Scuola
Scuola: dall’emergenza all’innovazione
I bambini e le bambine, i ragazzi e le ragazze, la scuola, finalmente sono entrati a pieno titolo nell’agenda politica e solo dopo che molte voci lo chiedevano nelle ultime settimane.
L’intervento del Presidente del Consiglio Conte il 30 aprile in Senato, le proposte del Forum Scuola del Partito Democratico e del Gruppo Education del Forum Diseguaglianza del Ministero insieme al lavoro dei tavoli tecnici del Ministero sullo 0/6 anni e sulla riapertura delle scuole, hanno portato al centro dell’azione governativa la scuola e le nuove generazioni.
Sono finalmente diventati temi di interesse pubblico la riflessione sugli spazi e i tempi educativi, sulle modalità di organizzazione della didattica, sul divario digitale e la disuguaglianza sociale, e la necessità di coinvolgere Enti locali e Terzo settore anche per integrare le attività formative con quelle ricreative e culturali.
In che modo si riapriranno le scuole e come si riuscirà a facilitare le relazioni tra pari, tra i più piccoli e i più i giovani, saranno tra le scelte più complesse e cruciali di Governo e Istituzioni.
Si tratta ora di trasformare le sollecitazioni in azioni concrete perché tutto questo non rimanga un elenco dei desideri, coinvolgendo nell’elaborazione le amministrazioni locali e gli istituti scolastici, che già in tutta Italia si stanno adoperando per inventare nuove soluzioni.
E bisogna farlo subito, pensando a come accogliere bambine e ragazzi fin dall’estate per inventarsi un’edizione inedita di campi estivi, nel rispetto delle prescrizioni di sicurezza, ma che consentano di recuperare le relazioni fondamentali con i coetanei che si sono perse nella vita di isolamento familiare, senza dimenticare la fascia 0/6.
Pensando all’estate, alcuni Comuni hanno cominciato a mappare oltre alle sedi scolastiche anche altri spazi disponibili, culturali ricreativi e sportivi, per poter identificare nuovi luoghi e costruire una larga rete che possa coinvolgere il Terzo Settore in un progetto ampio che tenga insieme il mondo dell’educazione, quello dello sport e quello della cultura.
La sfida più impegnativa della ripartenza della scuola a settembre, non potrà poi concentrarsi solo sul quando, ma dovrà dare risposte sul come, e dovrà tenere insieme innovazione e tutela della salute, in una nuova visione dell’educazione che rimetta al centro la vita di bambini e ragazze.
La ri-organizzazione dello spazio scolastico per rispettare le regole di distanziamento dà l’opportunità di rimodulare la didattica e i tempi di apertura delle scuole, e l’occasione di realizzare in maniera diffusa il progetto di “scuole aperte”, cioè di avere istituti aperti oltre gli orari delle lezioni, soprattutto nella scuola dell’obbligo, come modalità di costante collaborazione e contaminazione tra autonomie scolastiche e territorio.
E sarà un’occasione unica per avvalersi dell’elaborazione pedagogica delle Scuole Fuori, per proporre nuove pratiche di educazione all’aperto e per offrire a bambine e ragazzi altri spazi della città – piazze, giardini, parchi, spazi culturali – come luoghi di apprendimento e socialità, oltre agli spazi scolastici.
Gli ambienti scolastici potranno essere ripensati, utilizzando i fondi destinati ai Comuni dalle Regioni anche per la riqualificazione dell’Edilizia Scolastica, sia per progetti innovativi di ridistribuzione degli spazi, sia per la valorizzazione delle aree all’aperto, sia per impiegare nuove tecnologie costruttive, ispirandosi anche dalle didattiche straniere più avanzate.
In questa situazione di emergenza abbiamo nello stesso tempo il dovere e la possibilità di sperimentare nuove soluzioni, che una volta avviate possono, se bene istruite, diventare strutturali.
Cogliamo questa occasione per ripartire, innovando.
La chiusura delle scuole a causa dell’epidemia da Covid 19 e l’adozione della Didattica a Distanza ha portato alla luce disuguaglianze e riproposto il tema della connessione e delle competenze digitali come diritto di cittadinanza.
L’accesso e l’accessibilità alla rete, il possesso di dispositivi, la capacità di saperli usare, la disponibilità economica per sostenere il traffico dati (“prof ho finito i Giga”), riguardano sia il diritto a Internet sia il diritto allo studio.
Nel Piano Nazionale per la Scuola Digitale del 2015 molto dello sforzo era in direzione della cablatura delle scuole, della creazione della infrastruttura digitale e della dotazione di reti e dispositivi. D’altro canto la didattica era sempre pensata in presenza, con strumenti multimediali.
