Scuola

Studiare e imparare un lavoro: le scuole professionali non sono di Serie B

9 Gennaio 2016

A partire dal 22 gennaio e per un mese intero i genitori dei ragazzi di terza media potranno iscrivere i loro figli alle scuole superiori per il prossimo anno scolastico: la comunicazione è arrivata dal ministero dell’Istruzione, il sito attraverso il quale passare è in fase di aggiornamento, gli istituti hanno già programmato da tempo gli open day per presentare l’offerta formativa e in seguito si attenderanno i risultati delle indagini per capire quali sono gli indirizzi che attirano di più.

E’ una scelta particolare e nella quale entra in gioco il fattore fortuna: azzeccata o no? I genitori incidono inevitabilmente, considerato che i loro figli a 14 anni non hanno le idee ben chiare, salvo le eccezioni che confermano la regola. A ciò si aggiunge la spartizione spesso operata nelle scuole medie da professori e addetti all’orientamento: se hai voglia di studiare, punta sul liceo, altrimenti vai in un istituto professionale. La frase andrebbe riformulata: se non hai voglia di studiare a lungo, ma preferisci andare a lavorare il prima possibile, allora scegli un professionale.

In questo modo si eviterebbe prima di tutto di riempire le scuole professionali di ragazzi che non hanno voglia di fare alcunché, né di studiare, né di imparare un mestiere: in Italia la dispersione scolastica raggiunge il 36% nel Meridione, ma pure in Lombardia è alta, attestandosi al 29%, e l’indirizzo più interessato è proprio quello professionale. In secondo luogo si faciliterebbe la vita della ragazzina o del ragazzino che vorrebbe imparare un mestiere, evitando di transitare per un liceo, senza passare però per asino – e innescando un vortice di paternalismo perché poi subentrerebbero psicologi e assistenti sociali, d’altronde “sa, mio figlio mi dicono a scuola che manca di stima e di stimoli e io non so proprio come fare…”.

Gli istituti professionali non sono di Serie B. Lo dimostra una volta di più il lavoro della Fondazione Agnelli che ha creato EduscopioLavoro.it, un portale nel quale vengono analizzati i “rendimenti” di istituti tecnici e professionali piemontesi e lombardi, attraverso parametri quali la percentuale di occupati a due anni dal diploma e la coerenza tra il percorso studi e il lavoro intrapreso. Il progetto, comunicano, è solo nelle fasi iniziali e verrà approfondito per accompagnare le famiglie nella scelta.

“Dall’analisi degli sbocchi lavorativi dei diplomati tecnici e professionali nelle due regioni emerge un dato confortante: nonostante la peggior recessione del dopoguerra, il 41% ha trovato un lavoro stabile entro i due anni e uno su due ha un contratto a tempo indeterminato (compreso l’apprendistato)”, scrive oggi su La Stampa Andrea Gavosto, direttore della fondazione.

Per esperienza sul campo posso confermalo e aggiungere che nella maggior parte dei casi chi ottiene in breve tempo un’occupazione è l’alunno che riesce a garantirsi un buon rendimento teorico e poi dà il meglio di sé nelle attività pratiche, risultato che si raggiunge grazie all’impegno e alla serietà. Non una pratica da Serie B.

D’altra parte non tutti nascono ingegneri e marketing manager, qualcuno nasce manovale e artigiano, per fortuna.

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