Fumetti
Specchio, specchio delle mie brame
Ogni epoca ha le sue autopromozioni. Nerone cantava, chissà cosa e come, accompagnandosi colla lira, Giotto creando circoli perfetti da inviare al papa, e, qualche secolo più tardi, Gabriele d’Annunzio (alias Rapagnetta, d’Annunzio, cognome acquisito dal papà, era più chic) promuoveva sé stesso nelle maniere più disparate, tra imprese militari, conquiste femminili, boutades letterarie come “Io son l’ultimo figlio degli Elleni: / m’abbeverai alla mammella antica / ma d’un igneo dèmone son ebro” (Alcyone, La vittoria navale). E prosciugando i conti in banca delle amanti e degli amici.
Oggi Morgan, che forse avrà studiato come ci si pavoneggiava una volta e si aveva successo, fa la stessa cosa, proclamando che lui è l’unico artista vero, gli altri sono chissà cosa (almeno secondo quanto ha urlato di Fedez e Marracash a Selinunte). E poi la superstar di quest’ultimo mese, inattesa e travolgente: il generale Roberto Vannacci, che col suo capolavoro letterario autoprodotto, “Il mondo al oirartnoc”, ha finalmente l’occasione per emergere e continuare sulla falsariga dei narcisi storici. Anche se, diciamolo chiaro e forte, non fa altro che conclamare la propria mediocrità, se nasci tondo… E i narcisi contemporanei, quelli più famosi e invadenti – o, almeno, invadenti se si segue la tv, perché spenta la tv coloro non esistono, ricordatevelo – appoggiano il generale e la sua libertà di “pensare” e dar corpo sulla carta ai suoi “pensieri,” come se qualcuno volesse negarglielo. Peraltro investendo in sé stesso, perbacco, per autopubblicarsi ci vuole coraggio.
Negarglielo no, naturalmente, ma criticarlo certamente sì. Perché l’arroganza delle sue tesi, innumerevoli, in cui il narciso promotore di sé esprime la propria normalità – senza specchi in casa? – e l’anormalità di chi ama sessualmente persone del proprio sesso, oppure affermando che l’aspetto di una cittadina italiana, e pure brava, tanto da conquistare titoli sportivi importanti, non rispecchia le fattezze “tipiche” dell’etnia italica, è assolutamente criticabile e rigettabile. Oltre che senza alcun fondamento logico, perché la sua logica, è evidente, traballa. Il generale, e pure il capitan senza paura che cavalca la tigre per puri scopi elettorali, attaccandosi come una patella al vincitore del momento, sperando di recuperare i voti degli estremisti che gli ha tolto Meloni nell’ultima tornata elettorale, rappresentano, nella più patetica e grottesca delle maniere, quest’autopromozione superomistica che lascia tutti sbalorditi per il successo editoriale.
Io sono convinto che codesto successo sia in parte, in buona parte, dovuto alla curiosità della gente che pensa: vediamo che minchiate ha scritto questo qui. Sicuramente altri, i più deboli di mente, ossia quelli a cui vorrebbe indirizzarsi il Capitan Fracassa & Ruspa, nonché ministro delle infrastrutture e vicepresidente (accidenti, sempre vice!) del Consiglio, lo prenderanno come le tavole della legge, anche se tutte le cose che scrive il general narciso sono, tutto considerato, contro la legge, proprio perché discriminatorie. Cosa che la Costituzione, questa sconosciuta, proibisce.
Su un’unica cosa, ma forse per pura combinazione, si può essere un po’ d’accordo, ossia sull’esagerazione pseudoecologista, giovanile per lo più, che è diventata mainstream e che rivela spesso tutte le sue falle scientifiche e le sue ingenuità. Proprio perché è una decalcomania, non è qualcosa di studiato e assimilato, è seguire una serie di slogan, come per tutto, oggi. Equivale agli esami a quiz e all’odierna autentica mancanza di analisi della realtà. Ma non è che ciò che dice il generale sia pensato e studiato, tutt’altro. È un flusso di pensieri, un po’ alla Ulisse di Joyce, una mandria sconnessa che ogni tanto un cane pastore cerca di riordinare alla meglio. Fa parte del suo essere contro a priori, pur servendo, almeno secondo il suo criterio di servitù, lo Stato.
