Scuola

Quo Vadis – Dove va la pubblica Istruzione ?

22 Dicembre 2022

Quale strada sta percorrendo l’Istruzione pubblica?  Il nuovo corso sta cogliendo le difficoltà di un sistema formativo oramai troppo distante dai bisogni della società reale?

Domande difficili, specie se per nuovo corso si intende il periodo che parte dall’ultimo risultato elettorale.

Ad onor del vero non ci si voleva riferire ad un così ristretto periodo, per cui si rivelerebbe inefficace una valutazione preventiva, pur se i prodromi decisionali non sono edificanti e preannunciano una direzione ostinatamente deleteria.

Troppe sono le criticità, aggravate  da un lato dalla fisiologica evoluzione sociale e dalla innovazione tecnologica.

L’Italia è terra di mezzo, madre di cultura originaria con forti tentazioni esterofile.

Nell’ultimo decennio, a fronte di un veloce cambiamento sociale e del modificarsi delle abitudini e dei bisogni, non si è trovato un modo efficace di dare risposta alle necessità sopraggiunte.

Un nuovo mondo, ipertecnologico, fortemente interconnesso, fluido e per molti versi quasi ingovernabile ha dato il benservito a tutta una serie di riforme che sembravano essere l’asse portante del nuovo millennio, nuovi assiomi in grado di governare le nuove sfide.

La risposta al cambiamento non è stata auto-prodotta, ma ricercata in altre realtà ove il fuso orario aveva già indotto il mutamento sociale.

Nel campo di interesse, cioè quello dell’Istruzione pubblica, le riforme di risposta al cambiamento hanno denotato una assoluta povertà di idee e pochi scarni provvedimenti realmente efficaci.

Nel merito, le leggi di riforma riferibili ai vari ministri pro tempore (Moratti 2003- Gelmini-20210- Renzi 2015), hanno di fatto reingegnerizzato l’impianto amministravo/didattico senza intervenire sugli effetti formativi.

Il paradigma è l’uso intensivo delle tecnologie informatiche, oramai pregnante in quasi ogni aspetto sociale, e la gestione aziendale della scuola pubblica mutuata dai paesi di cultura anglosassone.

La scuola come azienda e l’istruzione come opportunità commerciale.

Poniamo invece  il caso  che uno dei  fini della scuola pubblica sia di formare figure spendibili nel mondo lavorativo.

Al netto delle percentuali di insuccesso scolastico ( abbandono o scarsa scolarizzazione), quante figure lavorative spendibili effettivamente riesce a  formare la scuola pubblica Italiana?

Rimangono in uscita dalla formazione scolastica (pur se rimaneggiate) una pletora di figure risalenti al secolo scorso che hanno scarse possibilità di utilizzazione.

E ciò non ha nulla a che vedere con il livello di istruzione (scuola secondaria o università).

Mi si chiede sempre più di sovente che senso abbia mantenere alcuni diplomi (es: ragioniere e perito commerciale) o lauree ( es:  scienze della formazione) che così come sono scarsamente spendibili sul mercato del lavoro.

Quindi la riforma in questo caso non andrebbe nel risparmio sui conti pubblici (Spesa pubblica in Italia per istruzione 2019: Italia 8.2 – media dei paesi Ue 10.2).

Ma nemmeno sulla riforma dei cicli così come proposta sino a qui, accorciando tempi, dettando regole sul sistema di reclutamento ed impoverendo sempre di più l’autonomia di insegnamento di docenti.

E’ un tema talmente complesso che necessiterebbe di un serio studio, prima ancora di pensare a delle riforme.

E nel conoscere per agire meglio, ci si chiede, dove sono le figure richieste a forza dal mercato del lavoro ed introvabili tanto da reclutarli da altri paesi?

La risposta, di certo non starà nella prossima riforma.

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