Beni comuni
Un’idea di scuola
Le lezioni a scuola procederanno fino a fine giugno, quest’anno.
Finalmente.
Ma non basta.
Immaginiamo un ospedale, chiuso da metà giugno a metà settembre.
Immaginiamo un supermercato, anzi, tutti i supermercati, chiusi da metà giugno a metà settembre.
Immaginiamo l’ufficio dell’Anagrafe del Comune, chiuso da metà giugno a metà settembre.
La scuola non è un servizio essenziale come quelli elencati?
Quante attività e servizi conosciamo che chiudano da metà giugno a metà settembre?
Forse solo le attività, appunto, stagionali (impianti sciistici e balneari, per esempio).
Perché la scuola chiude da metà giugno a metà settembre?
Siamo bloccati su un’idea di didattica antica, che seguiva i cicli stagionali agricoli e che pensava all’attività scolastica come ad un meccanismo di passaggio nozionistico, dall’insegnante agli alunni, rigorosamente seduti ad un tavolo, in attesa che venga loro versato il Sapere.
Poi, finito il versamento, si può scappare, a fare attività più interessanti, più divertenti.
E, d’estate, tutti in vacanza per tre mesi: con i nonni? Con i parenti? Con le mamme che non lavorano (ma vogliamo innalzare l’occupazione femminile)? Al centro estivo? Al Grest?
Dobbiamo pensare alla scuola in maniera inedita, ossia come parte integrante della società, che possa effettivamente aiutare le famiglie, in sostituzione del welfare famigliare su cui si basa il paese per ora, ma, soprattutto, che offra ai ragazzi uno spazio alternativo di uguaglianza ed opportunità.
La scuola deve essere aperta: intendiamo sempre aperta, come un ospedale, come un supermercato.
La scuola è lo spazio dell’aiuto per la famiglia, per gli alunni e i loro genitori, aperto dalle 7 del mattino alle 7 di sera, il 29 di dicembre e il 10 di agosto.
La scuola non è stare seduti ad un tavolo, o, meglio, è anche stare seduti ad un tavolo.
Ma, in realtà, è la vita: è studio, è attività sportiva, è gioco, è svago, è stare coi propri amici e conoscerne di nuovi, è conoscere quell’insegnante che ti dice che potrai diventare tutto quello che vuoi se ti impegni.
È l’aiuto per i ragazzi che hanno difficoltà, che possono fare i compiti supportati da un insegnante; è l’attività che i ragazzi più poveri non possono permettersi (il pianoforte, la danza, il nuoto, le lingue straniere); è il ventre accogliente di chi è lasciato solo a casa; è il supporto per i genitori che lavorano (anche quelli che lavorano il 10 di agosto!), o per quelli che cercano lavoro, o, addirittura, per i genitori che hanno necessità di momenti da soli.
Non possiamo fare finta che non esistano babysitter, nonni, carissimi centri estivi e che queste cose esistano solo per chi se lo può permettere; dobbiamo affrontare la questione figli come un “problema” della società: quanti genitori non possono permettersi babysitter? Quanti non hanno parenti vicini? Quanti non hanno i mezzi, economici ed intellettuali, per aiutare i propri figli a fare i compiti a casa?
La scuola è lo spazio dell’uguaglianza!
È il luogo sempre aperto dove rifugiarsi: o, in uno stato laico, vogliamo demandare ancora questa incombenza -tra l’altro senza un’organizzazione formale- all’oratorio?
Le classi, allora, esistono solo in alcune ore della giornata, ma le attività scolastiche sono in realtà flussi flessibili che si adattano alla molteplicità di esigenze, ma anche di attitudini: alcuni alunni preferiranno nuotare, altri giocare a calcio, alcuni studieranno cinese, altri musica, alcuni recupereranno materie ostiche, altri preferiranno leggere, altri ancora si sdraieranno oziosi in cortile o nel giardino.
Quello che facciamo e che abbiamo fatto tutti nella nostra giovinezza, ma in un ambito di sicurezza e accoglienza (non di controllo).
Gli edifici saranno progettati, poi, di conseguenza: campus, più che scuole; aperti all’esterno, con grandi giardini, con spazi in cui relazionarsi, anche accidentalmente. Non esiste più il binomio aula/corridoio, ma si configurano passaggi, e paesaggi, di apprendimento: ogni luogo è insegnante, l’edificio stesso è didattica.
Abbiamo capito, durante i lockdown pandemici, che il rimanere chiusi nelle nostre case ha aumentato la diseguaglianza tra le persone (e chi ne ha più sofferto sono bambini e adolescenti) e che lo spazio pubblico aperto è il luogo, di tutti, che ci rende più uguali.
La scuola è spazio pubblico: per questo la sua progettazione, il suo implementamento, la sua qualità sono indispensabili al miglioramento stesso della società.
Le case possono essere piccole, claustrofobiche, pericolose e non tutti i ragazzi hanno uno spazio dove studiare con tranquillità e concentrazione: la scuola è quello spazio!
È lo spazio che offre, al povero e al ricco, una configurazione fisica paritaria e personale specializzato come punto di riferimento, dona a tutti il benessere, fisico e mentale.
I progetti arriveranno, nuove scuole si costruiranno e le più vecchie verranno ristrutturate.
Oggi, però, possiamo -dobbiamo- aprire, a tutti.
Testo scritto con Chiara Quinzii
Immagine di copertina: Mario Cucinella Architects, Asilo nido a Guastalla, 2015, foto di Moreno Maggi
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