Scuola

Un nuovo sistema di valutazione per scuole e docenti

9 Gennaio 2023

UNA SCUOLA SUPERIORE UNICA PER TUTTI I RAGAZZI ITALIANI
Dieci proposte per una riforma democratica dell’istruzione superiore italiana

NOVE

Il canadese Fraser Institute pubblica tutti gli anni una serie di indici riconosciuti a livello mondiale tra cui il “The Human Freedom Index” (1). L’istituto, noto per le sue posizioni conservatrici e libertarie, è anche il promotore dello School Rankings, che misura l’andamento delle scuole in quattro stati canadesi e uno americano. Basta andare sul sito, scegliere lo stato in cui vogliamo fare la nostra indagine, selezionare il ciclo di studi che ci interessa – elementari o superiori –, e poi ordinare in modo decrescente le scuole in base al punteggio che hanno ottenuto.

Nella Colombia Britannica, ad esempio, dove gli istituti valutati nel 2019 erano 252, a ottenere i punteggi più alti sono state le scuole private preparatorie all’università, mentre le peggiori sono risultate le scuole pubbliche situate in zone economiche svantaggiate, che sorgono in genere in territori molto remoti. Il punteggio delle scuole è basato su parametri come i voti ottenuti dagli studenti negli esami finali, la percentuale di studenti che hanno superato gli esami finali, la differenza tra i voti ottenuti in una scuola rispetto alle altre della stessa provincia, ed altri indicatori sempre di tipo quantitativo.

Come sono pedanti questi canadesi, penserà qualcuno, vogliono ridurre la valutazione delle scuole a una serie di indici basati sul calcolo di qualche astrusa percentuale. Ma soprattutto, dirà sempre questo qualcuno, non sono le scuole a dover essere valutate, bensì gli studenti. E chi può valutare gli studenti? Solo chi li conosce bene: i loro professori! Secondo la Federazione Lavoratori della Conoscenza (FLC), il sindacato degli insegnanti della CGIL, in Italia bisogna difendere: “La libertà di insegnamento, la sovranità in materia didattico-valutativa dei docenti e del collegio dei docenti e le autonomie scolastiche”(2).

Insomma, per la Federazione Lavoratori della Conoscenza, il cui nome sembra uscito da un romanzo di Bulgakov, non esistono studenti che devono diventare dei “cittadini sovrani”, come teorizzava don Milani, ma dei “docenti sovrani” che possono insegnare come vogliono le loro materie per poi dispensare giudizi sui discepoli come meglio ritengono, senza neanche accennare a una metodologia di valutazione che magari abbia un riscontro in un brandello di letteratura sulla scuola.  Manca solo il cartello “Ferie creative, da due settimane tutto compreso…” appeso sulla porta della FLC, e poi la corrispondenza con la MASSOLIT (l’associazione degli scrittori sovietici) de “Il Maestro e Margherita” sarebbe perfetta: un sindacato della scuola che non si preoccupa della scuola, ma solo dei propri iscritti, dei quali difende nientemeno che la sovranità didattico-valutativa.

I canadesi, invece, si fidano un po’ meno dei giudizi degli insegnanti e credono che la percentuale di allievi bocciati ai test finali debba concorrere negativamente a determinare il punteggio delle scuole, considerate nel loro complesso, senza scindere le due componenti: insegnanti e allievi. Se gli allievi di una scuola vanno male, magari perchè sorge in una zona di povertà educativa, la scuola scivola più in basso nell’indice calcolato dal Fraser Institute. Nessun insegnante “sovrano” potrà nascondere i cattivi risultati dei suoi alunni, e tutti si metteranno al lavoro per migliorare la performance scolastica dei ragazzi.

I dati sulle scuole canadesi sono inoltre facilmente accessibili su Internet. I genitori capaci di trovare informazioni sul web si terranno alla larga dalle scuole con i risultati peggiori. In realtà, è proprio questo uno dei punti critici dei sistemi di classificazione delle scuole basati sui risultati ottenuti dagli studenti: ne traggono beneficio solo i genitori che sanno consultare la rete. Gli altri continuano a iscrivere i figli in scuole dove gli studenti hanno cattivi risultati, quando invece dovrebbero evitarlo. In Italia attualmente non corriamo un simile rischio di asimmetria informativa, perché i dati pubblicati dall’INVALSI arrivano solo al livello delle regioni. Impossibile per un cittadino sapere quali sono i risultati raggiunti dalle singole scuole.

Solo a partire dagli ultimi test INVALSI del 2021, le scuole – ma non i cittadini – hanno il diritto di consultare i risultati disaggregati fino al livello della singola classe. Ma tranne un paio di casi che ho trovato sulla rete, in cui due istituti avevano pubblicato i risultati dell’INVALSI perché erano superiori alla media regionale, le singole scuole si guardano bene dal divulgare i risultati ottenuti nei test. Impossibile per un genitore scoprire se la scuola alla quale sta per iscrivere suo figlio ha pessimi risultati nelle prove INVALSI.

