Costume
Se mi sgarbi, ti cancello. Terza puntata
Analogamente oggi si perseguitano, sempre su iniziative di stampo brillantemente anglosassone, persone che avrebbero commesso presunti orrori familiari, non importa se poi smentiti dai fatti, come, per esempio, Woody Allen e le sue opere. Sarebbe come bruciare i madrigali di Gesualdo da Venosa perché il principe uccise colle sue mani sua moglie Maria D’Avalos e il suo amante Fabrizio Carafa, sorpresi a fornicare, o abiurare i capolavori di Leonardo da Vinci perché ideò e costruì macchine da guerra per i suoi committenti. Non credo che verrebbe in mente a nessuna persona con un briciolo di ragione in zucca. Woody Allen non ha ucciso né violentato nessuna figlia bambina e la sua vicenda è molto diversa da come l’hanno raccontata un’incattivita Mia Farrow e una da lei plagiata figlia Dylan, Pirandello direbbe che ognuno mostra la sua verità… Eppure la censura è ciò che succede per film come Via col vento o per opere come Aida oltre che per la rifiutatissima biografia di Woody Allen – sempre in quell’enorme zoo degli USA – o, e questo è veramente ancora più ridicolo, con principesse addormentate che non sarebbero consenzienti coi prìncipi che le baciano per risvegliarle, non capendo assolutamente nulla delle metafore favolistiche né che Biancaneve non poteva essere consenziente in quanto vittima di un incantesimo. Né, probabilmente, che questi concetti di consenso fossero totalmente estranei all’epoca di chi ha inventato quelle favole. E chissà se Biancaneve si potrà ancora usare come nome, visto che si potrebbe anche intendere come termine in gergo per la polverina bianca che tanto piace in giro. Non ditelo mai al telefono, per carità, altrimenti se vi intercettano sono guai.
Stiamo parlando di Biancaneve e del suo principe, due personaggi immaginari in una favola, non di persone in carne ed ossa, non so se avete realizzato fino a che punto la follia dei censori si sta spingendo. Anche i nani, perfino quelli di Biancaneve, sono diventati categorie protette per ciò che sono: certe parole per indicare persone di bassa statura sono oggi considerate delle offese e si diventa passibili di censura e pure diffamazione. Derisione del corpo, body shaming per gli amanti degli idiomi esotici. Biancaneve e i sette diversamente alti, abituiamoci alla possibilità che ai bambini la favola sarà presto impartita così, altro che le favole di Elio e le Storie Tese. Non si potrà più ascoltare Der Zwerg (Il nano), agghiacciante Lied di Schubert? Bisognerà cambiare il titolo e i versi per non ferire i diversamente alti? E che fine farà il film Io la conoscevo bene (1965) di Antonio Pietrangeli, capolavoro assoluto del cinema italiano, dove UDITE! UDITE!, la professoressa di dizione è stata addirittura doppiata da un uomo (!), il polimorfo Elio Pandolfi (che ha doppiato perfino Greta Garbo!),
in uno dei suoi più esilaranti doppiaggi? Pensate, la negazione della femminilità, reato gravissimo oggigiorno, bizzarra epoca in cui sta dilagando la moda di far doppiare i film alle stesse categorie che i personaggi o gli attori rappresentano: omosessuali da omosessuali, neri da neri, bianchi da bianchi, potremmo aggiungere preti da preti, idraulici da idraulici, domatori di pulci da domatori di pulci… Ah! Dimenticavo: siccome Ciakovskij era omosessuale tutti i pianisti che interpretano i suoi concerti per piano dovranno esserlo a loro volta, così come tutti i cantanti delle sue opere e i ballerini dei suoi balletti, anche se cantano o danzano ruoli di eterosessuali, sennò si può falsare l’interpretazione… non si finirebbe più. Tutto per soddisfare la musa del politicamente corretto. Mi prudono le mani. Bei tempi quelli in cui Jacques Offenbach irrideva all’Opinione Pubblica facendone un personaggio ridicolo nella sua graffiante opera buffa Orfeo all’Inferno. Forse erano più avanti nel 1858.
Il confine tra tutti questi polimorfici atteggiamenti è labile, perché tutto è riconducibile a una generica attitudine patologica: la paura della conoscenza e la libertà che porta con sé. No, perdonatemi, le patologie sono plurime, c’è anche l’imbecillità, al contempo corollario e radice della precedente patologia.
