Scuola
Studenti in piazza: ‘Basta parole. Vogliamo tavolo col Governo’
Intervista a Giammarco Manfreda (Rete Studenti Medi)
Venerdì scorso gli studenti sono scesi in piazza per chiedere un intervento del Governo sui problemi della scuola e con lo slogan – ‘Chi ha paura di cambiare?’ – sfidando il ‘governo del cambiamento’ sul suo stesso terreno. I numeri non sono stati imponenti (70mila studenti in circa 50 città italiane), ma in un contesto di stagnazione del movimento studentesco che data almeno 10 anni (dal movimento dell’Onda contro la riforma Gelmini nel 2008) appaiono un dato positivo e forse il sintomo di una maggiore propensione a mobilitarsi rispetto agli anni passati. Il giorno dopo le manifestazioni abbiamo chiesto a Giammarco Manfreda, portavoce della Rete degli Studenti Medi, organizzatrice delle manifestazioni, di trarre un bilancio della giornata del 12 ottobre e di indicarci le prospettive di questa mobilitazione nei prossimi mesi. Ma con lui abbiamo anche cercato di capire come vivono gli studenti nella scuola italiana, i loro problemi, che cosa pensano, come reagiscono alle difficoltà e le implicazioni politiche di questa situazione.
Che bilancio fate delle manifestazioni del 12?
I dati sono che 70 mila studenti sono scesi in piazza in più di 50 città italiane. Per noi quindi il bilancio è positivo per la giornata di ieri in sé, ma la scuola è iniziata da meno di un mese e questo per noi rappresenta solo un punto di partenza in un percorso di confronto-scontro col Governo.
I media hanno dato spazio ai manichini bruciati a Torino. Cosa ne pensi?
Le nostre piazze erano pacifiche, il nostro slogan era ‘Chi ha paura di cambiare?’ e indossavamo le maschere di Salvador Dalì. Il rischio di quel tipo di iniziativa è che il messaggio lanciato dalle piazze degli studenti venga brutalmente cancellato per un verso dall’attenzione mediatica per i manichini bruciati e per un altro dal vittimismo di Salvini sui social network, che poi è quello che sta succedendo.
Torniamo al Governo: più confronto o più scontro?
Siamo un sindacato studentesco e quindi entrambe le opzioni sono sul tavolo e dipende dal nostro interlocutore. Finora il confronto non si è potuto neanche aprire. Il Ministro Bussetti, un tecnico che viene dall’ufficio scolastico della Lombardia, in quota Lega, non siamo riusciti ancora incontrarlo. Qualche giorno fa ha trovato il tempo per incontrare l’organizzazione giovanile della Lega in Abruzzo, ma per noi non ha ancora trovato un posto nella sua agenda.
Ieri però è arrivata l’apertura di Di Maio…
L’apertura di Di Maio varrà qualcosa se servirà a farci sedere a un tavolo col Governo. Fino a quel momento sarà solo un video su FB, che non rappresenta la soluzione dei problemi. Il 6 novembre abbiamo un appuntamento fissato col Governo, ma è già successo due volte che la data fissata per l’incontro sia slittata, prima da luglio a ottobre e poi da ottobre a novembre. Staremo a vedere.
Cosa chiederete a quel tavolo?
Una cosa banale: che si apra una discussione sul modello di scuola che questo paese vuole darsi. Finora abbiamo sentito dire che reintrodurre un anno di leva è un modo per educare i giovani oppure abbiamo sentito parlare di telecamere nelle scuole. Ma per quanto riguarda invece gli investimenti le indiscrezioni parlano di 100 milioni di tagli, che il Governo definisce eufemisticamente ‘risparmi’. Sono 100 milioni, certo, non un miliardo, ma ciò che conta, aldilà dell’importo, è il trend: veniamo da anni e anni di tagli alla scuola per importi che complessivamente pesano miliardi di euro e con questo DEF non si registra un’inversione di tendenza. Poi vogliamo verificare cosa hanno intenzione di fare su alcuni temi specifici: l’edilizia scolastica, la delega sul diritto allo studio, le borse di studio previste dalla buona scuola – poca roba – ma anche di quel poco non si è più saputo nulla… Conosciamo le novità sulla maturità, in parte positive e in parte no, ma anche queste non sono il frutto di un confronto con gli studenti, che non c’è oggi come non c’era in passato. Non basta essere il governo del cambiamento se non si cambia metodo…
Dai tempi dell’Onda il movimento studentesco sembra stia attraversando una fase di stagnazione. Cosa vi aspettate per quest’anno?
Dipende da come andrà avanti il Governo nel suo percorso. E’ chiaro che non ci immaginiamo dall’oggi al domani una rivoluzione d’ottobre nelle scuole, ma il 12 ottobre ha fatto capire che tra gli studenti c’è un sentimento comune di insoddisfazione anche verso questo governo. Ora il nostro obiettivo è lanciare un’iniziativa nelle scuole che provi a costruire una discussione, un’elaborazione e un’analisi che verosimilmente porteranno a una nuova mobilitazione per il 16-17 novembre, in occasione della giornata mondiale dello studente, questa volta anche avendo un’idea di definita di cosa prevede il DEF per quanto riguarda la scuola.
Ricordavi che siete un sindacato studentesco: quali sono i problemi più sentiti nelle scuole?
