Scuola

Un nuovo contratto di lavoro per i docenti italiani

10 Gennaio 2023

UNA SCUOLA SUPERIORE UNICA PER TUTTI I RAGAZZI ITALIANI
Dieci proposte per una riforma democratica dell’istruzione superiore italiana

DIECI

I nostri problemi non dipendono da un ammontare inadeguato di risorse pubbliche destinate all’istruzione scolastica. La spesa per studente nella scuola dell’obbligo e in quella secondaria è anzi più elevata rispetto alla media dei paesi dell’OCSE, per effetto non già di maggiori retribuzioni pro capite del personale docente, bensì di un più alto rapporto numerico tra docenti e studenti: in Italia ogni cento alunni vi sono 9,4 insegnanti nelle scuole secondarie e 9,2 nelle scuole elementari, a fronte di valori pari a 7,4 e 6,1 nei paesi dell’OCSE e a 8,5 e 6,8 nella media dei paesi europei. Sull’alto rapporto insegnanti/alunni in Italia influiscono scelte di politica sociale, come l’ampio sostegno agli studenti diversamente abili e la fornitura di servizi educativi in loco anche a comunità di piccole dimensioni sparse sul territorio. Ma pur tenendo conto di questi fattori, il divario con gli altri paesi rimane elevato, riflettendo tra l’altro la frammentazione degli insegnamenti, e non si traduce in una miglior qualità dei risultati scolastici. Pesano carenze nell’organizzazione e nella motivazione del personale”.

Sono le parole di Mario Draghi nella sua lectio magistralis sulla scuola del 2006, tenuta all’Università La Sapienza di Roma (1). Da allora, i dati non sono cambiati, basta fare qualche velocissimo calcolo sul Portale Unico dei Dati della Scuola del MIUR (2). Prendiamo il numero di iscritti nell’anno scolastico 2019/2020 a tutte le scuole italiane (pubbliche e paritarie, dalle materne alle superiori): 8.229.189 scolari. Dividiamolo per il numero del personale docente: 902.487 persone che comprendono insegnanti di ruolo, di sostegno e precari. Il risultato è lo stesso del 2006: ogni 100 studenti vi sono 9,1 docenti impiegati nella scuola, ancora di più della media europea (abbondantemente sotto l’8%).

Il problema dei cattivi risultati del sistema scolastico italiano non è quindi legato alla scarsità di personale docente, del quale Draghi lamentava invece lo scarso entusiasmo. Ma perché i docenti italiani sarebbero così insoddisfatti? Proviamo ad andare per esclusione. I docenti italiani lavorano troppo? Sono vessati da un eccessivo carico di lavoro? Si direbbe di no, a giudicare dai numeri. Gli insegnanti italiani lavorano meno ore dei loro colleghi europei.

Secondo il rapporto della Comunità Economica Europea, The Teaching Profession in Europe: Practices, Perceptions (2), presentato da Eurydice nel 2017, i paesi europei contrattualizzano il rapporto di lavoro degli insegnanti sulla base di tre parametri: le ore dedicate all’insegnamento, le ore di presenza a scuola, le ore totali di lavoro. La maggior parte dei paesi europei stabilisce in 39 ore alla settimana il tempo di lavoro degli insegnanti e indica il numero di ore da dedicare all’insegnamento, quello da passare all’interno delle scuole, e quante ore possono essere trascorse a casa, ma sempre lavorando per la scuola.

Quasi tutti i paesi europei (diciotto su ventidue) stabiliscono il numero di ore complessivo che gli insegnanti devono passare all’interno delle scuole – 25 ore alla settimana in Germania e Regno Unito, per esempio –, mentre solo tre, l’Italia, la Croazia e il Belgio, fissano solo il numero di ore che gli insegnanti devono dedicare all’insegnamento. In Italia sono 18 alla settimana, a cui si aggiungono 80 ore all’anno per gli scrutini, gli incontri con i genitori e altre attività collegiali. In quelle 80 ore non rientrano le eventuali ore di ricevimento che sarebbe bene i docenti dedicassero ai loro studenti nel pomeriggio per svolgere delle attività di tutoring.

Il Ministro  dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, ha infatti recentemente promesso di offrire forme di tutoring agli studenti in difficoltà, ma sembra difficile che ciò possa avvenire all’interno dell’attuale quadro contrattuale dei docenti italiani, che, finite le 18 ore (e il monte ore annuale di 80) hanno tutto il diritto di tornarsene a casa loro.