La conoscenza è un grande fardello, indubbiamente. Ed è complessa. La semplificazione della Storia, narrandola come se fosse una serie tv di bassa lega o un reality show da tv commerciale, è sicuramente assai più facile ed è anche più accessibile a masse semi-decerebrate, quali ci avviamo a diventare. Il lavaggio del passato, in una centrifuga che confonde pericolosamente tutto, è il più grande pericolo che ci sia, insieme alla pandemia, perché se la pandemia cancella fisicamente le persone, il lavaggio del passato cancella l’identità e la posizione di ognuno di noi nella realtà ricostruendone una fittizia e di qualità sempre minore. Un processo simile alle neolingue.
Per ciò che riguarda l’attenzione fobica alle parole, ai generi, a impronunciabili plurali coll’asterisco (semplicemente perché all’asterisco non corrisponde alcun fonema, vedi nota * in calce), e a tutte queste aberrazioni dello spettro idiomatico, almeno per ciò che concerne la nostra lingua, per chi li tira da una parte e dall’altra, si potrebbero aprire anche scenari psichiatrici. Una cosa sono le parole, ben altro i comportamenti. Non mi spaventano tanto Pio e Amedeo ma piuttosto le squadracce di teppisti che se la prendono coi neri o coi gay e li mandano all’ospedale o li ammazzano. O anche solamente li intimidiscono. Le parole esistenti non sono forse così determinanti, nella soluzione del problema, perché se ne trovano sempre altre nuove per discriminare, è tutto un atto di volontà. Le parole bisogna conoscerle e poi magari scegliere di non usarle, ma non cancellarle, serve a poco se poi non si punisce e severamente chi compie i reali soprusi. Si dovrebbe poterle scrivere, soprattutto se si descrive un periodo, una situazione, un ambiente. La lingua, se è viva, cambia in continuazione, perché gl* uman* (va bene così?) cambiano, si fondono, mutuano termini da altre lingue che li possiedono, perfino i dispregiativi, che si sono formati nel tempo e hanno un loro significato storico. Sennò poi si rischia di immaginare che The Sports of Gay Chicago,
coro del musical Show Boat (J. Kern e O. Hammerstein II, 1927), significhi “gli sport che si praticano a Chicago, città omosessuale” mentre “gay” negli anni Venti significava (e continua a significare, anche oggi, oltre alle nuove valenze) “allegro” e la frase significa “I gagà dell’allegra Chicago” . È bene saperlo per non incorrere in equivoci, ma bisogna conoscere la Storia, anche quella idiomatica, non cancellarla altrimenti poi non ci saranno più punti di riferimento per tradurre il passato.
Leggo oggi che la Treccani, non l’ultima arrivata in fatto di dizionari ed enciclopedie, forse per non essere accusata di atteggiamenti discriminatori, si adegua a questa politica di cancellazione ed elimina dai sinonimi di “donna” le parole “cagna”, “zoccola”, e anche l’ingannevole eufemismo “buona donna”, tutti dispregiativi usati indifferentemente da uomini e donne nel parlato comune per indicare donne di facili costumi o professioniste del sesso, a volte anche inteso per uomini, femminilizzati per dispregio. Chissà come i posteri, ormai persa la valenza di questi termini, interpreteranno canzoni, romanzi, film, dove queste parole sono usate non a scopo calunniatore ma semplicemente descrittivo. Ossia, questi termini, al pari di “negro” o altri, indicano una certa epoca e chi vorrà cercare filologicamente nell’archivio linguistico italiano non troverà alcun indizio se tutti i dizionari a poco a poco li cancelleranno. La Traviata, alla luce della libertà della donna di oggi sarà un titolo d’opera discriminatorio, andrà cambiato in qualcosa che diventi politicamente corretto, si aprono i concorsi. Questo è l’altro lato della cancellazione, la perdita di una memoria, discutibile finché si vuole, certo, ma è una memoria che va conosciuta. L’illusione che cancellando questa memoria il mondo cambi in meglio è semplicemente infantile. La semplificazione è infantile. Il mondo attuale è irrimediabilmente infantile.
