Scuola

Professori vs Resto del Mondo

14 Maggio 2015

In questi ultimi giorni, dopo il partecipatissimo sciopero del 5 maggio,  è stato tutto un intrecciarsi di infuocata corrispondenza fra premier e mondo della scuola. Lo scontro sulla cosiddetta «Buona Scuola» renziana (prendiamo atto che il ministro Giannini è stato relegato ad un ruolo del tutto marginale dall’esuberanza comunicativa di Matteo Renzi) è ormai al calor bianco: dai blog, dai social network, dai siti specializzati,  sono partiti decine di messaggi di prof e maestri (qui un esempio fra i tanti), accorati, delusi, arrabbiati, con relativo seguito di commenti esasperati e non di rado insultanti. Per non parlare dell’attacco rivolto alla pagina facebook del premier e dei suoi collaboratori, durante il quale migliaia di insegnanti hanno solennemente promesso di non votare mai più PD perché indignati dal DDL.

Il tutto ha raggiunto il culmine ieri, con l’ormai famosa letterina renziana recapitata nella casella di posta elettronica di ogni docente, accompagnata dal terribile “video della lavagna”, in cui il Presidente del Consiglio, in maniche di camicia secondo il suo disinvolto stile, senza rinunciare a qualche simpatico strafalcione e con un tono fra il bonario e il condiscendente, ci ha voluto spiegare, ancora, le buone ragioni delle sue scelte. Dal punto di vista dei prof è stata una mossa comunicativa pessima. Lo sberleffo e la parodia, su Twitter e altrove,  sono stati pressoché immediati.

Ma per quanto riguarda il resto del mondo, siamo davvero sicuri che Renzi stia sbagliando strategia?

Lo “storytelling” del Governo, ben sostenuto da narrazioni giornalistiche sorprendenti per ignoranza e banalizzazione della posta in gioco (un esempio per tutti, Massimo Gramellini sulla Stampa del 13 maggio, a proposito del boicottaggio dei test INVALSI),  si incentra su due capisaldi che hanno rapidamente colonizzato l’immaginario collettivo:

a) i docenti sono conservatori che difendono lo status quo per mero interesse corporativo e che non accettano di essere valutati, per timore di perdere i loro presunti  (e in larga misura immeritati) privilegi;

b) i docenti, anche ammesso che siano in buona fede (ma su questo vedi il punto a), protestano perché manipolati, senza in realtà conoscere e ammettere il merito delle proposte contenute nel DDL.

Sono due punti facili facili da capire per il cosiddetto ”uomo della strada”, sui quali, non a caso, battono e ribattono quelli che sono più renziani di Renzi. Corrispondono a pregiudizi largamente diffusi nella società italiana anche grazie ad anni e anni di narrazioni tossiche ben congegnate per  giustificare tagli disastrosi: rammentiamo, ad esempio,  la scuola che non può essere un’ agenzia di collocamento di gelminiana memoria,  i dipendenti pubblici fannulloni di Brunetta,  la demonizzazione dell’ormai remoto ’68 (i prof sessantottini sono tutti beatamente in pensione, fra l’altro, e molti miei colleghi manco erano nati, allora),  la svalutazione non solo economica della scuola pubblica a favore di una privatizzazione strisciante del sistema di istruzione,  etc etc. Il che fra l’altro dimostra ulteriormente, semmai ce ne fosse bisogno, la continuità ideale fra renzismo e berlusconismo.

Ma, soprattutto, questo modo  di rappresentare le ragioni della protesta ha finito per spingere dalla parte di Renzi una larga fetta dell’opinione pubblica, sicuramente poco attenta e informata, ma facilmente manipolabile dalle alchimie della cosiddetta «politica-pop»: e sono costoro i veri destinatari del famigerato video renziano e della sua risibile parodia del buon maestro alla lavagna,  nonché  di qualunque altro simpatico messaggino, aggiornamento di stato, tweet,  egli finga di voler inviare alla classe docente.

In altre parole: i docenti dovrebbero smettere di rivolgersi in via prioritaria ad un esecutivo  che non può permettersi di ascoltarli. Visto che il muro contro muro è ormai arrivato a un punto di non ritorno, se Renzi  cedesse, la caduta di immagine conseguente sarebbe per lui politicamente insostenibile. Gli interlocutori devono essere altri.

Al contrario di quello che la controparte vorrebbe far credere,  i professori italiani hanno letto e compreso benissimo il DDL e relativi aggiornamenti, e ne hanno valutato contraddizioni e possibili conseguenze, motivazioni esplicite e intenti nascosti. Non è possibile, ragionevolmente, credere che l’opposizione della stragrande maggioranza dei docenti al DDL sia frutto di un mero ripiegamento corporativo a difesa dei propri supposti privilegi.

In realtà chi non conosce, se non per sentito dire, le condizioni reali della scuola e il merito degli interventi proposti,  sono tutti gli altri. Per questo, sia detto per inciso, la reazione dell’esecutivo al boicottaggio dei test INVALSI (attuato non solo dai docenti ma anche da genitori e studenti) è stata così violenta: perché il boicottaggio indica che le ragioni autentiche della mobilitazione stanno facendo breccia anche al di fuori della cosiddetta «corporazione» dei prof.

Un punto fondamentale dovrebbe essere chiarito a beneficio di tutti coloro che si bevono il novello vangelo renziano:  i prof italiani sono stanchi del discredito generalizzato in cui versa la categoria, non hanno nessun interesse a difendere a oltranza le mele marce e, udite udite,  vogliono essere valutati, ma secondo criteri trasparenti e in rapporto a un modello di scuola che sia  esplicitato, una volta per tutte. Ma sono proprio i criteri di valutazione condivisi  e l’identificazione di un ideale di scuola definito i grandi assenti nella proposta dell’esecutivo che, al contrario, fa suo un confuso pot pourri para-aziendalistico, con condimento pseudomeritocratico, e una spruzzata di vaghezza creativa.

Se Renzi si è spinto tanto oltre nello scontro e nel rifiuto di ascoltare le buone ragioni della protesta, fino a congegnare quel video patetico e persino offensivo (il sottotesto in fondo era questo: via prof, siete un po’ duri di comprendonio e restii allo studio, vediamo se con i gessetti colorati ci arrivate meglio), forse è perché sa di poterselo permettere: sa, o immagina,  che il prestigio della classe docente italiana è ormai talmente compromesso, che la resistenza al DDL, per quanto strenua, finirà per ritorcersi contro gli insegnanti, destinati ad essere isolati, nelle loro rivendicazioni, dal resto della società.

A questo punto le domande sono due.  Come potrà mai realizzarsi una riforma imposta contro la volontà di chi dovrebbe  concretamente realizzarla? E, soprattutto, a chi giova la delegittimazione e l’impoverimento, non solo materiale ma anche simbolico,  di maestri e professori?

Il DDL, demotivando, umiliando, isolando gli insegnanti,  mettendoli gli uni contro gli altri, e tutti contro genitori e studenti, rischia di sfasciare  la scuola italiana e di guastare definitivamente la sua capacità di trasmettere cultura, per trasformarla  in un grottesco incrocio fra un’agenzia di collocamento, pronta a sfornare precari a vita,  e un parco giochi per consumatori ignoranti e manipolabili. Non è una novità, la metamorfosi sta andando avanti da anni. Che sia (e qualcuno potrà dire: finalmente!) la volta buona (anzi #lavoltabuona)?

 

 

 

 

 

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