Scuola
Quelle 600 firme (quasi) inutili
In questi giorni ha fatto clamore, sui media nazionali, l’appello firmato da 600 accademici italiani che lamentano una pesante carenza nell’uso della lingua italiana da parte degli studenti. A quanto pare le matricole hanno difficoltà con la grammatica, la sintassi e la costruzione logica del periodo. I firmatari dell’appello stentano a trovare un neodiplomato che padroneggi la lingua italiana, scritta soprattutto, come nel passato.
Siccome da anni insegno sia presso l’accademia che nella scuola posso dire, con discreta cognizione di causa, che hanno ragione. E allo stesso tempo torto.
Il torto di chi si limita a constatare quello che tutti sanno, usando però quel tono da grande verità che deve allarmare le masse ignoranti: l’emergenza è appena arrivata ed è meglio che qualcuno vi avvisi. Un po’ come se il famoso giapponese nella giungla fosse uscito dal suo rifugio urlando che la guerra era finita. L’appello dimostra, ancora una volta, quanto sia facile constatare il sintomo che non diagnosticare il male. Negli ultimi vent’anni le varie riforme (o cosiddette tali) hanno lavorato ai fianchi la scuola, indebolendone le strutture al fine di “snellire” e aggiornare i programmi e l’organizzazione. Le scuole temono la dispersione e limitano al massimo le bocciature, i quadrimestri sono diventati dei bimestri che obbligano i docenti a comprimere al massimo i programmi destreggiandosi tra le varie attività extra che gli istituti devono offrire per avere un maggior appeal, le famiglie chiedono la settimana corta e i figli rimangono in aula fino alle quattro di pomeriggio senza che l’organizzazione della didattica sia stata adeguata alle nuove esigenze (per esempio l’inutilità dei compiti per casa a fronte di una presenza così lunga). In questo contesto, non mi sembra di ricordare appelli che mirassero alla salvaguardia dell’insegnamento della geografia negli istituti nautici o che perorassero l’inserimento di laboratori di scrittura creativa nei licei. Anzi. Questo appello conferma come l’Università abbia dimostrato una scarsa lungimiranza nel comprendere che questa onda lunga – seppur limitata visto che soltanto un piccola parte di diplomati continua gli studi – prima o poi avrebbe lambito le spiagge quiete e spesso indifferenti dell’accademia. Diciamo che adesso sappiamo che almeno 600 autorevoli esponenti dell’insegnamento superiore hanno raggiunto la piena consapevolezza della situazione. Adesso attendiamo che collaborino attivamente a strutturare delle azioni – mica i corsi si recupero di italiano all’Università come evidenziavano i telegiornali – che permettano un reale cambio di direzione per il mantenimento e aggiornamento di quella che in molti definiscono la lingua più bella del mondo.
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