Società
Tra lockdown e Fase 2: cosa possiamo imparare dagli altri per il nostro futuro
Il Corona Virus registra ormai oltre 3 milioni di contagi nel mondo, i Paesi che hanno affrontato l’epidemia per primi stanno lentamente tentando di tornare a una nuova normalità, mentre alcuni sono ancora nel bel mezzo della crisi.
Da subito è apparso chiaro che non ci fossero linee guida chiare a livello mondiale e, quindi, ogni Governo ha messo in atto le sue politiche di contenimento. Sicuramente la chiusura totale è stata una soluzione adottata a diverse latitudini, ma gli strumenti messi in campo per proteggere la popolazione dal COVID19 sono stati diversi.
Fase 1: lockdown obbligatorio? Ecco i Paesi che lo hanno evitato
Ad un aumento esponenziale del numero dei contagi corrisponde per forza una chiusura immediata e tempestiva di tutte le attività e una considerevole limitazione delle libertà dei cittadini?
No, non necessariamente, alcuni Paesi hanno adottato una politica decisamente più blanda rispetto al modello cinese o italiano mentre altri, addirittura, hanno evitato completamente il lockdown.
Partiamo per il nostro viaggio da Taiwan che, a causa della sua prossimità alla Cina, si aspettava di essere duramente colpito dal virus. E invece le cose sono andate in modo molto diverso: dal 19 aprile il Paese si classifica al 104 ° posto come numero di casi di coronavirus, con circa 400 casi totali e solo un paio di nuovi casi al giorno, come mai?
Secondo Jason Wang, professore associato di pediatria presso la Stanford Medicine ed esperto delle politiche di contenimento delle epidemie, la capacità di Taiwan di contenere il coronavirus è principalmente dovuta a una strategia di prevenzione ideata durante lo scoppio della Sars nel 2003.
Dopo tale epidemia, infatti, il governo di Taiwan ha istituito il National Health Command Center (Nhcc) che, sin dalle prime avvisaglie del diffondersi dell’epidemia da Covid 19, ha adottato un protocollo costituito da ben 124 regole.
Tra le prime, prese ancora prima che Whuan venisse chiusa e isolata dal Governo cinese, ci sono:
- Immediato divieto di viaggiare al di fuori del Paese
- La produzione di mascherine è stata centralizzata. Risultato? Sono state prodotte a un ritmo di 2.4milioni al giorno. Gli impianti sono diventati così efficienti che, ad aprile, Taiwan ha donato 6.9 milioni di mascherine all’Europa, di cui 500mila sono arrivate in Italia.
- I prezzi delle mascherine sono stati fissati prima a 0,50$ e poi a 0,20$ per evitarne speculazioni sui costi.
- Anche la lotta alle fake news è stata dura: sono state previste multe fino a 100.000$ per chi diffondeva notizie false
- Il vero asso nella manica, però, è stato il rilevamento proattivo dei casi: sono state testate subito tutte le persone che, anche precedentemente, avevano avuto sintomi influenzali
Queste le misure della prima fase, che hanno già frenato in modo considerevole la diffusione del virus. Subito dopo, però, sono state implementate altre misure:
- I viaggiatori in entrata sono stati classificati in base al rischio di contagio: quelli che erano stati potenzialmente esposti al virus sono stati messi in quarantena obbligatorio
- Le persone in quarantena perché infette o perché potenzialmente positive sono state monitorate strettamente tramite telefono. Se non ne avevano uno il Governo glielo forniva e un avviso veniva inviato direttamente alle autorità se il cellulare restava spento per più di 15 minuti.
Oltre alle misure di contenimento, Taiwan ha anche provveduto a sostenere la popolazione in questo momento difficile fornendo cibo a chi ne aveva bisogno e anche supporto psicologico.
Queste misure sono state efficaci per evitare il diffondere del contagio e rispondere prontamente alla crisi, prima ancora che essa esplodesse nelle sue conseguenze più drammatiche.