Il narcisismo, vero o solo esibito, ma sicuramente funzionale alla sua entrata in politica che, oggi, in Italia, è la più sicura via per avere tanti soldi e privilegi che nemmeno un re di una monarchia costituzionale ha più, si riallaccia all’italico mito di un’epoca di supereroi e superuomini come il Risorgimento e il Postrisorgimento, radice culturale romantica del pensiero “italiano”, solo perché l’unità politica del Paese derivò da quel movimento. Dopo l’Unità tutto diventò “italiano”, da Leonardo da Vinci all’arancina, da Carlo Goldoni a Fenesta ca lucive. Il supereroe viene acclamato ma, soprattutto, acclama sé stesso, parlando di sé e delle sue imprese con una ruota pavonesca che invade tutto lo spazio intorno e oltre. Come faceva Rapagnetta alias d’Annunzio. Il festival dell’ego.
Per carità, non era il solo, e poi, onestamente, sapendo scrivere pure bene e non solo in italiano, d’Annunzio, esteta, cultore della bellezza e della lingua, a un certo punto, poteva pure permetterselo. Possa piacere o no. Le squallide copie moderne sono semplicemente parodie clownesche, ancora più grottesche del Rapagnetta, anche perché di estetico qui non c’è nemmeno l’ombra. E non riuscire ad avere un briciolo d’estetica nel paese più estetico del mondo è assai grave, io trovo. Perfino la Saint in What ha cercato, stravolgendo e inabissando uno dei simboli estetici di tutti i tempi, la Venere del Botticelli, di dare un’identità estetica autoctona al suo operato. Già l’estetica, la chirurgia, la ministra l’aveva parecchio abusata sul proprio corpo, diciamolo. Forse ha fatto un po’ di confusioni estetiche o, almeno le ha fatte Armando Testa, approvate però da colei.
Ma l’estetica del capolavoro letterario del generale sembra andare proprio al contrario. Manco quella, accidenti. A dispetto di chissà quale ghost writer o revisore, che chissà che fatica avrà fatto per rendere potabile il manoscritto. Comunque, almeno per la quantità incredibile di copie vendute il Premio Ostrega bisognerebbe “d’arglielo”. Per favore apostrofiamo fin d’ora le parole che iniziano per “da…”, così ci avviciniamo al Vate.
Malgrado quest’ultimo sia stato un personaggio assai discutibile e profondamente antipatico, a me “Il fuoco” del Vate piace, come pure “L’Innocente”, e diverse poesie. Pur nel vortice ustionante, e assai poco credibile, delle focose passioni di Stelio Effrena (l’igneo dèmone), l’autore riesce a fare delle riflessioni interessanti e inserirle nel romanzo in maniera originale sull’opera degli esordi – quella monteverdiana e proprio quella scomparsa, L’Arianna – insieme a quella più attuale (per lui contemporanea) di Wagner, cosa che né Morgan (ancora devono convincermi della sua “straordinaria” cultura musicale, il delirio su Ravel propinato al pubblico di Selinunte è eloquente, andatevelo ad ascoltare) né tantomeno il generale (il capitan ruspissima non ne parliamo) riuscirebbero mai a fare.
D’Annunzio versus Morgan-Vannacci 1000 a 0. Vannacci come promotore della sua immagine al oirartnoc, se vuole farsi propaganda come mediocre, 1000 a 0 sugli altri.
Sicuramente arriveranno le Postille critiche a “Il mondo al oirartnoc”, sempre autopubblicate, curate da Salvini in persona, esegeta d’eccezione, sugellato da un selfie, va da sé con felpa I LOVE Vannacci, collo sfondo delle Forze Armate.
La Saint in what ha dichiarato d’andare in vacanza col libro “Io sono Giorgia”, Salvini si sarà portato “Il mondo al oirartnoc”?
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