Scuola
Elogio della competenza. Una replica
Perdonami, lettore: questo è uno di quegli articoli lunghi e un po’ noiosi che però non è possibile non scrivere. E’ una risposta a questo articolo polemico di Giovanni Carosotti, che a sua volta replica a questa mia recensione di un libro di Galli della Loggia. I toni di Carosotti sono antipaticissimi, ma farò finta di niente, per non farti perdere altro tempo. Per la stessa ragione sorvolerò anche su alcuni punti dell’articolo, non proprio sintetico, di Carosotti.
Una premessa. Ritengo che la scuola abbia bisogno di qualcosa di più radicale di una riforma burocratica. Sono convinto che essa sia una istituzione che ha un difetto di origine piuttosto serio: la violenza. Per secoli le aule scolastiche sono state luoghi in cui si è perpetrata una violenza anche fisica; oggi la scuola continua a portare il peso di questa tradizione. Ed è necessaria una cesura, netta. Cesura che per me passa principalmente attraverso un ripensamento della relazione tra insegnante e studente, che si configura ancora come relazione di potere (o meglio: di dominio).
Questa premessa è necessaria per spiegare ciò che a dire il vero dovrebbe essere di per sé evidente: perché considero il discorso di Ernesto Galli della Loggia reazionario. Ecco: io considero qualsiasi discorso sulla scuola che non ne metta radicalmente in discussione l’impianto autoritario, l’asimmetria, la comunicazione unidirezionale, il setting burocratico come un discorso reazionario e conservatore. E no, notare la convergenza tra il conservatorismo di Galli della Loggia e certe affermazioni a sinistra del Pd non serve a far risaltare il carattere progressista del Pd. La tesi è che nemmeno a sinistra del Pd capita di ascoltare quello che per me dev’essere un discorso di sinistra sulla scuola. Un discorso che deve porsi, ad esempio, il problema della disuguaglianza sociale. Non sono a conoscenza, per dire, di esperienze italiane paragonabili al Teaching for Social Justice. Le affermazioni più ricorrenti – sì, sempre a sinistra – si limitano all’importanza di dare ai figli dei poveri una formazione rigorosa per metterli in grado di affrontare le sfide della società. E non manca naturalmente l’evocazione di rito di don Milani. Se si entra nel tecnico – va bene, ma come, se l’abbandono scolastico è drammatico? davvero si crede di poter recuperare i figli dei poveri facendo una scuola anche più difficile? – ci si imbatte in un silenzio più indispettito che imbarazzato. Le osservazioni piene di buon senso di Maurizio Parodi contro i compiti a casa, ad esempio, sono rimaste isolate. Eppure all’estero si riflette molto sul legame tra i compiti a casa e la disuguaglianza sociale. E sappiamo che il nostro sistema scolastico è tra quelli meno efficaci nel contrastare le disuguaglianze (che stanno crescendo sempre più, anche a causa delle crisi economica).
Veniamo alla pedagogia. Io mi sono formato pedagogicamente sull’ermeneutica, la fenomenologia ed il personalismo, poi ho approfondito la pedagogia della nonviolenza (Capitini, Dolci) e la pedagogia critica (Paulo Freire, Ivan Illich, Everett Reimer eccetera). Nulla di più lontano dalle “ricerche comportamentistiche e cognitivistiche” evocate da Carosotti, mentre considero con interesse il costruttivismo. Perché, ecco, non esiste solo una pedagogia: e Galli della Loggia non ha criticato alcune pedagogie, ma la pedagogia in sé, e la sua pretesa di parlare di scuola. E resta la domanda: se la pedagogia è per definizione discorso sull’educazione, e dunque sulla scuola, quale è l’alternativa? Gli sfugge, peraltro, un fenomeno che è sotto gli occhi di tutti: il diritto della pedagogia di parlare di scuola e di educazione è sempre più negato dall’invadenza della psicologia. Il compianto Alain Goussot ripeteva spesso che un bambino agitato un tempo si sarebbe definito, a scuola, turbolento, mentre oggi si definisce iperattivo. La differenza non è di poco conto, perché la prima categoria appartiene all’educazione, la seconda alla psicologia. Un bambino iperattivo ha la sua certificazione, che dice alla scuola che la sua iperattività è un disturbo. Le scuole sono sempre più frequentate da malati da curare, più che da bambini e ragazzi da educare. Di fronte a qualsiasi difficoltà, i genitori e perfino gli insegnanti non si chiedono quale intervento educativo e didattico è possibile attuale, ma di quale patologia soffre il bambino. Quando dirigevo Educazione Democratica fu lo stesso Goussot a curare un numero (il 9, del 2015) significativamente intitolato: Oltre la medicalizzazione: tornare a educare. Che non vuol dire, naturalmente, negare che esistano problemi di apprendimento reali e che la scuola debba farsene carico.