Nonostante il successo nel contenimento del contagio da Coronavirus, Taiwan – che la Cina considera parte del suo territorio – resta fuori dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) per il veto di Pechino. Nei giorni scorsi tuttavia gli Stati Uniti hanno chiesto che Taipei venga ammessa come osservatore nell’organizzazione.
La Corea del Sud è un altro Stato che ha estinto il focolaio del virus prima ancora che esso divampasse. Anche loro vengono dall’esperienza di una epidemia precedente, quella di MERS del 2015.
Il Covid 19 ha iniziato a diffondersi a partire dalla città di Daegu, dove il primo positivo ha contagiato, inizialmente, circa 5000 persone ma l’epidemia, immediatamente contenuta, si è conclusa con un numero totale di contagi pari a 10000.
Il caso coreano è significativo per un aspetto importante: è stata la popolazione della stessa Deogu a isolarsi e decidere spontaneamente di chiudersi in casa per evitare il diffondersi del virus. Solo in seguito le autorità di Daegu hanno chiuso asili, scuole, biblioteche pubbliche, musei, chiese, asili e tribunali.
Tutto ciò non è avvenuto al di fuori di Daegu. I lockdown si sono limitati alle aree epidemiche e non hanno avuto un impatto aggressivo sull’economia.
Il Sud Corea ha fatto tempestivamente ciò che da noi si è proposto di fare nella fase 2 con la app Immuni: rintracciare i casi positivi, tracciare i loro spostamenti e mettere in quarantena preventiva tutti coloro che erano entrati in contatto con i malati.
Eccezionale la rapidità e la capillarità con cui sono stati eseguiti i test, dal drive-through alle cabine telefoniche, che possono effettuare i test di positività in 7 minuti.
Sicuramente il prezzo di tanta efficienza è stato alto dal punto di vista della privacy: il governo sudcoreano ha accesso ai dati di telefonia mobile, carte di credito e dati TVCC durante le epidemie, come risultato di una legge approvata dopo l’epidemia di MERS: “Abbiamo rivisto le leggi per dare priorità alla sicurezza sociale rispetto alla privacy individuale in periodi di crisi di malattie infettive”. — afferma il Dr. Ki, tramite il New York Times.
Sia Taiwan che la Corea del Sud non hanno imposto un vero e proprio lockdown e quindi non ci sarà una vera e propria fase 2, ma solo una generale riorganizzazione della vita sociale tenendo conto del virus e dei rischi che comporta il contagio.
A Taiwan si è registrato un nuovo picco di contagi tra il 20 e il 21 aprile dovuto ai lavoratori immigrati che vivono spesso in dormitori comuni, quindi la situazione continua a essere strettamente controllata.
Lockdown e fase 2: il caso della Nuova Zelanda
Anche la Nuova Zelanda ha gestito in modo egregio l’emergenza Corona Virus.
Sicuramente è più semplice contenere i contagi in un Paese in cui 5 milioni di abitanti sono dispersi in un territorio enorme, ma il Governo neozelandese ha ugualmente previsto tempestive misure di distanziamento tra le persone, tracciamento e isolamento dei positivi.
In Nuova Zelanda, governata da una giovane leader di 39 anni, i contagiati sono stati 1469 e i morti si sono fermati a 19.
Prima di tutto sono state adottate misure molto severe come il blocco dei viaggiatori provenienti dalla Cina, chiusura dei confini ai non residenti e poi tamponi a tappeto e tracciamento dei movimenti delle persone.
Il lockdown totale è stato imposto quando il numero dei contagiati era ancora esiguo, circa 100, e questo ha permesso di bloccare sul nascere l’espandersi del virus. La strategia vincente, infatti, è stata proprio questa: non si è puntato a rallentare la diffusione Covid 19 ma a sopprimerlo totalmente.
