Scuola
Mazzeo: “Militarizzazione, dalle scuole sempre più segnalazioni”
L’utilizzo della scuola come strumento di indottrinamento anche militare per le nuove generazioni non è una novità. Risale all’Ottocento, ma negli ultimi anni ha riassunto vigore man mano che la presunta scomparsa della guerra dalla storia, teorizzata alla fine della Guerra Fredda, si è dimostrata una pia illusione. Ne parliamo con Antonio Mazzeo, insegnante e giornalista, autore de La scuola va alla guerra (Manifesto Libri, 2024), certosino lavoro di documentazione degli innumerevoli episodi di occupazione delle classi da parte dei militari o, viceversa, di inserimento degli studenti nelle caserme per corsi e stage. Mazzeo è reduce da un convegno e un’assemblea dell’Osservatorio contro la militarizzazione della scuole e dell’università, nato agli inizi del 2023, che ha visto la partecipazione di circa 300 insegnanti, tra presenti e collegati in streaming. Gli chiediamo innanzitutto quand’è che la guerra, intesa non solo come oggetto di studio, è tornata in aula.
Quali sono i passaggi storici della nuova ondata di militarizzazione dell’istruzione dopo l’allentamento post Guerra Fredda?
L’11 settembre sicuramente è stato un punto di cesura e di nuova accelerazione del processo. Da lì è partita un’offensiva fondata sulla cultura della difesa, con l’obiettivo, cioè, di cooptare settori della società civile nell’apparato militare e questo naturalmente ha implicato delle pressioni sul sistema scolastico e universitario, che sono potenziali mezzi di trasmissione dei valori della cultura militare. Più di recente a consolidare una tendenza già in atto è arrivata anche la guerra in Ucraina, con l’occupazione dei mezzi di comunicazione da parte della retorica bellicista. Scuola e università non potevano restare al di fuori di questo processo.
Tu sostieni che la militarizzazione dell’educazione serve a preparare la guerra totale. Puoi spiegare in che senso?
Nel senso che ormai quando leader politici e militari della NATO dicono che siamo in guerra e che bisogna spingere ulteriormente verso una cultura e un’economia di guerra non si tratta più di semplice propaganda. L’establishment politico, economico e finanziario condivide l’idea che stiano andando verso una guerra mondiale, non però intesa nel senso della “guerra a pezzi”, ma di una guerra mondiale vera e propria. Perciò hanno bisogno della disponibilità fisica delle persone, perché l’Ucraina ci ha mostrato che la guerra si fa ancora coi soldati in carne e ossa e non solo con la tecnologia. Ma hanno bisogno anche del consenso, perché per aumentare la spesa militare e finanziarla coi tagli al welfare devono guadagnarsi il via libera dei cittadini. Insomma è un’escalation nella cultura della guerra che ha la funzione di conquistare i corpi e le menti delle nuove generazioni.
Di recente, come raccontavi lo scorso fine settimana a Roma nella due giorni dell’Osservatorio, al lungo elenco di episodi che hai raccolto nel tuo libro, se ne sono aggiunti altri due particolarmente significativi, uno a Latina e uno a Milazzo.
A Latina c’è stato il battesimo del progetto “i come intelligence”, frutto di un accordo tra il Ministero dell’Istruzione e del Merito e il DIS, Dipartimento Informazione per la Sicurezza, che coordina i servizi di intelligence interna ed estera. Si tratta di un’iniziativa che ha il compito di indicare ai ragazzi del primo biennio delle superiori l’importanza dell’intelligence e come i servizi segreti siano fondamentali per la difesa delle istituzioni, dello Stato, del sistema Italia. Il progetto è partito a Latina, ma è destinato ad allargarsi. Del resto già nella riforma dei servizi del 1977 si proponeva di far entrare l’educazione alla sicurezza nel mondo della cultura, a scuola e nelle università.
E a Milazzo?
A Milazzo alla vigilia del 25 aprile per commemorare l’anniversario della strage di Portella della Ginestra, avvenuta in Sicilia il primo maggio 1947, ma con effetti sul tutto il paese – è stato l’atto di avvio della Guerra Fredda, con l’obiettivo di rompere il patto costituzionale tra forze politiche molto diverse tra loro, che immaginavano un’Italia diversa, una strage decisa a Washington, con complici italiani nel capitale finanziario e tra i nostalgici del fascismo e affidata alla mafia – bene a reinterpretare la storia davanti ai ragazzi di una quinta superiore non è stato chiamato uno storico o un esperto, ma un ex agente di Gladio.
Lo scorso fine settimana si è svolta la riunione dell’Osservatorio. Cosa avete deciso?
L’assemblea è servita innanzitutto a darsi un minimo di struttura organizzativa. Da quando siamo nati siamo cresciuti molto rapidamente ed era necessario vedersi per la prima volta di persona e ragionare su come rafforzare la rete. Ormai non c’è giorno in cui non arrivino segnalazioni di episodi come i due di cui abbiamo parlato poco fa e dobbiamo essere pronti a contro-denunciare. Per questo bisogna radicarsi nei territori. Un secondo aspetto è che dobbiamo passare dall’informazione a un livello in cui si maturi anche la capacità di contrastare il fenomeno. Abbiamo già prodotto un vademecum che può utilizzato da insegnanti, studenti e genitori come strumento concreto di resistenza. Poi c’è il tema della sempre minore agibilità di chi va controcorrente a scuola, che passa anche attraverso i provvedimenti del governo. Bisogna resistere all’occupazione totale.
Tu parli di una rapida crescita delle segnalazioni. Arrivano solo da insegnanti già “militanti” o il fenomeno si sta ampliando?
Con l’ampliarsi dell’Osservatorio vediamo arrivare sempre più denunce provenienti da settori di insegnanti non politicizzati e questo spiega la crescita del fenomeno. Ovviamente c’è ancora molta disattenzione e spesso non si capisce la gravità del fenomeno. L’insegnante sa, naturalmente, che nella sua scuola è stata fatta un’attività di quelle che noi denunciamo, ma non sempre gli è chiaro quanto questo rientri in un disegno più complessivo. In ogni caso posso dirti che sto girando tantissimo per presentare il libro. Se l’avessi pubblicato tre anni fa, l’attenzione sarebbe stata pari a zero. Oggi invece arrivano inviti da chi per la prima volta scopre il fenomeno. E questo è un fatto molto positivo.
Intervista tratta dalla newsletter di PuntoCritico.info del 17 maggio 2024.
Devi fare login per commentare
Accedi