Sì, sono infantili anche persone che dovrebbero essere anagraficamente mature, tutte a perdersi dietro ai commenti sui social, come gli adolescenti, tutti che devono per forza affermare le loro minchiate e pretendono che le loro minchiate debbano avere la stessa importanza delle riflessioni di Kant nella Critica del Giudizio, tutti che vogliono illudersi di essere degli influenzatori (influencer per gli amanti delle lingue esotiche) su Instagram o su Facebook. Tutti irrimediabilmente infantili. Una società di infanti senza consapevolezza critica, ecco che cosa sta causando l’abuso delle neolingue, la tecnologia nelle mani di perpetui bambini, che non sanno coglierne le immense potenzialità di crescita ma le usano per invadere l’etere di pettegolezzi insensati, dissipando una quantità di tempo preziosissimo che potrebbe essere meglio utilizzato. Oltre ai danni neurologici che sta causando questa infame pandemia. Infantilismo cronico e prolungato. E chi detiene il potere si mostra ancora più infantile, simulandolo, forse, oppure cadendoci in pieno anche lui perché completamente nevrotizzato dal proprio narcisismo, stile Pinocchi di Rignano, Capitani di ventura, Cavalieri senza cavallo, progressisti che arretrano, e via discorrendo. Quella di Peter Pan è un’altra epidemia dilagante, e mi fa orrore quanto l’altra, perché non fa altro che riprodurre immaturi su immaturi che credono di dover esprimere la propria squinternata opinione sempre e comunque, senza un briciolo di autocritica, in televisione, sui social, al bar sport, come bambini incontentabili. Il silenzio è d’oro. D’oro, capite? Il rumore di fondo è fastidiosissimo, non se ne può più, lo sentite anche voi?
Provo a immaginare cosa sarà la letteratura con un lessico sempre più ridotto e con uno stile sempre più uniformato, senza più voli linguistici e termini pericolosi. Cancellata. Già ne vediamo i risultati sulle produzioni recenti, libri veramente imbarazzanti nella loro povertà idiomatica e concettuale, che rispecchiano la linea editoriale di editori (spesso solo tipografi che stampano) pavidi o sedicentemente e ipocritamente attenti alla neolingua del politicamente “corretto”.
La storia dei doppiaggi cinematografici e dei traduttori di Amanda Gorman è già stata un sonoro campanello d’allarme che hanno sentito anche su Marte. Vogliamo fare una solenne pernacchia agli USA e a tutto ciò e rifiutarci di comprare qualsiasi traduzione di Amanda Gorman, almeno in Italia, diffidando anche degli editori che ce la propongono in traduzione e delle loro altre proposte? Chi vuole se la legga in originale e si faccia fare la traduzione dal traduttore online, che sarà senza alcun dubbio imparziale e politicamente corretto (Abba’s fans sono pur sempre “i ventilatori degli Abba”).
Se si volesse sdrammatizzare un po’ tutto, la vita quotidiana di ognuno di noi ne gioverebbe. Ci vorrebbe un Trilussa coi suoi messaggi in versi senza peli sulla lingua.
Io, per quanto riguarda me, ma è solo la mia posizione personale, non obbligo nessuno a pensarla o a sentirsi come me, direi insieme a Frank Zappa:
che non se ne può più. E fateve ‘na canna!
* Ma cavi miei, vediamo un po’. Si potvebbe pvonunciave l’astevisco con un suono che nel sistema alfabetico del nostvo musicale idioma non esiste, natuvalmente. Pevò bisognevà tvovavne uno che non stoni, ecco. Vediamo un po’ cos’abbiamo in casa. La ü milanese? Mmmmh, no, tvoppo scontata e poi non si adatta molto pev dei pluvali. Ma no, ma no. Ecco, tvovato. Facciamo i pluvali con “i” ed “e” insieme, quando si vuole espvimeve che sono maschi e femmine: opevaiei o opevaiie, professovie, avvocatie, studentie, e così via. E si scvive con *. Che genio… Che dice, lei? Ah, che l’astevisco con suono “ie” si può puve adopevave in pavole come ievi=*vi o ievatico=*vatico o insieme=ins*me? Ma che bellino! Che bella idea… chiamo subito la mia amica editvice per divle di vivoluzionave la tipogvafia. Vendevà il doppio e si vispavmia inchiostvo e spazio. Che chic.
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