Scuola
Tutta la vita all’ultimo banco
Recentemente pubblicato da Zolfo Editore, il titolo completo del libro di Maria Pia Baroncelli, “Tutta la vita all’ultimo banco – Un libro sulla scuola italiana vista dalla parte dei genitori” riassume una pungente riflessione sulla scuola di oggi dal punto di vista dei genitori, sì, ma in particolare da quello di uno di loro, particolarmente attento, adulto, circostanziato e consapevole. Maria Pia Baroncelli in rete è nota anche con lo pseudonimo di Viola Veloce, ma i suoi contributi su questo portale informativo sono firmati “in chiaro”. Qui scrive di vari argomenti e si è cimentata spesso proprio sul tema specifico della scuola, pur non essendone, a priori, un’esperta. In alcuni casi mi sono divertito ad interloquire con articoli di contrappunto ai suoi, proprio in questa sede. Quando scriveva “Una scuola superiore unica per tutti i ragazzi italiani”, le rispondevo con “Una scuola superiore unica per tutti i ragazzi italiani?”. Quando scriveva “Dopo la scuola media unica, il liceo unico” rispondevo con “Dopo la scuola media unica, il liceo unico?”. Ho interrotto questo dialogo perché rischiava di apparire antipatico, e non era la mia intenzione, ma la lettura degli interventi già pubblicati su queste pagine, cercatela tra i “Brains”, denota un’attenzione per il tema che è rarissimo trovare al di fuori del mondo dei lavoratori e delle lavoratrici della scuola e che ritroviamo sostanzialmente solo entro quel profilo che Maria Teresa Borra, presidente dell’Ass.ne Asperger Liguria ha battezzato con la locuzione di “genitore esperto”. Maria Pia Baroncelli non è, infatti, un “semplice genitore” che interviene, ma è avanzata nelle consapevolezze mossa dal bisogno. Come Maria Teresa Borra è diventata esperta di autismo perché il figlio che ha generato ha mostrato questo tipo di funzionamento (qualcuno lo chiama “disturbo” giacché ne è disturbato) così Maria Pia Baroncelli si è confrontata col tema dei disturbi specifici dell’apprendimento del figlio.
L’autrice è quindi passata attraverso la risoluzione di problemi continui di cui si è dovuta fare carico perché la scuola glieli ha sbolognati e in tanti punti di questo, legittimamente, se ne lamenta. Questo libro, quindi, non è una mera fabbrica di lamentele o di improperi contro la scuola nel suo complesso o su quella specifica scuola, ma una miniera di riflessioni attente, ancorché in qualche caso acerbe, perché mosse da un’esperienza molto diffusa che ha bisogno di essere presa in carico dalla politica. In occasione di una riunione di collegio dei docenti (lo scrivente è dirigente scolastico) infatti dissi: “Per quel che mi riguarda, tutta la legislazione scolastica posta a tutela dei disabili, delle persone con DSA e delle persone con bisogni educativi speciali (BES) potrebbe essere abrogata oggi stesso, se tutti gli insegnanti della scuola italiana fossero sufficientemente professionalizzati da farsene carico autonomamente. Siccome questo non avviene, sono messi dei paletti che, personalmente, ritengo necessari e doverosi”.
Non vorrei apparire blasfemo, ma questo libro mi sembra un aggiornamento della “Lettera ad una professoressa”, al quale è dedicato, che Lorenzo Milani pubblicò nel 1967, poche settimane prima di passare a miglior vita, a firma della Scuola di Barbiana. Quella lettera era figlia della scuola media unica del 1962 che tanti bambini e bambine, alunni ed alunne aveva falcidiato con odiose bocciature, tutte di origine sociale. Ricordo che, dopo la terza media, i nati nel 1967, tra questi lo scrivente, si ritrovavano dimezzati alle (cosiddette) scuole superiori. Oggi l’obbligo scolastico è esteso fino ai sedici anni e quello scolastico formativo fino ai 18 o fino al conseguimento di una qualifica triennale e questa inclusione accoglie tutti i segmenti sociali, la disabilità, le persone con DSA e con BES. Di questo, troppo spesso, la scuola non tiene conto e solo in questi ultimi anni, con significativi investimenti dovuti al PNRR, pare fornire risorse per affrontare sistematicamente il fenomeno.
Il libro è figlio, dicevo, delle esperienze di una madre che narra le storie parallele della stessa Maria Pia, classe 1958 (andrò all’inferno per l’indelicatezza della rivelazione), e di quella del figlio Antonio (classe 2001), molto più accidentata della sua. In effetti, si narra spesso di una scuola selettiva del passato, che spesso si sopravvaluta, ma è davvero così? A titolo di esempio, l’esame di maturità dei nati nel 1967 consisteva di due scritti e di un orale su due materie, tra possibili quattro. Da qualche lustro i commissari sono sei e le materie affrontate all’esame di Stato sono spesso otto. Un tempo i voti del primo quadrimestre erano sepolti nel nulla, oggi gli studenti e le studentesse sono perseguitati secondo il paradigma bancario dei debiti/crediti. Per non parlare del ruolo ansiogeno del registro elettronico che incarna il dettato giuridico della tempestività e della trasparenza, ma che ha effetti iatrogeni non ancora del tutto indagati.
La copia del libro che possiedo è piena di passi sottolineati, ciascuno dei quali è una stilettata alla mia coscienza di operatore scolastico e che, in tutta sincerità, io come altri (ad esempio Maurizio Parodi, più volte citato nel libro) vediamo e denunciamo tutti i giorni entro il silenzio assordante dell’opinione pubblica comprensibilmente distratta dalla ricerca del pane quotidiano e da una politica che preferisce stare alla larga dalla scuola, troppo ben organizzata per resistere ad ogni riforma che resterà lettera morta fino a quando non si metterà mano al cuore del suo funzionamento dettato dal vincolo degli organi collegiali nel contesto di una malpercepita “libertà di insegnamento” purtroppo senza supervisione.
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