Costume

Sicilia felix

9 Agosto 2020

E’ stata quest’isola a figliare la tirannide.

In Sicilia la figura del tiranno è stata concepita e ha visto la luce.

Qui l’ipocrisia del politicante che traveste la sete di potere da paternalismo e la corruzione da demagogia ha trovato terreno fertile, concimato dal servilismo e dalla miseria, materiale e morale, dei sudditi. Mentre in Grecia la democrazia costruiva le sue fondamenta, e con esse quelle della civiltà occidentale, in Sicilia, dal sesto al terzo secolo, fiorivano i tiranni. A Gela, a Siracusa, a Messina, a Catania. Ma, grazie al magnifico clima isolano, le conseguenze di quella fioritura non si sono limitate a quei due o tre secoli che vanno dalla colonizzazione greca a quella romana. Hanno continuato a prosperare nei due millenni successivi evolvendosi e adattandosi alle mutazioni climatiche.

Nel XVIII secolo Voltaire scriveva: “La Sicilia ha quasi sempre odiato i suoi padroni ed è stata sempre in rivolta contro di loro, senza però compiere mai veri sforzi degni della libertà” e aggiungeva “ma almeno al tempo dei tiranni essa contava qualche cosa al mondo”. Con il passare dei secoli la tirannide e il servilismo, che è il letame che la concima, sono diventati patrimonio genetico aborigeno al punto che al dominio, qui, non serve più neppure un corrispettivo che ne compensi le ruberie. Il tiranno – che naturalmente ha assunto denominazioni meno compromettenti – gestisce il suo potere con uguale spietatezza ma senza neppure preoccuparsi della sopravvivenza del territorio su cui lo esercita. Quando diventerà un deserto lui, semplicemente, andrà altrove a godersi il bottino.

Cinismo e ferocia, del resto sono costanti della storia siciliana insieme ad una incontenibile vocazione istrionica. Quando Timoleonte prese il potere in Sicilia, eliminò, uno per uno, tutti i tiranni che lo avevano preceduto nelle città isolane. Qualcuno lo scannò, qualche altro lo gettò in una fogna a marcire, qualche altro lo graziò per lasciarsi un parterre di sostegno. Tutto in funzione del suo personale interesse. Ma se ne riservò uno, Ippone da Messina, da mettere in mostra a futura memoria. Organizzò una festa magnifica che coinvolse tutta la città, fece portare il suo rivale nel teatro cittadino e lo fece, prima torturare, e poi ammazzare davanti a un pubblico delirante e applaudente. Tra quel pubblico spiccavano i bambini fatti appositamente affluire dalle scuole affinché imparassero qualcosa della vita e di come realmente vi funzionano le cose. Oggi questi lussi nessuno se li può più permettere (in futuro, naturalmente, non si può mai dire…) però la vocazione teatrale è rimasta la stessa ed è uguale il lignaggio; una schiatta pezzente e feroce, in cui il servilismo verso il più forte si mescola alla spietatezza nei confronti del più debole, una falange di straccioni disposta a mettersi al guinzaglio di ogni padrone ma sempre pronta ad azzannare gli ultimi.

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