Scuola
Pinocchio alla rovescia. Rigenerare la scuola
«La pandemia è un portale, un cancello tra un mondo e un altro. Possiamo scegliere di attraversarlo trascinandoci dietro le carcasse del nostro odio, dei nostri pregiudizi, l’avidità, le nostre banche dati, le nostre vecchie idee, i nostri fiumi morti e cieli fumosi. Oppure possiamo attraversarlo con un bagaglio più leggero, pronti a immaginare un mondo diverso. E a lottare per averlo» (Arundhati Roy)
In questi giorni è in libreria un piccolo libro con un racconto di Rubem Alves, visionario teologo ed educatore brasiliano.
Si intitola PINOCCHIO ALLA ROVESCIA[1].
In questo racconto, Felipe, da bambino che non va a scuola, diventa burattino, frequentandola.
Da bambino curioso e importuno nelle domande, si trasforma in schiavo di una scuola incapace di ascoltare.
Naturalmente i problemi iniziano prima, in famiglia. Un giorno il papà gli spiega perché deve andare a scuola: «Adesso sei un bambino e i bambini giocano. Quando crescerai non sarai più un bambino e ti trasformerai in un adulto. Gli adulti lavorano. Così è la vita. Bisogna lavorare per guadagnare, per comprare una casa, sposarsi e avere figli. E’ per questo che, quando qualcuno chiede: “Tu chi sei?”, gli adulti rispondono: “Sono un professore, un medico, un avvocato, un ingegnere, un meccanico…”. Gli adulti sono il lavoro che fanno per guadagnarsi da vivere. Questa è la ragione per cui presto andrai a scuola. Le scuole esistono per trasformare i bambini che giocano in adulti che lavorano. Bisogna entrare nel mercato del lavoro».
La pandemia ci ha consegnato una certezza: la scuola italiana è ormai un’automobile ferma con le ruote sgonfie.
Va rigenerata.
E’ un problema che può essere trasformato in opportunità.
Partendo dal rimotivare una classe docente completamente esausta.
Necessita oggi quella che, nel linguaggio del marketing di successo, si chiama vision.
Una ragione forte, chiara e di prospettiva cui affidare la risposta alla domanda più semplice e immediata che i nostri figli possono farci: perché devo andare a scuola? E per i docenti: perché devo tornare in classe il prossimo settembre dopo questi due anni da incubo?
Don Lorenzo Milani nel suo libro LETTERA AD UNA PROFESSORESSA lo chiama il fine.
«Cercasi un fine. Bisogna che sia onesto. Grande. Che non presupponga nel ragazzo null’altro che d’essere uomo. Che vada bene per credenti e atei. Io lo conosco. Il priore me l’ha imposto fin da quando avevo 11 anni e ne ringrazio Dio. Ho risparmiato tanto tempo. Ho saputo minuto per minuto perché studiavo. Il fine giusto è dedicarsi al prossimo. E in questo secolo come vuole amare se non con la politica o col sindacato o con la scuola? Siamo sovrani. Non è più il tempo delle elemosine, ma delle scelte. Contro i classisti che siete voi, contro la fame, l’analfabetismo, il razzismo, le guerre coloniali».
Ho sognato di essere ministro dell’istruzione. La prima circolare che scrivo illustra le prospettive della ricostruzione della scuola post pandemia. Torniamo al giusto Pinocchio: riceviamo dei burattini, ma con la scuola ne facciamo degli adulti felici, dei cittadini creativi.
Nella circolare da me firmata come ministro si impone a tutti gli insegnanti e al personale scolastico di sedersi in cerchio intorno ad un tavolo per tentare un esperimento di scrittura collettiva simili a quelli di don Milani con i suoi ragazzi a Barbiana.
Titolo del lavoro comune: cercasi un fine.
«Il futuro è molto aperto, e dipende da noi, da noi tutti. Dipende da ciò che voi e io e molti altri uomini fanno e faranno, oggi, domani e dopodomani. E quello che noi facciamo e faremo dipende a sua volta dal nostro pensiero e dai nostri desideri, dalle nostre speranze e dai nostri timori. Dipende da come vediamo il mondo e da come valutiamo le possibilità del futuro che sono aperte» (Karl Popper).
[1] Rubem Alves, Pinocchio alla rovescia, Marietti 1820
Devi fare login per commentare
Accedi