Scuola

Riforma della scuola non è scegliere i migliori, ma distribuire i peggiori

8 Giugno 2015

C’è qualcosa, nella riforma della scuola immaginata da Matteo Renzi, che riporta immediatamente all’idea di calciomercato, quel periodo dell’anno, ormai discretamente esteso, in cui ogni squadra cerca di attrezzarsi per il campionato seguente o mettere una toppa a quello che è in corso. La scuola futura dovrebbe essere proprio concepita più o meno in questi termini, un lungo calciomercato in cui l’amministratore delegato della società, che per comodità chiameremo preside, dovrà costantemente monitorare il panorama nazionale, e perché no anche internazionale, alla ricerca della zampata che cambierà i destini del suo istituto.

Questo parallelo calcistico, che mi ronzava disordinatamente nella testa, ha preso forma molto più compiuta dopo aver letto su «minimaetmoralia.it» l’editoriale efficace di Luca Illetterati, professore di filosofia all’Università di Padova, nel quale, per spiegare la vera debolezza della riforma, si prendono in esame le dieci regole d’oro con cui Umberto Galimberti, filosofo di chiara fama, immagina la sua “buona scuola”. Eccole:

1. Le scuole elementari hanno fatto passi in avanti significativi (e infatti gli scolari si piazzano bene nei ranking internazionali)
2. Le scuole medie e superiori sono invece un disastro (e infatti si piazzano male sempre negli stessi ranking);
3. Il disastro delle scuole medie e superiori è dovuto al fatto che non ci sono insegnanti all’altezza (al massimo, quando va benissimo, dice il filosofo overground, uno per classe);
4. I bravi insegnanti sono tali per natura (e quindi sono pochi, si inferisce) e sono coloro che sono in grado di emozionare;
5. Per questo vanno selezionati attraverso un accurato test di personalità, come si fa nelle migliori aziende;
6. Gli insegnanti ‘demotivanti’ devono essere segnalati dagli studenti e dalle loro famiglie e dopo opportune verifiche, nel caso effettivamente non funzionino, è giusto che il dirigente scolastico, magari coadiuvato dai docenti più bravi e impegnati, li cacci;
7. Nessuno scandalo dunque a che i presidi assumano i capaci e dimettano gli incapaci “premiando la meritocrazia, l’eccellenza e la concorrenza tra le varie scuole”.
8. Ben vengano i finanziamenti privati alle scuole migliori: anzi proprio la quantità di finanziamenti consentirà di discriminare tra scuole migliori e scuole peggiori, perché nessuno vorrà, giustamente, investire su queste;
9. Ai professori bravi e meritevoli non sarà necessario dare alcun premio speciale, basteranno gli scatti di anzianità su uno stipendio che, compatibilmente con quel che ci si può permettere, dovrebbe essere aumentato: il premio sarà quello di non essere esonerati in quanto non meritevoli;
10. Le prove Invalsi vanno rispettate, anche se inadeguate per valutare l’effettiva preparazione degli studenti.

È del tutto percebile la visione liquidatoria che anima la buona scuola del professor Galimberti, il quale è investito da quel fenomeno, per carità comprensibilissimo soprattutto nelle persone di una certa cultura e di lunga esperienza, che è il famigerato «esaurimento pazienza», quello che in tempi controversi come questi, in cui la classe degli insegnanti, in forma sostanzialmente compatta, si mette di traverso alla riforma, si può felicemente racchiudere nell’espressione: “adesso basta, mi sono rotto i coglioni”, portate nella scuola i migliori professori, questa è l’unica, vera, grande riforma da fare.

Il professor Illetterati parla di “ignoranza e faciloneria” con cui Galimberti tratterebbe il tema scuola, sottolineando che «il modello di società dentro cui assume senso questo stile formativo è un modello di società basato sulla competizione, su un’idea di merito inteso come elemento selettivo talmente potente, nella retorica e nella carica etica con cui lo si dipinge, da oscurare qualsiasi altro tipo di considerazione». La visione di Galimberti, meglio dirlo subito, in questo momento è decisamente maggioritaria. E chi vi si oppone con motivazioni anche profonde, rischia d’essere scambiato per il protettore della conservazione, per un difensore di privilegi antichi (come si parlasse di vitalizi) e del resto chi potrebbe dichiararsi contrario al merito in quanto tale, alla tensione virtuosa che porterebbe ogni istituto ad avere il meglio per i propri alunni?

Da qui, riprendendo il filo iniziale del nostro discorso, mi è venuta l’immagine del calciomercato. Con un’appendice, che in realtà è, per quanto mi riguarda, il centro della questione e che si racchiude in un solo, inquietante, interrogativo: se tutti i presidi legittimamente cercheranno i migliori, se li combatteranno a suon di strenne, di promesse, di tappeti rossi, pensando anche che a scuole celebrate e acclaratamente di livello corrisponderanno aspettative di pari livello, si può sapere dove finiranno gli insegnanti pippa? (La risposta è inclusa nel prezzo).

Ora che l’anno scolastico è finito, comincia il sotterraneo lavoro dei genitori per inserire il proprio gioiello nella «sezione» migliore, incuranti, i genitori, che una selezione della specie così concepita fa tornare invariabilmente le cose alla casella di partenza. La vera, grande, riforma della scuola non è la ricerca dei migliori insegnanti, ma semmai l’equa distribuzione sul territorio dei peggiori, in modo che non si concentrino nelle “riserve” preparate loro dalle scuole più celebrate e potenti. Pensare e prendere consapevolezza che i peggiori esistono e possono far danni incalcolabili è entrare a piedi giunti nel grande dibattito sul merito e sulle opportunità di una democrazia compiuta. Un Paese a doppia velocità, che da una parte opera la selezione degli ottimati e dall’altra non controlla e disciplina la parte meno virtuosa di una categoria, non avrà mai #labuonascuola.

Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi diventare un brain?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.