Scuola
Una società dell’ansia
Parafrasando un classico di qualche tempo fa, e modificandone però il significato, l’ansia è l’ospite inquietante della nostra società. Secondo la psicologia, essa consiste nello “stato di agitazione, di apprensione e di irrequietezza accompagnato da sintomi fisiologici caratteristici come tachicardia e iperventilazione […] una risposta naturale dell’organismo a certe condizioni ambientali, ma diventa un problema quando è una presenza costante nella vita di una persona e quando è così intensa da costringerla ad adattare il proprio stile di vita alla gestione dell’ansia” (https://www.riza.it/psicologia/ansia/6835/ansia-cos-e-come-riconoscerla-come-curarla.html). Di per sé, si tratterebbe di un meccanismo fisiologico di risposta a pressioni ambientali. Tuttavia, può degenerare in “uno stato di attivazione perenne e un evitamento generale”, di per sé diverso dalla paura. La sintomatologia può variare, ma il fenomeno ansioso insorge nel momento in cui la persona interessata “risponde intensamente agli stress o è sopraffatta dagli eventi” (https://www.msdmanuals.com/it/casa/disturbi-di-salute-mentale/disturbi-d%E2%80%99ansia-e-correlati-a-fattori-stressanti/panoramica-sui-disturbi-d%E2%80%99ansia#Cause_v747004_it). Nel corso della nostra vita, chiunque può aver patito di episodi di ansia.
Tuttavia, la frequenza nella sua denuncia raggiunge livelli elevati quando si ha la ventura di riscontrarne la percezione negli adolescenti. Si scopre così che quasi tutti gli studenti adolescenti nella fascia compresa tra i 15 e i 19 anni denunciano di dover gestire le negatività comportate dal fenomeno dell’ansia. Si tratta, certo, di una rilevazione non sistematica e piuttosto qualitativa; rilevante, comunque, che gli studenti verbalizzino, e spesso, questo loro stato emotivo. Meno consapevoli, invece, appaiono gli stessi quando si chiede loro di analizzare il proprio vissuto ansioso. Ne emerge, almeno nella gran parte, non tanto una loro incapacità cognitiva nello scomporre il fenomeno nei suoi costituenti, quanto, e piuttosto, la sovrapposizione di più stati emotivi, genericamente etichettati come ‘ansia’. Si tratta, a tutti gli effetti, di una categoria generale sotto cui ricomprendere un’ampia gamma di fenomeni emotivi negativi per il soggetto che li esperisce o che li subisce. Dall’esterno, si ha a volte l’impressione che gli adolescenti mostrino i sintomi della depressione senza però soffrire della relativa patologia. Qualcuno potrebbe cedere alla tentazione di liquidare il malessere giovanile bollandolo come ‘immaturità’ oppure, peggio, come ‘debolezza’; purtroppo, però, le cose non sono né così semplici né tantomeno così lineari, come pure noi adulti potremmo credere.
Dal momento che gli adolescenti non sono lo specchio degli adulti, è opportuno allargare il presente focus alle rilevazioni quantitative. Secondo il rapporto ISTAT “Salute mentale” del 2018, la depressione nei soggetti di età compresa tra i 15 e i 44 anni è pari all’1,7% a fronte di una media UE del 5,2% (https://www.istat.it/comunicato-stampa/la-salute-mentale-nelle-varie-fasi-della-vita/). Sebbene, dunque, la depressione sia il disturbo mentale più diffuso nelle nostre società, l’incidenza effettiva è piuttosto bassa o, comunque, non significativa. Secondo una certa prospettiva, invece, questo quadro è peggiorato a seguito della recente pandemia. Infatti, secondo la rilevazione promossa dal Garante per l’infanzia e l’adolescenza, i cui risultati sono stati recentemente oubblicati, la percentuale di giovani che segnalano il disagio ansioso è pari al 51,4% dei partecipanti alla consultazione https://www.garanteinfanzia.org/sites/default/files/2024-10/salute-mentale-come-stanno-ragazzi_0.pdf). Praticamente, la metà della coorte di età. Non è esimente osservare che questa percezione sia sovrapposta alla percezione di stati negativi persistenti. Seppure i pensieri negativi possano concorrere alla produzione ansiogena, il dato è sintomatico. Interessanti i dati su stanchezza percepita e nervosismo, rispettivamente il 49,8% e il 46,5%.
Al netto di una società adulta incapace di riconoscere la problematica, la questione è a dir poco grave. Infatti, l’ansia appare il sintomo di una società malata, o quantomeno ansiogena, e segnatamente di una società che esercita una pressione implicita sui soggetti, sempre più precoce e sempre più invasiva della libertà personale. Nel suo recente testo, La società dell’ansia, Vincenzo Costa ravvisa non solo che il soggetto ansioso è un soggetto che ha perduto la capacità di riconoscere l’emozione e di comprenderne il rapporto con la propria esistenza, ma anche che lo stesso avverte in maniera non riflessiva che il proprio destino non è nelle sue mani, ma nelle mani di terzi, e che, dunque, il proprio esistere è caratterizzato da una precarietà che sfugge al disciplinamento.
Il dilagare dell’ansia significa che sono avvenute delle trasformazioni radicali a livello di struttura nel legame intersoggettivo e nelle forme di interazione sociale.
Il fenomeno andrebbe piuttosto preso dannatamente sul serio, e non solo perché mina la salute mentale, soprattutto delle giovani generazioni, ma anche perché attenta alla saldezza stessa dei legami sociali.
Tornando agli adolescenti, la loro cura in seno alla scuola comporta ulteriori riflessioni. Una prima è inerente al tipo di esperienza che viene mandata ad effetto: sino a che punto l’offerta formativa è capace di tenere assieme benessere emotivo e qualità degli apprendimenti? Ovviamente, all’interno di un’ottica complessiva capace di disinnescare probabili ed opportunistici tentativi evitativi o falsi alibi volti a giustificare il disimpegno. Certo, enfatizzare rilevazioni, e correlative classifiche annuali, come Eduscopio, INVALSI, OSCE-PISA e affini, non aiuta. Così come esercitare un’attesa sociale su che tipo di scuole scegliere per aumentare le probabilità future di benessere economico. Allo stesso tempo, mandare ad effetto perverse conseguenze, legittimate socialmente in goffi termini di meritocrazia, pur lasciando non meritocratica l’organizzazione vigente della società, non fa che aumentare incertezza e timore di non farcela.
Curiosamente, o forse no, questa tendenza agisce sul meccanismo che induce gli studenti a collocare il controllo del proprio apprendimento, e, dunque, anche del proprio successo formativo, al di fuori delle proprie possibilità, trasformando le esperienze scolastiche nel loro complesso in un duraturo gioco sadico operato da terzi. Come potrebbe reagire l’organismo a uno siffatto stato di cose? Certamente, con lo sviluppo di ansia. Essendo, dunque, il correlato dell’attuale organizzazione sociale, si potrebbe parlare di una vera e propria società dell’ansia. Dal riconoscimento della questione deve discendere il suo trattamento. Vogliamo riconoscere il malessere emotivo degli alunni? E quali misure pensiamo di mandare ad effetto per affrontarlo?
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