Costume
Se mi sgarbi, ti cancello. Seconda puntata
Quando leggo di libri proibiti, di autori altrettanto proibiti perché da parte loro sarebbero state compiute nefandezze e che se ne debba disperdere la memoria credo che con queste pratiche censorie si compia uno degli errori più grossolani possibili. Senza una memoria sempre rinverdita di ciò che è accaduto, fino in fondo, non ci sarebbe più il Giorno della Memoria dell’Olocausto, per esempio. O sarebbe inutile studiare le varie storie a scuola, che ha proprio come scopo la conoscenza e la consapevolezza della memoria e la sua tutela.
Ha senso cancellare quelle memorie oppure non è più utile farle emergere in un contesto ben preciso affinché tutti, ma davvero tutti, possano capire che non è ripercorrendo certe strade che l’umanità potrà migliorare? Contestualizzare gli eventi è importante, proprio per comprendere la valenza di ogni attitudine, di ogni parola, di ogni azione, che non vuol dire unicamente approvarle o disapprovarle ma soprattutto conoscerle. Inoltre, ciò che viene spesso buonisticamente e zoologicamente spacciato per democrazia e per diritti di etnie oppresse nasconde a volte un atteggiamento di assolutismo ideologico molto pericoloso.
Perché, per esempio, seguendo atteggiamenti così assolutisti, dovremmo ascoltare persone dalla pelle nera, gialla, zebrata, parlare e scrivere in inglese, in francese, in portoghese, o in altre lingue “coloniali” e non, invece, orgogliosamente, nell’idioma nativo di quell’etnia (che magari non prevede una lingua scritta)? Perché Amanda Gorman dovrebbe utilizzare la lingua di Emily Dickinson per parlare delle bruttissime cose che sono successe alle persone colorate come lei e non, invece, la lingua d’origine dei suoi progenitori, negando quindi in toto il predominio culturale anglosassone, e di conseguenza la lingua degli oppressori e degli schiavisti? Siamo proprio così sicuri che l’America sia il paese ideale per lei e tutti i discendenti di coloro che in passato sono stati schiavizzati, vista la magra fine di quel poveretto soffocato da un poliziotto alfa bianco (per fortuna condannato e messo in condizioni di non nuocere più)? E quindi che lei debba adottare la lingua dell’oppressore per esprimere il disagio di una persecuzione? Così si potrebbe riequilibrare tutto, o no?
In realtà no, naturalmente, perché ormai gli equilibri sono altri e il tempo è andato e continua ad andare avanti, frutto di incroci e commistioni senza fine. La lingua è un collante significativo perché, volenti o nolenti, si porta dietro segni culturali profondi e la lingua che Amanda usa è la stessa lingua che usava termini che oggi il politicamente “corretto” non vuole più che si usino, in questo modo dimenticando, pensando di cancellare l’orrendo passato, smacchiando il senso di colpa bianco da tutti quei brutti tacconi, tacche e tacchine. Però le offese vanno ben oltre le parole, visto ciò a cui assistiamo quotidianamente e non servirà cambiarle se non si cambia la testa delle persone. Le parole sono successive a un pensiero che, se non c’è, non si può esprimere con grafemi e fonemi: guavda, usiamo questo vicciolo per la “a” pevché è più pittovesco, e magavi pvonunziamola così, un po’ più chiusina pevché apevtuccia è volgave. Ecco, con una “a” così si espvime meglio che l’umanit@ può aveve un geneve indetevminato. Chic, neh?
Altri invece pensano che sia il contrario, ossia che siano le parole a determinare il pensiero e Orwell, nei suoi “Principi della Neolingua”, affermava proprio questo. Certo, Orwell è un po’ datato e si riferiva allo stalinismo come modello di riferimento per la conformazione linguistica. Osservando ciò che succede oggi, forse potremmo dire che di neolingue siamo invasi anche nelle fittizie democrazie in cui viviamo, perché anche il politicamente corretto è una neolingua. Una tra le tante, come anche il politichese, il sindacalese, il berlusconese, il salvinese, il televisionese e così via, in una lotta di creatività al ribasso.
La distruzione della memoria e il politicamente “corretto”, interpretato a senso unico, assoluto, sono la tomba del progresso. Noi siamo sempre e comunque il risultato della Storia. Le nostre radici si mescolano nel passato e i famosi sei gradi di separazione potrebbero veramente azzerare etnie e distanze rendendoci consapevoli che il calderone di Adamo ed Eva è la pignatta comune da cui sfamarsi, scoprendo di essere cugini alla lontana anche della regina Elisabetta o di Antonio Banderas.