È anche grazie all’opacità delle istituzioni scolastiche che in Italia si moltiplicano le figure degli esperti di orientamento per aiutare gli studenti nella scelta di uno dei trentanove indirizzi disponibili per le scuole superiori. Sono in genere psicologi che hanno raccolto qualche informazione sulle scuole delle città in cui vivono per rivenderle ai genitori – disorientati – che hanno paura di iscrivere i loro figli in una cattiva scuola.

Meglio allora rendere consultabili per tutti i risultati degli INVALSI, disaggregati per ogni singolo istituto scolastico, così da permettere ai cittadini di scegliere la scuola dove iscrivere i loro figli. Ça va sans dire che tutti si terrebbero alla larga dagli istituti tecnici e professionali che tanto piacciono al Ministro Valditara, dove purtroppo i tassi di bocciatura (e giudizi sospesi) sono molto alti.

A questo punto sorge spontanea una domanda: se i ragazzi hanno pessimi risultati in una delle scuole di cui finalmente  potremmo conoscere i risultati aggregati, la colpa è loro, delle loro famiglie, come vuole l’attuale narrazione sulla scuola italiana, o potrebbero esservi anche delle responsabilità (non chiamiamole colpe) degli insegnanti? Innanzi tutto, bisogna sapere che nei paesi in cui il dibattito sulla scuola è un po’ più informato di quello in Italia, le autorità scolastiche (ma anche i cittadini) sono perfettamente consapevoli che nelle zone di disagio economico e sociale, si rilevano spesso cattivi risultati degli studenti, senza con ciò incolpare nessuno: né gli studenti, né le famiglie, né gli insegnanti.

I motivi della correlazione tra lo svantaggio economico del contesto di provenienza e i cattivi risultati scolastici degli studenti sono già stati indagati dagli scienziati sociali. Se qualche lettore è interessato, può leggere la sintesi effettuata da Openpolis in “Gli studenti svantaggiati e le disuguaglianze educative a scuola“. Ma in molti sistemi scolastici vengano ugualmente indagate anche le altre possibili cause delle cattive performance degli studenti, ovvero la qualità dell’insegnamento che ricevono. Detto in parole semplici, vengono valutati anche gli stessi insegnanti, nonostante il principale indicatore di valutazione per un docente rimanga quello dei risultati raggiunti dai suoi allievi (al netto delle condizioni di svantaggio sociale in cui è collocata la scuola in cui insegna).

Nei paesi anglosassoni, ma non in Canada, se non per la sola provincia dell’Ontario (3), viene infatti valutata anche la performance degli insegnanti. In Italia suona strano valutare la performance dei docenti, ma se cerchiamo Performance Management Teachers su Google, si ottengono 587.000.000 risultati. Esistono infinite discussioni su come effettuare la valutazione ed è possibile trovare un’infinità di manuali, pubblicati dalle singole scuole, dai distretti educativi o addirittura dai Ministeri dell’Istruzione di paesi come l’Australia (4) e la Nuova Zelanda (5) che illustrano come svolgere il processo di valutazione. Il fatto che in Canada non sia stata adottata una simile misura si spiega con l’esistenza dei test nazionali che vanno mediamente molto bene.

È facilissimo reperire online anche le schede utilizzate per il Performance Management. Trascrivo qualcuno degli obiettivi riportati sulle schede usate per la valutazione degli insegnanti: autocontrollo, buone maniere, senso dell’umorismo, entusiasmo per il lavoro, puntualità, flessibilità, positività, capacità di rinforzare positivamente gli studenti, conoscenza della propria materia, capacità di assegnare i compiti adeguati, presentazioni delle lezioni. E poi ancora: rapporto con i colleghi, con gli studenti, con i genitori e con il personale amministrativo della scuola.

La lista continua, ricchissima e articolata, ma immagino che qualcuno si chiederà: chi assegna i punteggi agli insegnanti? In realtà, sono in molti a poterlo fare: gli ispettori scolastici che assistono alle lezioni, i dirigenti degli istituti, gli altri insegnanti, il personale scolastico, gli studenti e – strano ma vero – anche i genitori. Nei paesi anglosassoni viene dato per scontato che chi insegna nella scuola sia valutato da tutta la pluralità dei soggetti coinvolti, anche perché il materiale sul quale lavorano gli insegnanti è delicatissimo: bambini, teenager, adolescenti che saranno il futuro della nazione.

In quei paesi si dà anche per scontato che i bonus salariali dei docenti siano collegati alla valutazione ricevuta, che naturalmente non viene resa pubblica, così come succede nel caso dei dipendenti di un’azienda privata. L’obiettivo del processo di Performance Management è di migliorare gli standard dell’istruzione, spingendo i docenti a dare il meglio di sé, senza metterli alla gogna sulla pubblica piazza.