Sicuramente i costi e l’edilizia scolastica. Sono le rivendicazioni che da 20 a questa parte portiamo nelle scuole senza essere mai riusciti a ottenere delle risposte. Tra abbonamento per i trasporti , circa 500 euro di libri e il corredo scolastico uno studente costa circa 1200 euro l’anno, una cifra che, soprattutto dopo lo scoppio della crisi economica, per le famiglie sta diventando ingente. Poi l’edilizia scolastica. A Livorno ci sono stati 4 eventi nel giro di due giorni. Cadono finestre e calcinacci oppure scopri che hai ancora l’amianto negli edifici scolastici. Il problema non riguarda solo la sicurezza degli studenti: è una situazione in cui il messaggio implicito che viene dato agli studenti è che la scuola non è un luogo centrale, non è da valorizzare. Non vieni stimolato positivamente se studi in edifici fatiscenti come ospedali o sempre più simili carceri (e con le videocamere la somiglianza si farà più stringente). Ed è chiaro che da situazioni come questa nasce la voglia di evadere. Le scuole al contrario dovrebbero essere ripensate, diventare luoghi vivibili e adattarsi alle innovazioni didattiche. Oggi infatti in Italia ci troviamo di fronte a modelli didattici di decine di anni fa, spesso gli stessi sperimentati dai nostri genitori o addirittura dai nostri nonni, soprattutto nelle scuole superiori. Mentre alle elementari infatti la nostra è ancora una scuola di eccellenza, il tracollo parte dalle medie.
Quanto cresce la destra nelle scuole?
La destra e in particolare le organizzazioni dichiaratamente neofasciste sono prepotenti e, a dir la verità, si sentono più di quanto ci sono. D’altra parte però le scuole sono immerse nella società in cui viviamo ed è evidente che come cresce nella società la destra cresce anche nelle scuole. Ciò avviene soprattutto nei luoghi storici della destra, ma allo stesso tempo è vero anche che queste organizzazioni mettono la testa fuori dai luoghi in cui si sono sempre sentite al sicuro e cercano di spingersi là dove un tempo non erano in grado di dare un volantino alla luce del sole. C’è un contesto esterno che le aiuta.
Parlando con alcuni studenti raccontavano che spesso nella classi c’è un po’ la moda di definirsi ‘fascisti’ anche senza sapere esattamente cosa vuol dire…
La moda in qualche misura c’è sempre stata: è una tipica dinamica giovanile. Ora è chiaro che dirsi di destra va per la maggiore perché ti trovi in un contesto in cui se ti dici che sei di sinistra o ti danno del ‘pidiota’, anche se sei lontano anni luce dal PD, oppure della ‘zecca rossa’: esporsi a destra crea meno problemi. D’altra parte pesa anche il fatto che le organizzazioni fasciste spesso si presentano in classe o alle elezioni dei rappresentanti come gruppi apolitici. Insomma adottano delle forme di camuffamento. Quando Casapound e Blocco Studentesco comunicano i loro risultati elettorali non solo non forniscono i riscontri, ma spesso si attribuiscono anche i voti ottenuti da liste che sono riconducibili in qualche modo a loro esponenti, magari per ragioni personali, ma non sono organiche a quelle organizzazioni. Poi è chiaro che la cosiddetta antipolitica fa sì che tra gli studenti faccia presa dire che non si devono portare bandiere in manifestazione e che sull’edilizia scolastica non ci sono destra e sinistra.
Mi ha colpito che nel promo della manifestazione del 12 avete indicato come modello gli operai dell’ILVA di Cornigliano che vanno in piazza coi loro mezzi pesanti. Perché?
Perché noi vogliamo portare avanti una lotta capace di rovesciare i rapporti di forza nella società e di ricostruire un’idea di equità nel paese. Il senso di quel video è che chi ha il potere oggi, a prescindere da come lo vuole utilizzare, non mette mai al centro gli ultimi. Invece di affrontare il problema dell’immigrazione seriamente aizzano le fasce economicamente più deboli contro i migranti, anche se il problema non sono loro e d’altra parte nessuno si pone come obiettivo di affrontare le disuguaglianze sociali: da una pare ci sono i raider, gli operai, i migranti e gli studenti e dall’altra parte della barricata ci sono questi politici.
Intendi che il problema non sono le ricette che applichi ma chi rappresenti socialmente?
Prendi questo governo: il problema non è che in questi mesi non hanno risolto le diverse questioni sul tavolo, ma che continuano nel solco di un modello tutt’altro che positivo. Del resto, aldilà di quello che hanno fatto finora, i loro obiettivi sono scritti nel contratto di governo. Si parla di bullismo e di uso di stupefacenti, ma invece che investire sulla prevenzione si insiste sulla repressione. Nel contratto addirittura si parla di introdurre una specie di borsa di studio e beneficio di chi denuncia atti di bullismo. Insomma il diritto allo studio non come qualcosa di universale, ma un premio che ricevi se denunci un tuo compagno. E a proposito di fondi: oggi vediamo che rivendicano lo sforamento dei parametri europei per fare gli investimenti e per noi va bene, ma quali investimenti? Non c’è stato mezzo investimento sui settori prioritari: ricerca attiva del lavoro, politica industriale, scuola e università, infrastrutture. Invece si parla di condoni e di tagli alle tasse per i redditi più alti. Dunque è vero che hanno preso voti nelle fasce inferiori – questo è un dato oggettivo – ma è altrettanto vero che non le rappresentano. E il sodalizio Lega-M5S si pone come alternativa a chi ha fallito prima di loro non in termini di progetto ma semplicemente dicendo ‘noi siamo diversi’, cosa che peraltro nel caso dei Cinque Stelle può anche funzionare, ma per la Lega no di certo.
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