Scuola

Basta critiche a una scuola che non esiste

3 Marzo 2015

Dopo una pausa di riflessione, e dopo che da qualche settimana ho iniziato a lavorare nel campo della formazione docenti, ho deciso di rispondere all’ennesimo articolo negativo sulla scuola italiana in un periodo in cui le scelte del governo potrebbero risultare decisive per il nostro futuro.

Spero che l’autore non me ne vorrà (troppo), ma devo dire che anch’io, come alcuni commentatori, ho trovato l’articolo piuttosto deludente (anche se lo ringrazio di averlo scritto). I motivi sono i seguenti: mette insieme una serie di luoghi comuni sulla scuola, dalla lezione frontale come metodologia esclusiva all’assenza di pensiero critico (del quale l’autore dell’articolo sembra essere il solo depositario), passando per l’assunzione secondo la quale i ricercatori sarebbero buoni insegnanti (quei pochi che, da ricercatori, per sopravvivere fanno anche gli insegnanti non lo sono d’ufficio) e per la certezza che la scuola insegni solo la cultura europea. Anzi, italiana, sostiene l’articolo. Tuttavia, i termini scelti, “provinciale, miope, asfittica”, determinano un duplice errore dal punto di vista del Galateo della discussione: connotati negativamente, svalutano l’oggetto di cui si parla, ma lo fanno presupponendo implicitamente quello che dovrebbero dimostrare.

Non ci spiace (troppo) dirlo: sembra addirittura che l’autore del libro ultimamente non abbia aperto un manuale né messo piede in un’aula (e invece non è così, anzi, abbiamo di fronte a noi una persona davvero competente: un ricercatore e un docente). L’analisi non è un’analisi, insomma, e non è nemmeno lucida (a differenza di quanto sostiene un commentatore) ma una costruzione che viene messa al posto della scuola reale, molto più vivace di questo articolo oggettivamente un po’ datato (come la foto in copertina, degli anni quaranta). Presentare la scuola italiana in questo modo significa insomma commettere la classica fallacia dell’uomo di paglia. Ma c’è di più: tutte le tesi sarebbero da provare con una seria ricerca sul campo, ma non lo sono. Una sola domanda, che potrebbe essere un buon inizio per una ricerca pedagogica: sarebbe disposto a mettere in dubbio la sua posizione?

Proviamo. Io sostengo quanto segue: 1) a scuola si insegna il pensiero critico e lo si esercita (quasi sempre); 2) si trasmette una cultura italiana ed europea, classica e moderna, ma anche extra-europea, sempre di più, e i nostri alunni di origine straniera ci stanno aiutando moltissimo; 3) i metodi didattici sono infinitamente differenziati: tra l’altro, esiste anche la ricerca sul campo, la lezione ricerca cui sembra aspirare l’autore (e non è un surrogato per i ricercatori falliti, cui tocca di stare a scuola in mancanza di contratti universitari a tempo indeterminato); 4) il precariato intellettuale non è faccenda che riguardi la scuola, dove i pochi precari esistenti sono comunque pagati tutto l’anno e, probabilmente, a breve saranno anche tutti assunti; 5) la scuola forma anche i nuovi docenti, e lo fa quasi sempre bene; 6) meglio dell’Università, che deve chiedere aiuto ai docenti accoglienti dei vari istituti, sempre pronti ad assistere, accompagnare e mettersi in gioco con i colleghi tirocinanti (e con questo nego che manchino i punti di contatto tra i due mondi: esistono e sono fecondi); 7) l’alternanza scuola-lavoro, sempre piu’ capillare, è la negazione della presunta scissione tra i due mondi affermata nell’articolo; 8) il servizio sociale è prassi comune in tutte le scuole, dal volontariato organizzato dalla scuola al riconoscimento di quello già praticato in privato; 9) la separazione classista è una bufala, mentre invece conta la cultura dei genitori, e la scuola si sforza in tutti i modi, con corsi di recupero per gli alunni in difficoltà, interventi per gli alunni stranieri e in genere per studenti con bisogni educativi speciali o disabilità, di trovare i metodi migliori; 10) se poi si vuole proprio usare il modello statunitense (ma perché proprio quello, con tutti quelli, di gran lunga migliori, che ci sono?), si ricordi che quando la valutazione è internazionale, gli Stati Uniti non fanno proprio una bellissima figura (PISA docet).

 

Insomma: ne riparliamo, vuole?

 

Techne Maieutike

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