Scuola
Una selva di orecchie d’asino
Provo un certo disagio nel leggere il rapporto Censis sull’istruzione degli italiani. E sulle conseguenze che questo declino dell’istruzione porta con sé, inevitabilmente. Un paese che si barcamenerà nella mediocrità, magari sfangandola, ma senza essere più una punta di sapienza come è spesso stato in un lontano passato.
“Nel Paese degli ignoranti, per il 19% Mazzini è stato un politico della prima Repubblica e per il 32% la Cappella Sistina è stata affrescata da Giotto o da Leonardo” recita il rapporto.
Diciamo che l’errore su Mazzini potrebbe essere un travisamento, perché il triumvirato Mazzini, Armellini e Saffi governò la Seconda Repubblica Romana (la prima fu quella napoleonica), ma dubito che gli intervistati sapessero che c’erano già state, nei tre secoli precedenti, altre repubbliche (a parte quella prima dell’impero romano). Ma arrivo a dire nemmeno le repubbliche marinare e forse non sanno nemmeno cos’è una repubblica. Già se avessero azzardato che Mazzini era una cantante famosa degli anni Sessanta e Settanta sarebbe stato uno sfoggio di cultura.
La cosa più pericolosa è l’assenza della consapevolezza che la democrazia sia una forma di governo da salvaguardare comunque. E sembra prevalere, nel rapporto, un’eccessiva colpevolizzazione dell’Occidente per un suo passato imbarazzante, ma senza la consapevolezza che da quel passato fallimentare si sono formate in seguito le democrazie liberali. L’ignoranza di ciò che succede nel mondo e il non saper decifrare gli eventi che si svolgono intorno a noi conduce a errate interpretazioni, per cui seguire pedissequamente le notizie false propagate sui social e anche da certa stampa di partito è la via da seguire. Non essendoci un pensiero critico, tutto ciò che è più facile da credere, soprattutto se ben apparecchiato, viene preso per oro colato da un numero sempre crescente di italiani.
E l’ignoranza porta con sé le paure, la paura dei migranti, incrementata dal pregiudizio e dalle false informazioni della politica, la paura che la famiglia “tradizionale” possa essere annullata da altri tipi di famiglie non conformi alla “tradizione”, anziché giovarne, la paura che le persone di altre etnie e con colori di pelle diversa siano una minaccia, la paura di chi ha un orientamento sessuale “diverso” dalla “normalità”, così vezzeggiata e proclamata tale da quel Vannacci del Mondo al contrario.
Le paure sono il carburante dell’ignoranza e del pregiudizio, l’isolamento difensivo per proteggersi da mostri immaginari che però sembrano veri e in agguato nell’ombra perché presentati come le minacce più gravi e reali a dei bambini che non sanno distinguere che le persone da cui bisogna difendersi sono proprio quelle che instillano paure irrazionali. È l’uomo nero che torna da memorie infantili, lo straniero che viene da lontano per invaderci, il diverso da noi.
I Fratelli d’Italia, Giorgia in testa, adattano la Canzone del Piave come inno antimigranti, perché sono gli invasori, non passa lo straniero. L’avete già dimenticato? Io no. Questo video fu postato nel 2019, e i commenti entusiastici dei seguaci di Giorgia sono il vero pericolo: la gente sprovvista di pensiero critico, forse anche solamente di pensiero, ci crede e si esalta.
“Il 20,9% degli italiani asserisce che gli ebrei dominano il mondo tramite la finanza, il 15,3% crede che l’omosessualità sia una malattia, il 13,1% ritiene che l’intelligenza delle persone dipenda dalla loro etnia, per il 9,2% la propensione a delinquere avrebbe una origine genetica (si nasce criminali, insomma), per l’8,3% islam e jihadismo sono la stessa cosa.”
Non sono percentuali minime dell’1 o 2% , sono centinaia di migliaia di persone che pensano queste cose in un paese che dovrebbe essere alfabetizzato e che non sanno neanche chi è l’autore della Divina Commedia sebbene intuiscano che Dante Alighieri fosse, certamente, una persona importante visto che gli hanno dedicato delle strade e delle piazze, ma non saprebbero dove e come collocarlo, nel tempo e nello spazio.
La maggior parte dei giovani che frequentano le superiori, 8 su 10, non sono in grado di comprendere un discorso in italiano, ossia nella propria lingua; c’è uno scollamento, cioè, tra i vocaboli e il loro significato, le strutture sintattiche, che porta con sé lacune difficilmente colmabili e quindi la mancata comprensione della realtà intorno. 8 su 10, l’80%. il restante 20% non basta a garantire un futuro un po’ più rassicurante, soprattutto in un’epoca di populismi selvaggi come quella che stiamo vivendo. Persone come Vannacci, che propongono con facilità false visioni e interpretazioni, possono appropriarsi dell’attenzione e del pensiero di giovani (e meno giovani) che non comprendono il significato delle parole e non conoscono la Storia.
La denatalità nelle classi più elevate culturalmente ha il suo contraltare nella natalità incrementata nelle classi meno acculturate che non significa siano meno povere, anzi. La ricchezza non è proporzionale alla cultura, ne abbiamo esempi eclatanti nella classe dirigente del nostro paese, dove è più l’appartenenza a un ceto sociale elevato perché ricco (vedi Santanchè, Briatore, e compagnia cantante) a fare lo chic. Altro che radical chic (oggi, ahimè, radical choc), direi piuttosto cafonal trash, ma è anche cafonal o supercafonal l’influencer, e tutto quel sottobosco di gente inconsistente che ha divorato la foresta del sapere, come un’orda di parassiti del legno che tramuta tutto in segatura.
I panorami distopici di Ray Bradbury, che in Farenheit 451 descriveva un mondo di gente che aveva perso l’uso della lettura e dove chi aveva una biblioteca in casa era un pericoloso terrorista, potrebbero essere più vicini di quanto ci si possa aspettare.
E la “Biblioteca” più fornita, ridondante di opere inutili, biografie ricche di aneddoti insignificanti, di notizie false e superficiali, d’immagini pericolosamente rivelatrici, di notizie personali che possono ritorcersi contro gli autori come armi appuntite per chi volesse usarle per il verso sbagliato, è facebook o i social in generale. Nati per comunicare sono sfuggiti a un uso razionale e sono diventati un’arma letale: i video di tiktok, brevi e senza costrutto, disabituano i fruitori alla necessaria dose d’attenzione per approcciarsi a un’immagine, un video, una lettura, bruciandola nel tempo di un minuto. Qualsiasi cosa più lunga, un articolo, un filmato, un brano musicale, un libro, un discorso che richieda una soglia d’attenzione più resistente è destinata all’insuccesso.
Come aveva intuito, con una metafora geniale, Giorgio De Maria nel suo capolavoro “Le venti giornate di Torino” (1977). Da rileggere.
Devi fare login per commentare
Accedi