Scuola

Tedesco obbligatorio a casa? Le strane idee della Baviera sull’integrazione

8 Dicembre 2014

Non sono solo i politici nostrani a dire sistematicamente sciocchezze. Per consolarci, guardiamo un po’ (solo un po’) più a nord, in Baviera. Il locale partito cristiano-sociale (CSU) sembra aver proposto (e aver insistito anche dopo le più pesanti critiche e ironie, salvo poi ritrattare negando di averlo fatto) che gli immigrati siano obbligati a parlare tedesco (tedesco standard: Hochdeutsch) anche in casa.

Anche in casa? Sì, proprio così. Potete anche non credermi, quindi vi rimando qui, qui, qui e qui (se sapete il tedesco).

Al di là delle ovvie accuse di razzismo e di xenofobia o appelli alla Legge fondamentale (la costituzione tedesca) da parte, per esempio, di rappresentanti della comunità turca e non solo, così come delle ovvie osservazioni circa le finalità della boutade dei populisti bavaresi (togliere voti al concorrente dell’estrema destra, la Alternative für Deutschland) non sono mancate le reazioni più ironiche: per chi conosce almeno un po’ le relazioni linguistiche in Germania (e le variazioni locali) il passo è stato breve: ma l’obbligo deve valere anche per i bavaresi (i tedeschi che abitano nella regione dove la CSU è partito di maggioranza assoluta) in quali, notoriamente, non parlano il tedesco standard, bensì un dialetto locale?

Questa prima reazione è un pregiudizio, ovviamente, perché in Baviera, come spesso accade anche da noi, accanto al dialetto (riservato alla lingua della prossimità, all’uso familiare e tra gli amici), si parla anche la lingua standard; si tratta tuttavia di un modo ironico di far capire all’interlocutore che, a ben vedere, i primi a subire le conseguenze di tale assurda proposta sarebbero i proponenti. Nel nostro Galateo della discussione (vedi), questo argomento ad hominem sarebbe un attacco personale un po’ scorretto, quindi occorre, per replicare in modo adeguato, trovare qualche argomento ad rem (criticare, a ragion veduta, la proposta come controproducente, anziché deridere la persona che l’ha avanzata). Proviamoci.

 Dopo le critiche, dicevamo il passo indietro è arrivato, però la CSU insiste: l’idea è buona, anche se bisogna ancora lavorare sulla formulazione. Ma il problema è proprio questo. L’“idea” è una grossa sciocchezza, specialmente in un mondo dove conoscere altre lingue diventa sempre più importante (quindi, ben vengano le famiglie dove si parla una lingua che non è quella che i ragazzi apprendono a scuola o gli adulti sul lavoro).

E la nuova formulazione? Anche quella lascia a desiderare, anche perché, dopo le proteste, sembra quasi che sia stato in discussione qualcosa di diverso, e cioè che la lingua sia più o meno importante per l’integrazione (e quindi l’obbligo previsto dalla CSU si ridurrebbe a un invito, a uno stimolo a parlare in tedesco anche in famiglia), mentre invece si trattava di accettare o meno che lo staterello bavarese imponesse ai suoi immigrati quale lingua parlare in casa (e chi avrebbe dovuto controllare? si chiedeva il ministro per l’integrazione, Aydan Özoguz).

Ora, per sapere quanto sia importante parlare la lingua della maggioranza per sentirsi integrati non avevamo bisogno della CSU. Il problema è, però, che dimenticare la propria lingua materna, negare il proprio bilinguismo, è di solito molto controproducente (e non agevola l’integrazione). Al riguardo citerò un caso per il quale sono dovuto intervenire personalmente come docente di lingua italiana per stranieri. Due amici vicini di casa, lei austriaca e lui croato, invece di parlare nelle rispettive lingue ai due figli, dopo essersi malauguratamente consultati con le maestre del nido, hanno deciso di usare un italiano approssimativo come lingua familiare, trasmettendo non solo errori di grammatica e di pronuncia ma anche un lessico ai limiti della sopravvivenza e una sintassi assolutamente originale. Il risultato? I figli non riuscivano a orientarsi, una volta iniziata la scuola, benché, apparentemente, parlassero italiano (senza accento). Non capivano quello che leggevano, perché mancava loro almeno l’80% del vocabolario più elementare, per non parlare poi di quello necessario per leggere i testi scolastici…

Invece, le più accurate ricerche sul campo dimostrano che i genitori dovrebbero piuttosto parlare la lingua che sanno meglio, in quanto questo rafforza le generali competenze linguistiche dei figli, che possono poi essere applicate alle nuove lingue da imparare, anche a quella della maggioranza. Come dire? Siccome è già abbastanza complicato parlare una nuova lingua e integrarsi in un Paese, almeno non complichiamo le cose a chi lo deve fare (speriamo perciò che non salti in mente ai leghisti nostrani e a qualche italico partito di estrema di proporre la stessa cosa nel Belpaese, anche se, temo, in questo caso il consiglio sarebbe quello di mettersi a parlare nel dialetto locale…)

 Com’è finita con i miei vicini? Dopo aver fornito gli strumenti linguistici indispensabili e qualche consiglio ancora più indispensabile, le cose hanno fatto il loro corso, e io sono diventato superfluo: la scuola lavora bene e potenzia le competenze linguistiche in lingua italiana, e in famiglia si potenziano, ora sì, le competenze nelle altre lingue. Sì: anche l’italiano dei genitori sta migliorando.

 Logon Didonai

 

Per approfondire

Gli stranieri in Italia e la scuola

Il bilinguismo a scuola

Il bilinguismo, blog di François Grosjean

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