fatta di vincoli, legami e di persone, di altri e di relazioni; quella in cui la libertà di movimento non è una cieca dipendenza, ma ha valore nella prossimità, che, come “andare verso-” o “allontanarsi da-”, in simultanea o in differita, è sempre e comunque“con”.
In Vitaactiva, Hannah Arendt, ci ricorda che i romani usavano “(…) le espressioni «vivere» e «essere fra gli uomini», e «morire» e «cessare di essere fra gli uomini» come sinonimi”. Potrebbe essere che l’interrogativo rimasto sospeso sopra, quello a proposito di quella bizzarra mancanza, abbia a che fare proprio con questo?
Irene Merlini
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