Se quindi escludiamo l’eccessivo carico di lavoro come causa della mancanza di motivazione del personale scolastico lamentata da Mario Draghi, bisogna credere che l’insoddisfazione riguardi invece il loro salario. Gli insegnanti italiani guadagnano infatti meno dei loro colleghi europei, ma solo in termini assoluti. Secondo i dati dell’OCSE, Education at Glance, 2021: OECD Indicators (3), i salari (lordi) dei docenti italiani sono più bassi del 15% della media dei salari degli insegnanti europei (Tav. D3.1). Ma le ore di insegnamento sono meno di quelle dei loro colleghi europei (Tav. D4.1): 610 ore all’anno nelle scuole superiori e medie, contro le 685 e 723 della media europea; 745 ore nelle scuole elementari contro le 791 della media europea.

Vanno meglio le nostre scuole materne dove gli insegnanti passano 918 ore in classe, quasi come la media europea (982 ore). Negli Stati Uniti, invece, le ore di insegnamento sono circa 1.000 all’anno per gli insegnanti di elementari, medie e superiori. A questo bisogna aggiungere che gli insegnanti italiani, terminate le ore di insegnamento, tornano a casa, mentre i loro colleghi europei e americani rimangono a scuola per un’altra decina di ore (in media) alla settimana e, quando tornano a casa sono, in teoria, obbligati a continuare a lavorare per la scuola fino a completare l’orario di 38/39 ore alla settimana.

Facendo dei conti semplicissimi, ovvero dividendo il salario annuale (Tav. D3.1) per il numero di ore di insegnamento (Tav. D4.1), si può vedere come la retribuzione oraria italiana sia più alta della media europea nel ciclo di studi inferiore, mentre è più bassa di circa il 5% per gli insegnanti di medie e liceo. Gli insegnanti italiani guadagnano quindi – in assoluto – il 15% in meno della media europea, ma lavorano meno ore, retribuite in modo quasi identico ai loro colleghi europei. Il fatto che i colleghi europei guadagnino di più (in assoluto) è collegato al fatto che lavorano di più, ovvero passano più ore all’interno delle scuole (in genere a svolgere attività di tutoring).

La vera differenza nella retribuzione dei docenti italiani rispetto a quelli europei riguarda il numero di anni necessari per ricevere un sostanziale aumento dello stipendio: in Italia ne servono trentacinque per un aumento del 50% (4). I docenti più giovani (anche se sono molto bravi e motivati) devono affrontare carriere più lunghe dei loro colleghi europei per ricevere aumenti salariali. A muovere gli stipendi dei docenti italiani sono infatti solo gli scatti di anzianità, senza che le autorità scolastiche siano  in grado di utilizzare incentivi di tipo economico per gli insegnanti migliori (e disposti a restare qualche ora in più nelle aule scolastiche italiane). Ricordo che i nostri docenti non devono passare 33 ore alla settimana a scuola, come succede invece ai loro colleghi irlandesi (con ottimi risultati dell’Irlanda nella classifica OCSE). I docenti irlandesi partono addirittura da un salario più basso di quello italiano e ricevono a fine carriera uno stipendio superiore solo del 14% del nostro (5).

Un nuovo contratto di lavoro per gli insegnanti dovrebbe quindi prevedere aumenti di stipendio più veloci di quelli attuali, collegati però all’aumento delle ore di insegnamento e di tutoring. Impossibile immaginare ulteriori aumenti salariali che non siano collegati a un numero maggiore di ore da passare all’interno della scuola, altrimenti la retribuzione degli insegnanti italiani diventerebbe (in proporzione) più alta di quella dei colleghi europei (con risultati complessivi della scuola italiana peggiori della media europea).

La teoria secondo la quale gli insegnanti italiani dedicano molte ore del loro tempo (fuori dalla scuola) a svolgere compiti collegati alla scuola (preparare le lezioni e correggere i compiti) non giustificherebbe il loro eventuale rifiuto a svolgere queste attività all’interno della scuola. Se gli insegnanti si fermassero a scuola più a lungo, potrebbero mantenere il contatto con i loro studenti anche durante le ore pomeridiane, soprattutto all’interno di un quadro di scuola a tempo pieno.  E se si ripresentassero restrizioni all’insegnamento in presenza come quelle dovute alla pandemia di Covid, i docenti potrebbero sviluppare nuove forme di collaborazione online con i propri studenti, anche durante la DAD.