La sperimentò Ipazia di Alessandria, questa distruzione, colla persecuzione ed assassinio da parte dei cristiani, perché il suo linguaggio e i suoi concetti erano eretici, così come lo sperimentarono artisti, letterati e scienziati le cui opere furono bruciate da Savonarola. O come il caso dei roghi nazisti, primitivi, le cui fiamme divorarono la cultura e l’arte “degenerate”, o, più recentemente qualsiasi memoria non sia un derivato dell’islam, statue, antichità, documenti, distrutti dai fondamentalisti islamici.
Il Vaticano, nel 1559, stilò un Indice dei libri proibiti – l’ultimo, perché ci furono altre liste di testi proibiti da Nicea in poi – costantemente arricchito e che fu soppresso solamente nel 1966, dopo ben quattrocento anni: Boccaccio, Ariosto, Erasmo, Bacone, Cartesio, Balzac, Stendhal, Rousseau, Kant… tra gli indicati più illustri. Una lista senza fine dei capolavori che hanno formato l’identità culturale occidentale proibiti da una setta di fanatici religiosi. Cancellata anche la memoria di codesto indice, così, giusto perché il papa è buono, non perché il Vaticano, nel 1966, dal punto di vista giuridico, contava meno del due di coppe e non poteva più bruciare nessun eretico. Cancellato talmente bene quest’obbrobrio che se si chiede, sempre ai soliti giovinastri, interlocutori virtuali nella prima parte dell’articolo, meglio se papaboys o boy scout o sentinelle in piedi, che cosa siano i libri proibiti dal Vaticano risponderebbero: mah, forse le biografie non autorizzate del papa polacco, del papa tedesco o del papa argentino…
Accanto a quest’aspetto della cultura della cancellazione e delle neolingue si apre la porta sulla stanza accanto, ossia quella della persecuzione di persone che sono state additate pubblicamente come mostri e complici di qualche regime pur avendo creato opere dell’intelletto che hanno influenzato comunque la Storia. Per fortuna non è valso, ancora chissà per quanto, per le opere di Luigi Pirandello, Ottorino Respighi, Ildebrando Pizzetti, Alfredo Casella, Piero Portaluppi, Fortunato Depero così come per una discreta parte di artisti operanti nel Ventennio fascista, pur essendo stati fascisti (e chi non lo era, allora? Assai pochi, Respighi non fu mai iscritto al Pnf ma non ne rifiutò i favori), che crearono opere di grande rilievo e non meritano di essere cancellati solo perché aderirono o simpatizzarono. Chi poté andò via, ma chi non ce la fece dovette scendere a patti.
Come non dovrebbe essere cancellata la memoria del Duce ma conosciuta in tutti i dettagli e in tutti gli errori di strumentalizzazione storica di cui fu autore, in modo che i posteri possano avere un’idea del perché, per esempio, il machismo italico sia così radicato e pernicioso e sia la causa primaria dei femminicidi, o del concetto di famiglia tuttora ancorato a formule arcaiche, nonché del dileggio del popolo LGBT+ – soprattutto da parte leghista, cavalierista, fratellitaliota e bestie simili – così come perché la maggior parte degli italiani di oggi ignori le nefandezze coloniali del fascismo, che avrebbe fatto tante cose buone (!), tipo i treni in orario, eh, quando c’era Lui… Questo servirebbe a isolare l’onda crescente di quei giovani nostalgici di oggi che, anche loro, sono poi nostalgici di che cosa visto che il fascismo non l’hanno vissuto e ne rivivono solo una narrazione assai edulcorata che viene sempre quasi trattata come una cosa di cui non si deve parlare? E, per di più, costoro sono assolutamente ignari dei fenomeni culturali del Ventennio, subiscono solo una fascinazione per un passato mitizzato e mai studiato veramente, come se fosse una saga di signori degli anelli o di cavalieri senza macchia e senza paura. Una vera narrazione con tutte le memorie orrende ma anche obiettive non si è fatta come in Germania, tutto viene ancora spesso coperto da un velo di sufficienza e volemose bene.
Il mantenimento della memoria serve anche a sfatare questi falsi miti. Così come l’arte déco e l’architettura razionalista italiane non devono essere confuse con un’estetica fascista tout court e scartate. È il più grande errore storico che si possa mai fare: esse erano l’espressione di una corrente estetica mondiale che in Italia coincisero cronologicamente col periodo fascista, punto. È stupido e antistorico classificare il razionalismo italiano unicamente come architettura di regime e basta. In alcuni casi assunse forme celebrative ma non sempre.
E non è neanche lontano, questo modo di pensare, da un candeggio di passati scomodi di certi capitani che prima urlavano assai offensive cose simili a forza Etna e forza Vesuvio in cori di ubriachi e, volendosi rifare una verginità irrimediabilmente perduta, adesso ambiscono, utilizzando la neolingua salvinese, al voto partenopeo e siciliano per sopravvivere a un’identità assai imbarazzante e francamente oscena. Distruggere o negligere queste memorie non ha alcun altro effetto che impoverire il bagaglio culturale e la consapevolezza di tutti.
2 – continua
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