Scuola
METTIAMOCELO IN TESTA: SE CROLLA LA SCUOLA, CROLLA IL NOSTRO PAESE.
Il 2014 si è chiuso con una certezza per l’Italia: siamo il Paese che spende di meno nell’istruzione fra gli Stati europei membri dell’Ocse in rapporto al rispettivo Prodotto interno lordo.
Il poco lusinghiero primato è stato registrato nel tradizionale Annuario Statistico pubblicato dall’Istat nell’ultima settimana dell’anno. I dati fanno riferimento a tutti i livelli del ciclo d’istruzione, considerando come fonti di finanziamento le spese dirette da parte dello Stato per gli istituti scolastici statali e i sussidi alle famiglie. Da cui si scopre che la spesa pubblica per la scuola in Italia ammonta al 4,6% del Prodotto interno lordo.
Parliamo di oltre tre punti percentuali in meno rispetto alla Danimarca, che guida la classifica (7,8%). E l’Italia perde il confronto con tutti i grandi paesi dell’Unione Europea: dal Regno Unito alla Francia, dal Belgio all’Olanda, passando per Svezia e Finlandia, la spesa in istruzione si attesta sempre sopra il 6%. Anche Portogallo e Spagna, che certo non navigano nell’oro, sono intorno a quota 5,5%.
Discorso identico può esser fatto per i fondi destinati all’Università e alla ricerca. L’Italia in questo settore chiave investe appena l’1% del suo Pil, anche qui ultima, rispetto ad una media europea di circa l’1,5%, e con valori molto più elevati da parte dei paesi più ricchi del continente.
Questa situazione, ovviamente, ha cause antiche e strutturali.
Investire sull’istruzione delle masse è stato per troppo tempo (e continua ad essere) considerato uno spreco di denaro da parte di una certa cultura politica ed economica italiana, e la scuola pubblica è stata spesso inquadrata come un enorme “calderone mangiasoldi” dal quale dirottare risorse verso settori con più ampi margini di profitto.
Una scelta cieca, oltre che irresponsabile, giacché l’istruzione è la base di partenza necessaria ed imprescindibile ad un paese per garantirsi in futuro la disponibilità di risorse umane d’eccellenza. Una scelta per cui oggi l’Italia paga salate conseguenze in termini di competitività con altre realtà estere.
Ma non solo. Perché se la scuola funziona male, se l’istruzione e la cultura non riescono a raggiungere i nostri giovani (soprattutto in alcune zone d’Italia), ci sono altre forze pronte a farlo. Criminalità, degrado sociale, intolleranza, razzismo. Sono tutti mali figli dell’ignoranza, della mancanza di istruzione, di cultura e quindi di opportunità.
Perché i bambini lasciati senza cultura poi crescono, e spesso diventano dei pessimi adulti.
Ad onor del vero, dopo anni di immobilismo (o peggio, di tagli), qualcosa sembra finalmente muoversi.
Secondo una ricerca del network specializzato in educazione “Eurydice”, l’Italia nel 2014 ha aumentato il proprio bilancio per l’istruzione dello 0,6%, dopo anni di tagli. E per il 2015 nella recente legge di stabilità è stato stanziato un miliardo di euro di fondi per la scuola.
Anche qui, però, i dati sono solo parzialmente positivi. Se è vero che nell’ultimo anno i fondi sono stati incrementati, il saldo resta negativo nei confronti del resto d’Europa, dove l’aumento in media è stato di più dell’1%. Ad investire in misura massiccia, in particolare, sono stati Turchia (+7%), Lettonia (+6,9%) e Nord Irlanda (+5,1%).
E poi c’è un’altra considerazione da fare.
Le nuove risorse messe a disposizione dal governo serviranno principalmente per il piano straordinario di assunzioni dei 150mila precari storici della scuola, punto centrale della “riforma Giannini” che mira a svuotare una volta per tutte le graduatorie. Stando ai dati forniti dall’annuario Istat, però, non è certo il numero di docenti la principale carenza della scuola italiana: il rapporto studenti/insegnanti nel nostro Paese è assolutamente nella media rispetto al resto d’Europa. Uno a 11,7 nell’istruzione primaria, 12,2 per quella secondaria e 19 per la terziaria. Cifre in linea con le altre nazioni: nel Regno Unito, ad esempio, si arriva addirittura ad una proporzione di 20 a uno alle elementari, come anche in Francia.
Con la riforma questo rapporto migliorerà ancora e probabilmente il nostro Paese diventerà primo in Europa per proporzione docenti/studenti. Proprio per questo sono in molti a sostenere che quel miliardo di euro avrebbe potuto essere speso almeno in parte diversamente.
Ed in effetti è di pochissimi giorni fa la notizia del crollo avvenuto nella scuola materna “Vittorino da Feltre” di Sesto San Giovanni (Milano) dove in un aula, alle 10:15 di giovedì scorso, due metri quadrati del soffitto di un’aula si sono staccati e i calcinacci hanno colpito sette bambini. Sei di essi sono stati portati in ospedale per accertamenti e subito dimessi, mentre una bambina di tre anni ha riportato un taglio alla testa ed e’ stata tenuta in osservazione dopo essere stata sottoposta alla Tac che ha dato esito negativo.
Una tragedia sfiorata, e non è il solo incidente accaduto recentemente nelle scuole italiane. Sempre giovedì scorso, due alunni di una scuola media della periferia di Bologna sono stati sfiorati dal crollo di una struttura in legno a supporto di una lampada. Anche qui, due bambini di 12 e 13 anni sono rimasti feriti.
Episodi gravi, quanto basta per far dire al Codacons che “le scuole italiane cadono a pezzi, e noi lo diciamo oramai da anni. C’è bisogno di investimenti strutturali. Ormai non è più una questione di semplice decoro, ma di sicurezza dei nostri ragazzi.”
E sull’onda di questi episodi c’è chi ha chiesto al governo di dirottare i fondi destinati all’assunzione dei precari per interventi urgenti di edilizia scolastica.
Insomma, un minimo di volontà di agire sembra esserci. Ma ci sono molte cose che non vanno nella nostra scuola e, tanto per cambiare, troppi pochi soldi sul piatto per coprire tutte le emergenze. Almeno, questa è stata la risposta delle istituzioni.
In parole povere, o assumiamo i precari, come d’altronde ci ha recentemente imposto la Corte Europea (che ha giudicato illegittima, da parte della Pubblica Amministrazione, la reiterazione di contratti a tempo determinato oltre i 36 mesi) oppure ripariamo i tetti delle nostre scuole che cadono a pezzi.
Avere entrambe le cose non si può, dice il governo. E quindi bisogna scegliere da che parte stare. Le risorse per fare tutto proprio non ci sono.
Intanto però compriamo 90 caccia F35 Lockheed Martin da 200 milioni di dollari a pezzo. E per quelli i soldi ci sono.
Quello degli F35 è un progetto importante e complesso, per carità, e di cui si parla spesso con troppa leggerezza (e disinformazione). Però ecco, che so, magari potremmo impegnarci a comprarne 80 invece di 90. E con quel miliardo e mezzo di euro che ne salta fuori ristrutturiamo i tetti delle scuole e assumiamo anche i precari.
Dite che è populismo, questo? Forse. Se lo è, mi dispiace. Vorrei solo che riuscissimo ad evitare l’ennesima guerra tra poveri in Italia. Perché di solito, hanno pochi vincitori insoddisfatti e tanti sconfitti.
Qui gli sconfitti rischiano di essere i nostri giovani.
E quindi, inevitabilmente, il futuro del nostro paese.
Devi fare login per commentare
Accedi