Ora anche per la Nuova Zelanda inizia la fase 2, con la riapertura di alcuni servizi non essenziali, dei servizi sanitari e delle scuole, ma la premier ha invitato tutti alla massima prudenza.
Fase 2: per procedere si potrebbe tenere presente qualche esempio virtuoso
Tutto il mondo si sta preparando alla cosiddetta fase 2, ma il rischio, se non si prendono le decisioni corrette, è di ricadere in una seconda ondata di epidemia, che potrebbe essere più pericolosa della precedente.
I Paesi che per primi sono usciti dalla fase più acuta di diffusione del virus, come Cina, Hong Kong, Corea del Sud o Taiwan, sono stati anche i primi a riaprire adottando diverse misure: distanziamento sociale e mascherine obbligatorie, ristoranti con capienza al 50% dei posti totali a disposizione e barriere di plexiglas a dividere i tavoli, rigidi controlli sui dispositivi di protezione adottati dal personale.
A Hong Kong addirittura 52mila ragazzi hanno sostenuto gli esami per l’ammissione all’università con precauzioni come mascherine, disinfettanti per le mani, misurazione della temperatura e distanziamento sociale.
Il Paese, dunque, ha provato a ripartire e tornare a una normalità che permettesse di riprendere la vita e gli affari, ma il contraccolpo non ha tardato ad arrivare: non avendo chiuso le frontiere ai viaggiatori provenienti dall’ancora martoriata Europa, già a inizio aprile, in pochi giorni Hong Kong ha registrato 32 nuovi casi e ha deciso di ritornare a misure maggiormente restrittive.
In Corea del Sud, che nelle prime settimane è stata il Paese più colpito dopo la Cina, invece, la crescita dei contagi si è arrestata sin da fine febbraio e il numero di casi totali di contagiati da Corona Virus si attesta intorno ai 10mila.
Tuttavia nel Paese si continuano ed eseguire i test a tappeto, anche a casi semplicemente sospetti, pur asintomatici, mentre in altri Paesi, come l’Italia, la politica è quella di fare test solo ai sintomatici o, addirittura, ai plurisintomatici.
Fino ad ora la Corea del Sud ha eseguito 431mila test circa, ossia uno ogni cento abitanti.
In tutte queste situazioni si sono sperimentate soluzioni che assolutamente devono essere tenute in conto da tutti i Paesi che si apprestano ad affrontare la fase 2 perché si sono dimostrate efficaci e irrinunciabili per contrastare il virus:
- Innanzitutto prevedere mascherine sempre e per tutti. Secondo un articolo dell’Università di Oxford pubblicato su Science, se solo il 60% delle persone indossassero maschere efficaci al 60% potrebbero, da soli, fermare l’epidemia.
- Distanziamento fisico: a Taiwan, Cina e Corea del Sud, ad esempio, nei luoghi pubblici hanno messo delle apposite indicazioni in terra per far capire alle persone come posizionarsi per restare abbastanza lontane.
- Pratiche igieniche costanti: la popolazione è stata educata in modo esaustivo sull’importanza di lavarsi le mani, ma anche di igienizzare mascherine e sanificare gli ambienti di lavoro
- Favorire ovunque possibile il lavoro da remoto, le riunioni virtuali e la didattica a distanza e, allo stesso tempo, prendere le giuste misure per permettere ai bambini di tornare tra i banchi in assoluta sicurezza
- Fare in modo che le persone non si riuniscano in gruppi
- Adottare tutte le misure possibile per proteggere gli operatori sanitari che, non solo possono ammalarsi facilmente, ma possono anche trasmettere il virus a tante altre persone
E dal punto di vista sociale, come si gestiscono i cambiamenti nella Fase 2?
Molti studi si sono succeduti in questi giorni sulle conseguenze che la pandemia avrà sul nostro modo di vivere.