Esistono naturalmente delle voci critiche verso il Performance Management, a cominciare da un insegnante e studioso finlandese, Pasi Sahlberg, che ha coniato addirittura un nome spregiativo per la nuova tendenza a misurare con tecniche standardizzate i risultati degli studenti e le performance dei professori: Global Education Reform Movement, GERM (5). È facile capire perché gli insegnanti si oppongono al GERM, ma ormai il germe si è diffuso in molti sistemi scolastici e sarà impossibile tornare indietro.

Non propongo di adottare in toto il germe anglosassone anche in Italia, ma credo che sia arrivato il momento di introdurre anche nelle nostre scuole qualche elemento del processo di valutazione degli insegnanti. L’unico politico italiano ad aver seguito finora questa strada, Matteo Renzi, ha attribuito pieni poteri a Commissioni interne variamente composte e presiedute dalla dirigenza scolastica, senza definire la griglia e i criteri di valutazione da adottare. Le Commissioni – tuttora in vigore – possono quindi distribuire dei bonus ai professori senza doverne indicare le ragioni, semplicemente sulla base di giudizi personali. Errore gravissimo quello di Renzi, perchè lascia spazio all’arbitrarietà delle decisioni prese della Commissioni interne, che non devono rendicontare a nessuno i criteri che hanno adottato per la distribuzione dei premi.

Il precedente governo Draghi si stava muovendo nella direzione di inserire qualche griglia e delle linee guida da usare nella valutazione per gli insegnanti. Secondo il Corriere della Sera, in un articolo di Gianna Fragonara del 23 ottobre 2021, “Dare i voti agli insegnanti?”(7), sembravano esservi i sentori che anche in Italia stessero per arrivare le griglie di valutazione per gli insegnanti: “La proposta indicata è in realtà di ripristinare gli ispettori che girino nelle scuole – non ce ne sono praticamente più – facendo un nuovo concorso e stanziando nuovi fondi ma anche di chiedere all’Invalsi e agli altri organismi del sistema nazionale di valutazione di fornire griglie, indicazioni e linee guida per aiutare le Commissioni interne alle scuole a dare i voti alla propria didattica”.

Adesso toccherà al Ministro dell’Istruzione del Merito Giuseppe Valditara decidere se seguire la strada già intrapresa dal governo Draghi, anche se immagino che gli insegnanti si indigneranno: “Nessuno può giudicare il nostro operato, tanto meno un ispettore. Si figuri se poi a volerci dare un giudizio fossero gli studenti e i loro stramaledetti genitori!”.

Eppure nello sperduto Illinois, già nel 1938, un signore che si chiamava W. H. Reals pubblicava su The Clearing House, una rivista ancora attivissima dedicata alle strategie educative nella scuola, un articolo che si intitolava: “Can Parents Judge the School?“(8), ovvero: “I genitori possono esprimere la loro opinione sulla scuola?”. La risposta nel 1938 era: “Sì”. Ma non solo, secondo W. H. Reals i genitori sembravano soddisfatti dalle scuole dei loro figli. Perché escludere sempre il contrario? Chissà se – ottant’anni dopo l’Illinois – non diventi possibile anche in Italia chiedere l’opinione dei genitori sulle scuole dove studiano i loro figli. Non è mai troppo tardi, verrebbe da dire, anche se siamo già molto in ritardo.

 

(1) Fraser Institute, The Human Freedom Index, https://www.fraserinstitute.org/studies/human-freedom-index-2021.

(2) Comunicato stampa della Federazione Lavoratori della Conoscenza CGIL, “INVALSI: pericolosa l’ipotesi di utilizzare l’esito delle prove per etichettare gli studenti nei percorsi universitari”, 21 02 2022.

(3) Ontario, Ministry of Education, Teacher Performance Appraisal: Technical Requirements Manual, 2010.

(4) The Australian Institute for Teaching and School Leadership, Australian Teacher Performance and Development Framework, 2018.

(5)  New Zeland, Ministry of Education, Performance management in schools, 1998.

(6) Pasi Sahlberg, Global Educational Reform Movement is here!, Mon 02, 2012 11:41, https://pasisahlberg.com/global-educational-reform-movement-is-here/

(7) Gianna Fragonara, Dare i voti agli insegnanti? Il piano del ministro Bianchi, che prende tempo: meglio gli ispettori, Corriere della Sera, 23 ottobre 2021, https://www.corriere.it/scuola/secondaria/21_ottobre_23/dare-voti-insegnanti-ministro-bianchi-prende-tempo-meglio-ispettori-70de4a50-33fe-11ec-93a1-3d25dcfcc17e.shtml.

(8) W. H. Reals (1938) Can Parents Judge the School? The Clearing House: A Journal of Educational Strategies, Issues and Ideas, 13:2, 99-103, DOI: 10.1080/00098655.1938.11475099

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