Ora siamo nella condizione di dover immaginare una didattica che sfrutti al massimo i limiti cogliendo le potenzialità dei mezzi, in maniera finora impensata.
Non c’è stato il tempo per attuare quel Curriculum di educazione digitale proposto già nel 2017 dal MIUR; abbiamo fatto un balzo nella digitalizzazione, tutti catapultati nel media, nella operatività delle piattaforme, senza però che né i ragazzi né gli insegnanti fossero attrezzati di curricula per imparare a utilizzare in autonomia e pienezza le possibilità informatiche.
In questo momento dobbiamo ripensare strumenti, competenze e contenuti, formazione, accompagnamento per studenti e insegnanti affinché le tecnologie digitali intervengano davvero a supporto di tutte le dimensioni delle competenze trasversali (cognitiva, operativa, relazionale, metacognitiva) e di tutti i bisogni dei ragazzi, compresi i ragazzi portatori di bisogni speciali. Si tratta di riformulare la formazione digitale, per non riprodurre con altri mezzi le forme tradizionali di apprendimento e insegnamento, semplicemente da remoto, ma per sperimentarne di nuove.
Ci sono esperienze interessanti già in atto, che devono diventare pratiche condivise.
Poter frequentare la scuola vuol dire in primo luogo potervi accedere, in queste condizioni si tratta di accesso digitale e accesso materiale: tutti lo devono poter fare con le stesse opportunità.
L’accesso digitale ha un duplice aspetto di reti e di strumenti: bisogna portare la rete dovunque, anche nelle aree interne e offrire device adeguati a tutti: studenti e insegnanti.
L’Italia è agli ultimi posti in Europa per indice di digitalizzazione. Nonostante il Piano Nazionale sulla banda ultra larga, quasi un quarto delle famiglie del nostro Paese non ha accesso alla rete: se a Milano 83 famiglie su 100 ce l’hanno, la provincia di Pavia segna ad esempio una percentuale poco al di sopra del 50%.
Su questo si deve e si può intervenire meglio: l’accesso digitale può essere garantito con il concorso di fondi regionali da destinare ai Comuni per la realizzazione delle infrastrutture digitali.
I fondi ci sono, Regione Lombardia destinerà circa tre miliardi di risorse ai Comuni in conto capitale nei prossimi tre anni per investimenti in infrastrutture, e quella digitale non può essere considerata un di più.
Su formazione e device, il MIUR è intervenuto fin da marzo con fondi alle scuole per pacchetti di formazione per gli insegnanti e per l’acquisto di tablet e computer per i ragazzi, e anche i Comuni si sono attivati in collaborazione con Terzo Settore e privati, coprendo, dai dati raccolti, molte delle necessità di chi ne aveva bisogno. Strumenti che possono servire ora e anche in futuro, alleggerendo le inutili pesantissime cartelle dei ragazzi.
La mobilità avrà un ruolo centrale nella ripartenza perché, quando riprenderà la didattica in presenza, gli studenti per raggiungere la loro scuola dovranno fare i conti con la capacità ridotta di trasporto dei mezzi pubblici.
I Comuni si stanno già attrezzando nel ridisegnare la mobilità urbana, le Regioni possono contribuire negli investimenti infrastrutturali a favore di nuove piste ciclabili e della loro messa in sicurezza, oltre gli interventi estemporanei di piste “pop up”.
II Ministero delle Infrastrutture ha finanziato l’acquisto di mezzi alternativi (biciclette, monopattini elettrici), e l’esempio dovrebbe essere seguito anche dalle Regioni, ma per tutti gli studenti che abitano in provincia non sempre sarà una soluzione, e di loro bisognerà tenere particolarmente conto nel ridisegnare le frequenze orarie di bus e treni.
La sfida più grande sarà saper ripensare il Piano dei Tempi dei territori: diventa ineludibile rimodulare gli orari del trasporto pubblico, risincronizzarli con le nuove esigenze, per evitare il sovrapporsi di flussi di studenti e lavoratori. La sociologia sui tempi della città non nasce ora e molti studi sono stati compiuti: anche questa può essere una occasione per sperimentare nuove flessibilità che in condizioni normali non potranno che migliorare la qualità della vita di tutti.
Accesso, accessibilità, innovazione e rinnovamento devono essere i capisaldi di una nuova visione educativa e formativa, che nata dalla necessità imposta dall’emergenza, può diventare la scommessa del futuro.
(Immagine di copertina:Photo Credit Giovanni Candida/Wallsofmilano)
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