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Siamo i soliti stronzi! Altroché migliori dopo il Covid
Beppe Severgnini ieri sul Corriere della Sera, si chiedeva come era possibile tanta cattiveria sui social (e non solo) contro Silvia Romano. La cifra del riscatto, la tunica verde, le ragioni di Stato e via discorrendo. “Non siamo diventati migliori? Il dolore di questi mesi non ci ha insegnato nulla?” Domande lecite quelle dell’editorialista del Corsera? Vere, genuine o solo retoriche? Abbiamo mai davvero pensato che due mesi di lockdown avrebbero trasformato una moltitudine di persone, in una comunità? Ma davvero si poteva pensare che l’effetto del distanziamento sociale generasse un’idea collettiva solidale? E non parlo di “popolo” che bisognerebbe ricordare sussiste solo quando è presente un’ideale comune da difendere, sempre che non ci riferiamo a quello tanto citato nei reality show!
Quattro balli sui balconi, la condivisione di uno slogan – “Andrà tutto bene” – potevano essere i segni di una costituente comunitaria?! O non sono stati forse semplicemente i gesti della bestia che quando deve sopravvivere ad una condizione di avversità si avvinghia a qualsiasi cosa con istinto di sopravvivenza?! Come quelle chiacchiere con il vicino mai sopportato che scaturivano dall’assenza totale di contatto interpersonale. Era utile ad entrambi parlare. Utile, niente altro. Siamo stati l’oggetto dell’altro e abbiamo usati gli altri come oggetti.
Possibile mai che senza una cultura diffusa, un pensiero, un’idea di società, del mondo e delle cose, una clausura forzata si potesse trasformare nella costruzione di un popolo?! Abbiamo giocato con la demagogia necessaria per stare al mondo, singolarmente. Nulla più! Infatti, nel giro di una settimana i canti sono diventati delazione. Gli slogan si sono tramutati nelle foto sui social, e “dagli all’untore”, nelle segnalazioni con la bava alla bocca. Troppo cinismo? No. E i tanti volontari che si sono spesi in queste lunghe settimane? E loro? Ho sentito un giovane ragazza, Agata di Ravenna, che con il suo gruppo Scout ha speso i suoi giorni nel preparare cibo per le persone sole, per chi era in isolamento, andando a scovare i senzatetto. E quasi si è messa a ridere, al cospetto della mia ammirazione. Cinica anche lei? No. Realisticamente mi ha spiegato che ciò che li muove oggi nell’emergenza del Covid, è la medesima spinta che in “tempi di pace” li spinge ad occuparsi di altre piccole emergenze locali, in ogni situazione di disagio e sofferenza. Chi si è posto in aiuto in questi mesi, si pone in aiuto sempre. Grazie ad una visione dell’altro, della persona, del destino di ogni essere vivente. Il plauso che possiamo fare a tutti i volontari in questi giorni è ipocrita se ci dimentichiamo che il loro impegno solidale prescinde da qualsiasi pandemia. Perché poi a guardare bene, che cos’è se non una pandemia che ha intaccato l’umano, ciò che siamo riusciti a dire di una ragazza che per due anni è stata prigioniera ed è tornata viva regalandoci il suo sorriso?! No, non siamo diventati migliori dopo due mesi di “arresti domiciliari”, ognuno ha cercato di sopravvivere come poteva, senza un’idea della storia, del mondo, della civiltà, dell’essere. Siamo i soliti stronzi, anche dopo il Coronavirus.
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