La realtà è che non è assolutamente possibile stabilire con certezza quel che ne sarà di noi, delle nostre abitudini e dei nostri modi di pensare, ma alcune previsioni si possono considerare piuttosto attendibili.
Innanzitutto i consumi: l’imprevedibilità del futuro, soprattutto a livello macroeconomico, porta le persone a essere maggiormente attente alle spese e, mesi di lockdown, ci hanno abituati a rinunciare a tutto ciò che non è essenziale.
Questo, sicuramente, è uno scenario che dovrò essere affrontato perché può portare a un giusto ridimensionamento della tanto criticata società dei consumi, ma rischia anche di creare sacche di povertà non indifferenti.
Maggiore attenzione all’ecologia. Vero o falso? Se da una parte sembra essere chiaro che lo sfruttamento intensivo compromette l’ecosistema al punto da far emergere seri e concreti pericoli per l’uomo anche nel breve periodo, dall’altra il dato di fatto è che i rifiuti “speciali”, come mascherine e guanti, dispersi nell’ambiente sono cresciuti.
Dunque un’atra domanda che i Governi dovranno porsi è sicuramente quella relativa alla gestione delle tematiche ambientali.
Settimane di lockdown hanno portato a una generale riduzione delle emissioni, ma cosa succederà nella fase 2, quando si dovrà spingere sul pedale della ripresa?
L’impatto che il virus avrà davvero sul cambiamento climatico dipenderà dai provvedimenti che saranno presi per stimolare l’economia.
Pechino, ad esempio, secondo il Global Energy Motor ha autorizzato più centrali a carbone a marzo che in tutto il 2019.
Ma è un falso mito che l’attenzione all’ambiente freni la ripresa: secondo un nuovo rapporto dell’Agenzia Internazionale per le Energie Rinnovabili accelerare gli investimenti in energia pulita potrebbe far aumentare la crescita globale di 98mila miliardi di dollari entro il 2050.
Allo stesso modo, dopo la pandemia sarà utile riflettere sul cosiddetto smartworking e, in generale, sulla diffusione di strumenti digitali in tutte le case, anche per quanto riguarda l’istruzione: sicuramente sono conquiste che sarà bene portarsi dietro, ma andranno regolate e gestite a dovere per evitare un eccessivo isolamento sociale soprattutto per la generazione Alpha, quella dei bambini, che rischiano di abituarsi a vedere il mondo solo attraverso uno schermo.
Maggiore cura per le famiglie ma anche per i legami attualmente non normati: dalla questione dei “congiunti” in avanti è emerso chiaramente come alcuni strumenti legislativi, ma anche il welfare, siano del tutto inadeguati, attualmente, a sostenere le persone e le loro relazioni.
Dal lato della sanità telemedicina, medicina territoriale e prevenzione sono le armi che hanno aiutato a combattere il virus efficacemente e che, in troppe situazioni, erano state decisamente sottovalutate. È d’obbligo farle rientrare nell’agenda sanitaria del post – crisi, per evitare di poter essere nuovamente sopraffatti in futuro, ma anche per garantire un migliore servizio ai cittadini.
Anche la tutela dei diritti primari, da quello di spostamento a quello alla privacy, è stata decisamente messa alla prova, con una sensibilizzazione non indifferente della popolazione su alcuni temi che, fino ad ora, erano stati dati per scontati e che darà vita a nuovi dibattiti che andranno, prima o poi, affrontati in campo aperto.
La fiducia negli esperti e la battaglia alle fake news si è rivelata fondamentale almeno quanto un certo sistema di informazione si è rivelato insoddisfacente, per cui gli attori della comunicazione hanno già avviato profonde riflessioni.
In generale, per affrontare al meglio la fase 2, ma anche tutte quelle che verranno, è necessario tenere conto di nuove esigenze e di un’attenzione rinnovata o modificata nei confronti di alcuni temi, perché avere non solo l’attenzione, ma anche la fiducia e a collaborazione di tutti i cittadini sarà fondamentale.
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