La definizione tecnica di competenza mi importa poco. A voler essere precisi, le opinioni sono contrastanti anche riguardo ad altri concetti fondamentali, come quello di conoscenza o di apprendimento. Quello che mi importa è il lavoro con i miei studenti. Come dev’essere? Io insegno Filosofia. Faccio la lezione-conferenza, più o meno partecipata. Poi metto i miei studenti in cerchio, e discutiamo. La metodologia si chiama Maieutica Reciproca ed è stata creata da Danilo Dolci. La discussione è libera, non c’è alcun voto e non giudico quello che viene detto. Non faccio lezione, facilito solo la comunicazione. Ecco, a distanza di anni ho studenti che ricordano ancora alla perfezione quelle nostre discussioni. E riconoscono di aver imparato, lì, cose fondamentali: ragionare, parlare, ascoltare, rispettare l’interlocutore. Tutte queste cose sono competenze. E sono cose per le quali la lezione-conferenza non basta.
Carosotti si chiede come mai in questi anni non si siano criticati in modo radicale documenti ministeriali “finalizzati a istituire nelle scuole una struttura gerarchica di comando che renderebbe ricattabile qualsiasi docente”. Non pretendo che Carosotti passi le ferie a rileggersi le mie cose, tanto più che gli sono così poco simpatico, ma mi tocca ricordare almeno, che so, questo articolo su I nuovi poteri dei presidi, la nuova impotenza dei docenti , e su un altro piano, il lavoro critico svolto negli anni prima con Educazione Democratica e poi con Educazione Aperta. Una critica che però è orientata da un criterio al quale non intendo rinunciare per nulla al mondo: l’onestà intellettuale. Penso il governo attuale sia una tragedia per il nostro Paese, ma se facesse qualcosa di buono non avrei alcuna difficoltà ad ammetterlo; lo considererai anzi un dovere. Per questo, pur essendo fortemente critico verso la cosiddetta Buona Scuola, considero l’Alternanza Scuola Lavoro una innovazione importante. E di sinistra, nonostante le intenzioni di Renzi, che certo di sinistra non è. E’ una innovazione importante sul piano educativo e didattico, perché fino a ieri come docente di Scienze Umane facevo lezione sulla terza età, mentre oggi dopo aver fatto lezione sulla terza età accompagno i miei studenti nelle residenze per anziani (e dovreste vedere quanto sono in gamba anche con anziani malati di Alzheimer), e quel che era astratto e solo teorico diventa esperienza, ossia apprendimento reale. Ed è una cosa di sinistra perché grazie all’ASL posso formare i miei studenti all’impegno sociale, alla solidarietà, a sentirsi parte di una comunità. Che è cosa diversa dal fare lezioni teoriche su Cittadinanza e Costituzione. E’ grazie all’ASL che anche in Italia si è cominciato a sperimentare il Service Learning, una pratica ormai diffusa in tutto il mondo che è efficacissima per formare alla cittadinanza ed all’impegno sociale (ancora competenze). Gli studenti individuano un problema delle comunità, lo studiano attraverso le discipline curricolari, quindi durante l’ASL si impegnano per affrontarlo, offrendo un servizio tangibile alla comunità. Devo considerare tutto questo neoliberismo, perché così si usa dire a sinistra? Ho insegnato per anno in una scuola frequentata da studenti per lo più proletari. L’Alternanza Scuola Lavoro non esisteva. Finita la scuola, molti di loro andavano a lavorare. In nero. Raccoglievo la loro rabbia impotente con un forte senso di colpa: perché la scuola, al di là di qualche discorso generico, non aveva fatto nulla per metterli in grado di affrontare con consapevolezza anche giuridica il mondo del lavoro. Una scuola che rifiuta con sdegno qualsiasi compromissione con il mondo del lavoro, attenta a preservare la purezza degli studi, è una scuola che consegna al sistema economico ragazzi indifesi e inconsapevoli. Il neoliberismo, qualunque cosa sia, non chiede di meglio.
Nell’immagine: Danilo Dolci.
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