Interessante quindi la proposta di Paolo Fasce, “Due contratti per la scuola“, dove gli aumenti di stipendio per gli insegnanti dovrebbero senz’altro essere legati al passaggio (lasciato alla libera scelta degli insegnanti) a un orario a tempo pieno (36 ore), mentre chi sceglie il part-time (18 ore), si dovrebbe accontentare dei benefit collegati all’attuale contratto italiano per i docenti: “Circa 170 giorni di lezione a scuola ogni anno, più pochi altri di impegni collegiali e formativi, 18 ore settimanali rigide e il resto flessibile, permessi e garanzie esigibili, affidabilità e costanza dello stipendio“. Secondo Paolo Fasce, sarebbe necessario che almeno il 30% dei docenti accettassero la formula del tempo pieno perchè la scuola italiana cominci per davvero a funzionare. Personalmente ritengo che tutte le nuove assunzioni nella scuola dovrebbero essere per docenti a 36 ore, così da scoraggiare l’ingresso di insegnanti interessati solo a godere dei benefit citati da Paolo Fasce.

È poi arrivato il momento di far entrare nella scuola anche altre figure professionali: pedagogisti che supportino gli insegnanti nell’introduzione di nuovi strumenti didattici, anche digitali, oltre che psicologi, educatori e assistenti sociali in grado di intervenire in équipe su fenomeni come l’abbandono scolastico e il bullismo tra gli adolescenti. Dai dati di una ricerca di OpenPolis, Giovani a rischio. Quanto sono frequenti bullismo e cyberbullismo, emerge come in Italia il bullismo abbia colpito un terzo degli adolescenti e preadolescenti, con una maggiore frequenza fra i preadolescenti, fra le ragazze e fra gli studenti che vivono in una zona disagiata o non hanno la cittadinanza italiana: “Gli studenti con cittadinanza filippina, cinese e indiana sono i più colpiti, fino anche a un 30-40% in più rispetto ai coetanei italiani” (6).

Combattere il bullismo richiede competenze diverse da quelle che servono per insegnare latino, greco, matematica. La scuola deve contare su specialisti che conoscano le tecniche per rompere gli schemi relazionali tra il bullo, i gregari che lo fiancheggiano e la vittima che non riesce a difendersi. Le molestie finiscono solo quando il bullo è stato isolato e non ha più alleati (7). I docenti si devono affidare all’aiuto di persone qualificate per intervenire nelle classi dove c’è un bullo, altrimenti rischiano di venire bocciati non solo il bullo e i suoi gregari, ma anche i bullizzati – messi in un angolo – e tutti gli studenti che non sono riusciti a seguire le lezioni.

Qualcuno dei ragazzi bocciati si chiuderà in casa senza andare più a scuola e se cercherà un lavoro, faticherà a trovarlo perché non ha il diploma. Alla fine chiederà un sussidio di disoccupazione, misura adottata da molti paesi per i giovani in stato di povertà. Basta anche solo dare uno sguardo egoista al nostro futuro per desiderare il successo di tutti i ragazzi che vanno a scuola. Chi potrebbe invecchiare felicemente circondato dall’infelicità dei suoi discendenti? Meglio aiutare i nostri scolari nell’opera faticosa di diventare adulti istruiti, onesti e capaci, in grado di trovare un lavoro qualificato e ben retribuito, pur nelle difficoltà di tempi così tormentati come quelli di oggi.

 

(1) Mario Draghi, “Istruzione e crescita economica”, Lectio Magistralis in occasione dell’Università degli Studi di Roma La Sapienza, Facoltà di Economia, Roma, 9 novembre 2006.

(2) Portale Unico dei Dati della Scuola, sito del Ministero dell’Istruzione, dell’Università, della Ricerca https://dati.istruzione.it/espscu/index.html?area=anagStu.

(3) European Commission/EACEA/Eurydice, 2015. The Teaching Profession in Europe: Practices, Perceptions, and Policies. Eurydice Report. Luxembourg: Publications Office of the European Union.

(4) OECD, Education at a Glance 2021: OECD Indicators, OECD Publishing, 2021, Paris.

(5) European Commission/EACEA/Eurydice, 2021. Teachers’ and School Heads’ Salaries and Allowances in Europe – 2019/20. Eurydice Facts and Figures. Luxembourg: Publications Office of the European Union.

(6) Fondazione OpenPolis, Giovani a rischio. Quanto sono frequenti bullismo e cyberbullismo, 4 ottobre 2021.

(7) Simona Caravita, Gianluca Gini, L’immoralità del bullismo, Unicopli, 18 ottobre 2010.

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